Non pensare




Non devo pensare.
Dimenticare no, quello mai. Né lasciare che l’amarezza inquini il ricordo o lo stravolga, che orrore!
Ma proprio per questo non devo…
N o n d e v o
Pensare.


Devo stancare il corpo, invece, estenuarlo, e tutta me stessa lo seguirà.
Si, perché quando le gambe tremano per lo sfinimento, quando pancia, braccia e spalle sono rigide per lo sforzo, quando sei battuta come un caco e drogata d’endorfine, t’assicuro che non hai anche la forza di soffrire col cervello o con il cuore.

Come effetto collaterale, magari, ti ritrovi un corpo che è una bomba ma al momento la cosa ti è indifferente: non pensare, Deus vult.
Non c’è altro credo.

È con tale spirito decoubertiano che alcuni mesi fa mi sono iscritta in palestra.
Sono andata in quella più vicina a casa, imbucata in un calletta e frequentata da esemplari umani d’ogni tipo, anche dai più besti… forse è per questo che, prima d’entrare in sala pesi, un grosso cartello a caratteri western ammonisce imperativo: “Non Bestemmiare”.

<< Uh, beh… vedrò di trattenermi >> è stato il primo pensiero, ma in via strettamente confidenziale posso confessarvi che ‘sto proibizionismo da anni ruggenti mi indispone.
Cioè, dico, cercate di mettervi nei panni di un energumeno preverbale che, tra carrucole e paranchi, spompazza chili come un ossesso.
Sul serio, proviamoci insieme, non dovrebbe essere troppo complicato.

Fatto?
Ecco, a me sembra molto umano che, nei momenti più partecipati, lo sforzo miotico senta il bisogno di accompagnarsi alla ricerca di spiritualità. È il principio d’Archimede: ogni profanità riceve una spinta verso l’alto direttamente proporzionale alla massa spostata. È così, cazzo! È sempre stato, è la vita… fondamentalisti insensibili.

Amen, torniamo a noi.
Sia chiaro che, per mille motivi (o forse per uno solo), l’ultima cosa che desideravo era socializzare. Di conseguenza ho preso le mie precauzioni: pantaloni larghi e comodi, maglietta verde fastidio, capelli raccolti e sguardo da suocera. Roba da far guaire i cani.

Devo ammettere che l’espediente ha funzionato, ma solo al cinquanta per cento.
Gli uomini, infatti, non mi danno noia: hanno annusato il terreno, certo, i più tenaci hanno resistito un mese e poi si sono convinti che sia folle, algida o lesbica. Irrecuperabile.

Le donne, al contrario, dopo essersi accertate che non ero una rivale né ero interessata al loro pollaio, hanno ritirato gli artigli, si son rilassate ed ora sono un fiume in piena di confidenze.

Così ho scoperto che… si, insomma, che sono anche un’imbarazzante legione di troie.
Non che io sia una santa, per carità, ma sono selettiva e soprattutto credo nella riservatezza e nella discrezione. Loro niente, cazzo, soprattutto quelle sposate. Son come ragazzine.
Ecco quindi che negli spogliatoi ogni conquista sessuale viene ruminata, rivissuta e condivisa finché entra nel patrimonio culturale del branco. Da li ai consigli, poi, il passo è breve:

<< Ascolta, cara, fatti servire: Marco >>
<< Ma va? Su due piedi non si direbbe. Pare coccolo, tenerello… >>
<< Guarda, parola (mano sul cuore), un rodeo. Se ha litigato con la moglie, poi, non lo si tiene>>
<< Ok, ma non è uno di quello pericolosi, no? Uno di quelli che si innamora? >>
<< Tranquilla, uno scopatore superbo e un vero bastardo. Ti dico solo questo: Sagittario >>
<< Ho capito tutto: lo provo >>

All’inizio pensavo che mi prendessero per il culo, sul serio.
Poi ho notato che tutto l’ambiente sembra una succursale degli alcolisti anonimi, con confessioni, “penitentiagite” e trionfi vissuti collettivamente. A volte ci sono vere e proprie tempeste emotive, con tanto di euforie da teenager farcite da una malignità più matura, sofisticata, disillusa. Acida come un cattivo dei fumetti.

Forse è questo il dettaglio che più mi ha colpita perché, ripeto, non pretendo d’avere l’esclusiva sui cromosomi dell’amoralità e perciò… si, insomma, per me si può anche piantare al proprio uomo un palco di corna che nemmeno un cesto di lumache, ma bisogna farlo con stile, con discrezione e soprattutto senza mai denigrarlo: è una regola, è buon senso. Che figura ci si fa, infatti, ad essere sposate con un tizio che si dipinge vispo come Calderoli, sexy come Agnoletto e pure mezzo impotente?
Ditemi.

Per farvi un esempio, comunque, proprio ieri io ed altre due tipe sulla trentina sculettavamo sugli step come altrettanti tacchini da batteria. In quelle condizioni non ci sono molte cose da fare: puoi leggere una rivista tematica (Tuttoglutei, Le tue amiche stelle, Biceps & Studs [bicipiti e stalloni, n.d.a.], etc), puoi chiacchierare sbuffando o puoi concentrarti ed ammirare il Vuoto.

L’ultima alternativa è la più fascinosa, va da sé, ma è anche la più complessa da attuare, soprattutto se sei in mezzo al trio e le altre due stanno facendo Italcable tra di loro. In altre parole, ho cercato di non farmi coinvolgere, giuro, ma dal momento che non riesco ad impedirmi d’ascoltare e di ghignare, alla fine mi son trovata parte dell’intrigo.

Ma cominciamo dal principio.
L’argomento era prevedibile: uomini, amanti o mariti. Per rispetto nei confronti delle ragazze coinvolte e della loro vita privata, non le chiamerò per nome ma mi riferirò ad entrambe con una lettera convenzionale: la prima sarà X (che sta per Sara) e la seconda sarà Y (che sta per Matilde).

A coinvolgermi è stata X, domandandomi (in modo del tutto disinteressato, è ovvio) com’è il mio uomo, se è alto, basso, moro, biondo, grosso, caliente e che cosa lo rende speciale.
<< Parla appena >> rispondo.
<< Un invalido! Che culo, sono sempre i migliori >>
<< Non è invalido. È solo riservato >>
<< E io che ho detto? >> sorride ebete.

Inutile. È irrazionale, ne sono conscia, ma quelle così mi fanno rabbia.
Per un attimo mi lascio allettare dall’idea di farle violenza fisica, poi riesco a controllarmi e a svicolare << Guarda Sara, non è argomento, davvero. Chiedi a Mat se vuoi gossip >>

Mat, biondina, un metro e cinquanta di nervi e muscoletti.
Ha un bel fisico, Mat. Non un grammo di grasso, naso affilato, zigomo spigoloso, angoli acuti ovunque e due bocce improbabili disegnate da Calatrava.
Mat… Mat che parla tuttodifila, senza respirare, senza punteggiatura.
Mat d’Acciaio.
Determinazione d’acciaio, dieta d’acciaio, dolcezza d’acciaio.

<< Che vuoi che ti dica >> sbotta Mat << mio marito l’hai visto no? >>
<< Un po’ abbondante >> minimizzo.
<< Abbondante? No no, el xe grasso come un porseo! Non può stare sopra sennò mi schiaccia, così dobbiamo girarci… mi credi se dico che a volte mi tocca pomparlo per quarantacinque minuti? Qua-ran-ta-cin-que e non scherzo >>

<< Eeehhhh >> sospira Gloria, accasciata sulla panca degli addominali. Postura da Paolina Bonaparte e aria sconsolata da Madame Butterfly.
Cacchio, Gloria… Gloria è una donna di mezzetà con l’aspetto di una rovina contemporanea. Una di quelle tipe che fanno ogni sforzo per sembrare giovani, dal jeans strappato all’incedere da velina, compreso un assoluto, eroico sprezzo del ridicolo.

È simpatica, Gloria, ed è famosa perché, dopo aver accumulato due di picche da ogni bipede conosciuto di sesso maschile, ha ripiegato sui due omosessuali dichiarati. Li adora, parla solo di loro e le piace giocare a sedurli facendo la mamma.
Sopra la cinquantina, evidentemente, non c’è altra strada.

Fortunatamente, a Gloria non viene concesso d’introdurre il suo argomento preferito perché Mat la fagocita in un malestrom di parole << Pensi che sia una fortuna? Davvero, dillo se è così, pensi che sia una fortuna? No, perché non è un cazzo di fortuna, se fosse George Clooney sarebbe fortuna, ma tu l’hai visto mio marito, si?
-/ pausa apnea /-
Ecco, tu pensa di cavalcarlo per tre quarti d’ora: la stessa emozione di fare un massaggio cardiaco ad una foca, giuro. Nel frattempo ti girano perché si scuoce il riso, c’hai il bucato da stendere, mille cose da seguire e tu sei inchiodata li, a fare faccette sperando che lui venga e sia finita >>

Matilde boccheggia per riprendere fiato e Sara le strappa il testimone << Anche a me capita, anche a me! >> e poi, didattica << Io mi mordo il labbro inferiore e stringo insieme i seni così, guarda… mmmmm. In genere fa effetto>>

Colpo a vuoto. L’amica tira diritto dribblando l’interruzione con l’agilità di una tribuna politica e precisa << Che ti credi che non le provi tutte? Ne uso anch’io di trucchetti, potrei scriverci un manuale, ma per me quello sta diventando impotente. Pensa che a volte… a volte perdo la pazienza sul serio. Allora mi sfilo di colpo, mi stendo, mi metto a dormire e vaffanculo, ecco >>

<< Dai, povera bestia! >> sono io, mi è scappato.
Matilde è spietata: << Che si faccia fare due bypass, allora, uno ai testicoli e uno intestinale. Due piccioni con una fava. Magari mi diventa normale >>

<< Anche il mio, anche il mio! >> Sara sta letteralmente zompettando sullo step << Anche il mio non viene mai. M-A-I. E lo sa! E ci soffre! Pensa, si sente così una merda che ripiega sul cunnilingus, ma non sa fare nemmeno quello. Ne-ga-to… e anche un po’ sfigato, si, il mio cucciolo, perché non c’ha una lingua bella appuntita, come la mia lllllll… ce l’ha, come dire, a coda di castoro, hai presente? >>

<< Oh, beh, ah… mpfff, cioè… >> Rain in the Forest, questa volta è colpa di tutte quante.
<< Eh, si voi ridete, ma quello sa solo lapparmela come un gelato e così io non mi squaglio, mi spiego? Allora lo lascio fare per un po’ e poi mugolo “Oh? ohhhhh… ooooooo!!! M-mi fai impazzire.. impa.. aaahhhh… pazz… zire, oh, si, bevimi, BE-VI-MI!” e il Gianni, che a quel punto mi ha già sbavata fino a metà coscia, lecca parte della sua saliva, si sente maschio ed è felice >>

Gianni, cavoli avevo capito chi era.
Sui trentacinque anni, alto, viso devastato dall’acne e andatura da cavernicolo: Gianni!
Ma poveraccio… sposato, non l’avrei mai detto. E con ‘sta stronza elettrica, poi, tutta cianuro, mossette e consonanti in libertà. Che destino di merda.

Gloria, che fino a quel momento ha ascoltato, sorriso e gorgheggiato con un senso del ritmo ammirevole, si intromette senza preavviso e con consumata abilità e cala il carico << Ragazze volete sapere un dramma? >>
Ta-ta-ta-taaaaaa! Beethoven, 5° sinfonia.
Atmosfera densa come marmellata di mirtilli.

Mi ci vuole un nanosecondo per realizzare che se resto li mi taglio le vene.
Da vera vile, quindi, approfitto della momentanea stasi temporale per defilarmi e scomparire nella sala pesi vera e propria, quella dotata di cartello ammonitore e popolata da maschiotti sudati, puzzosi e ragionevolmente muti.

Li dentro c’è un po’ di tutto, dai due mastodontici froci (che a dire il vero sono tra i più cortesi e riservati) alle varie categorie standard di maschio: il Vanesio, il Bullo, il Montacarichi umano, il Misantropo, etc. C’è anche un folto gruppo di postadolescenti dell’era PC. Magretti, curvetti, spenti, approdano alla sala pesi spinti da un nobile istinto primordiale: Stanare Gnocca.
Peccato che non sappiano come fare, così parlottano tra loro, maneggiano pesetti, sudano e sbavano prima di tornarsene sconfitti ai loro PC e alle agenzie di incontro online.

Vabbè, ma a me che mi frega? Nulla.
A me interessa solo fare il mio, niente smancerie o scemenze. Per questo do poca confidenza al prossimo e per questo ho fatto amicizia con due persone appena: Gigi, un laureando in ingegneria straordinariamente bello ma asessuato per deformazione professionale, e il “Vera”, un energumeno idrofobo che è stato piantato dalla moglie.

Anche lui non vuole pensare e perciò s’ammazza di pesi, ringhia e sbuffa come una giovane otaria.
È così incattivito che gli altri lo evitano per istinto, quasi fosse possibile avvertire le ondate di rabbia e di disperazione (e, aggiungo io, di testosterone) che il povero bastardo emette quando flette i muscoli tatuati.

Sto già meglio. C’è molta più tranquillità qui, tra i grossi bruti. Mi ricavo una nicchia personale fatta di sudore, ruote di piombo, manubri, sudore, video musicali, tempeste ormonali e sudore.

Lavoro senza guardare in faccia nessuno.
Lavoro fino a quando non sento più le braccia e ho l’impressione che un sadico mi abbia allegramente preso a calci. Ho deciso che solo quando mi sento così, di legno, posso ritirarmi con onore.

Per oggi, dunque, mi convinco di aver sofferto a sufficienza. Mollo i pesi, mi sollevo dalla panca e mi trovo ad un metro dal Vera, dai suoi occhi color caramello, vivi e magnetici come quelli d’una bestia selvatica. Lui continua a pompare, non è ancora sfinito. Io esalo un saluto e la mia voce suona dolce ai miei stessi orecchi.
Stanca ma dolce.

Non era mia intenzione… o forse si? Non capisco.
Lui si ferma col bilanciere a metà, un secondo forse due. Mi sorride di rimando, caldo, ma solo con gli occhi. Li abbassa subito, quasi l’avessi frustato e mi saluta << A domani, sorella >>
Fratello, sorella… è un gioco che facciamo tra noi. Perché intuiamo, forse, senza ammettere.
Vado via, lascio la sala ma la sento, dietro di me, quella bestemmia sussurrata, ricercatissima.

Varcare la soglia degli spogliatoi è come passare da un muto inferno di fatica ad una malabolgia starnazzante.
Ci metto un po’ a sintonizzarmi, a registrare che Sara si sta depilando l’inguine con un piade sul lavandino, che Matilde pavoneggia i seni rifatti e che una tizia sconosciuta registra le adesioni ad un botulino-party. Ordinaria amministrazione.

Sfilo le scarpe e le butto in un angolo. Maglietta, pantaloni via tutto. In un attimo sono nuda e sparata verso le docce. Cazzo se è tardi, devo essere l’ultima perché sono tutte libere.
Ne scelgo una ed apro l’acqua.
È fresca, non fredda ma fresca. Ci mette sui venti secondi a scaldarsi, capita così ogni sera.
Resto immobile, mentre un brivido partito dalla schiena si allarga come un’onda e solleva dietro di sè una ola di pelle d’oca.
Resisto. Il primo brivido è il peggiore, lo so.
Resisto e già l’acqua scende più calda, mi bacia il collo e scivola sotto la curva del seno accarezzandolo con tocco leggero, da innamorato.

Innamorato. Amore.
A – sorpresa. Cosa mi succede? No! Non è possibile, non a me!
MO – “O” grande, tonda, accentata. Comprende ogni cosa e ogni cosa ingloba. Annullandola.
RE – Puff, l’ultima sillaba vola via distratta, senza accento né peso.
Scoppia la bolla di sapone ed è tutto finito.
Che parola terribile, amore: bella come un’alba invernale e altrettanto spietata.

Eppure, come lo vorrei, l’amore.
Amore, non sesso, quello ce l’ho già.
Amare di nuovo ed essere ricambiata, soddisfare i capricci miei e suoi. Inventarne di nuovi solo per sfida o per lussuria, una danza di corteggiamento per esseri umani.

Appoggio piano la testa alle piccole piastrelle della doccia. Non sono nemmeno piastrelle, sono tasselli quadrati. Demodé, anni ’70… una vera schifezza, ma sono l’unica cosa a cui mi posso appoggiare.

Chiudo gli occhi e mi spalmo lo shampoo sui capelli.
Li stiro, li liscio, li spingo indietro, ma so per esperienza che è tutto inutile. Sono ricci, talmente ribelli che nemmeno l’acqua li doma.
Dalle loro punte, il sapone scivola lungo il corpo ed io scopro che mi sto accarezzando. Ho cominciato dalla pancia o dal seno? Non lo so, ma continuo. Scendo senza aprire gli occhi perché altrimenti rovinerei tutto.

A tentoni trovo il sapone liquido e pigio sul dosatore perdendone chissà quanto.
Alcune gocce mi cadono su un piede e la loro consistenza densa fa scattare un ricordo involontario, intimo, indecente.
Per reazione stringo ancora di più le palpebre.
Adesso quasi mi bruciano.

Ho le gambe un po’ divaricate e una mano tra le cosce. Allargo piano le dita e mi puntello sempre più con la fronte al muro… e se mi incido la forma dei quadratini sulla pelle? Oh, ‘fanculo!
Spalmo il sapone sulla pancia, sui glutei e le cosce. Indugio sull’inguine, dentro.

Mi friziono forte, il sangue affluisce e la sensibilità aumenta. Spingo su il culo così l’acqua che cade sulla schiena correrà lungo i fianchi e convergerà sul ventre, facendosi più oleosa man mano che raccoglie il sapone. Sempre più pesante e viva.

Ora lo tolgo.
Tolgo il sapone ed esco.
Ma l’acqua… il respiro dell’acqua sui muscoli stanchi è come un massaggio erotico e io sono così sfinita che non connetto bene. Mi sto togliendo il sapone o mi sto toccando? Ed è tutto sapone il liquido viscoso che sento sulle dita?

Oh, come vorrei…
Come vorrei che fossero di un uomo, uno qualsiasi, senza volto, ma uno che amo.
Come vorrei averlo dietro di me adesso, che guarda mentre mi lavo, mentre mi preparo per lui insaponandomi davanti e dietro. Dentro.

Ecco… è successo all’improvviso, ma adesso lo sento. Avverto una presenza immaginaria che si avvicina. Avverto la sua energia, la sua eccitazione animalesca e so che si imporrà con forza, in modo osceno. Mi farà del male, ho paura e… e lo desidero.
Mi apro.
Sto sbavando. Percepisco il vapore che mi avvolge come un amante e sto sbavando su quei luridi quadratini di ceramica. Me li sono tatuati sulla fronte e non me ne frega niente perché l’acqua sulla schiena sono le sue mani, gli schizzi che salgono sul collo sono la sua lingua che mi bagna, i riccioli fradici sono il suo respiro che mi sfiora mentre lui si piega su di me. E il mio dito, le mie dita sono…

La voce stridula di Mat rompe la bolla di sapone nella quale mi sto cullando.
A-mo-re.
Apro gli occhi. Puff.
È una fantasia.
Mi raddrizzo mentre un segmento sensibile della mia coscienza si concentra su quel suono sgradevole << Per fortuna c’è l’ospedale >> cinguetta Mat << Primo ci sono un sacco di uomini affascinanti, secondo c’è il dottor Xxxxx che…. >>

Come come? Ho sentito bene? Mi scuoto, cerco di snebbiarmi la mente.
<< Xxxxx, il cardiologo, o chirurgo, o quello che è? >> insinua una voce non classificata << Insomma, il marito di quella nuova >>
<< Povera, quella ragazza c’ha qualcosa che non va >>
<< Certo, è oca, asociale e ingenua allo stesso tempo >>
<< No, non solo quello. Secondo me è anche frigida. Si, insomma, il dottore è famoso in tutto l’ospedale. Gli omini arancioni lo chiamano Il Palio di Siena, pensa te, e sabato con la farmacista… >>

<< Chi, quella piccolina, biondina, quel peperino? >>
<< Eh, li ho beccati nel reparto di Anatomia patologica: lei a gambe aperte sul lettino e lui con i pantaloni abbassati alla caviglie. Se la pompava e nel frattempo le ascoltava i battiti cardiaci con lo stetoscopio. Un pervertito. >>

Nelle orecchie ho le cascate del Niagara. No, non è la doccia, sono quelle di là che ridono.
<< Ho accostato piano la porta >> continua la voce stridula << e mi sono messa a sbirciare >>
<< E che è successo? >>

<< Lui se l’è sbattuta selvaggiamente per una decina di minuti. La sollevava quasi, sai, minuta com’è… poi è uscito ed è venuto con un ruggito eroico.
Una produzione scandalosa, roba da pornodivo, sai quando ci mettono lo yogurt? Invidia… Gliel’ha spalmato sulla pancia e dovunque arrivasse con quelle sue manone e lei l’ha lasciato fare, poi si è messa a carponi sul lettino, col sedere bene in alto, come una gatta. Gliel’ha preso in bocca succhiottandolo anche se era mezzo barzotto, mentre il dottore ha sfilato dalla tasca uno di quei guanti trasparenti da chirurgo, hai presente? Lo ha calzato lentamente, gliel’ha fatto davanti agli occhi, con la mano in su, facendo schioccare il lattice ad ogni dito, delle stecche che… cavoli, fossi stata in lei mi sarei eccitata come una cavalla: avrei nitrito, davvero!
Lui l’ha calmata con un bacio sulla fronte e l’ha fatta girare, sempre sul lettino, sempre carponi, culo in alto e seno e viso schiacciati sul marmo freddo. Le ha dato una garza da mordere ed ha iniziato a leccarla e ad esplorarla col guanto, senza pietà. Sono andati avanti tutta la pausa pranzo >>

Adesso le orecchie mi ronzano, sono accasciata sulle piastrelle e non ho più la postura invitante di prima. Ho il ventre gelido, la testa calda e i brividi. Non percepisco più tocchi leggeri o immaginari, mi abbraccio da sola e sento l’acqua della doccia che sgocciola dai capelli al naso, alla bocca. Sembra salata. Strano.

Stanno ancora parlando, raccontando, ma io ho raggiunto il limite.
Ho deciso, esco dalla doccia. Faccia di pietra.
Fingo di non accorgermi che con la mia apparizione è sceso un silenzio austero, da tomba egizia.

Mi vergogno? Mi sento umiliata? Arrabbiata? Il mio non è amore tradito ma orgoglio ferito. Solo fottuto orgoglio, sanguinario orgoglio, e poi sono… che cazzo sono oltre che cieca e idiota?
Sono arrossita, si… fortuna che ho la carnagione scura: posso avvampare come un oleodotto in fiamme e al di fuori nulla appare. Su gli schermi, allora, su le corazze. ‘Ste quattro stronze… no. Calma. Neanche questa soddisfazione gli do.

<< Oh, Tessssssòro! >> è la voce di Mat << proprio di te si parlava. Ti ho guardata mentre facevamo step e mi son detta “però, che bel sedere che mi ha!” ma come fai? Ma che segreto hai? Và che secondo me più d’uno ci ha fatto un pensierino, eh >>

Una fesseria qualsiasi ma veloce, tac-bum, precisa e frivola, sennò sei fregata << Mavalà ragazze, sapete che non mi interessa >>
<< Beh, è facile per te, con quel bel maritino non hai certo necessità di diversivi, dico bene? >> e giù malizia a pepite.
Un secondo, due.. tre… sono indecisa se sorridere con modestia o strapparle le ovaie a crudo.
Sorrido con modestia.

<< Ragazze, martedì sera che ne dite di una pizza? >> propone Mat a sorpresa << Quel nuovo locale vicino alla stazione, vi va? >>
Sono l’unica a declinare l’invito. Come scusa uso la più banale: un impegno. Poi, sorriso di circostanza e vaffanculo, via, via, aria.

Fuori mi sento meglio e chi se ne frega se i capelli sono ancora umidi. Chi se ne frega se mi prendo qualcosa, se mi tocca stare col moccio al naso e abbracciata alla borsa dell’acqua calda. Sbircio intorno per essere sicura che non ci sia nessuno e scuoto la testa come un cane bagnato. Fatto. Ci sarà almeno un vantaggio ad avere i capelli ricci, no?

Ed ora a casa. Parto spedita, schiena dritta e passo deciso, in cinque minuti arrivo. Cinque minuti… ma sono almeno due ore che me ne resto qui, immobile, in Piazza San Marco, seduta come una bambina su un leoncino di marmo rosso, uno di quelli col dorso consumato da generazioni di turisti.

Ogni cosa va a rotoli. Ogni.Fottuta.Cosa.
Oh, vaffanculo, forse me lo merito. Di sicuro me lo merito.
So che non lo amo, gli voglio bene ma non lo amo. Continuo a ripetermi che non sono gelosa, che non è l’atto in sè ma lo stile, il rispetto, l’attenzione.
Non pensare
Non… Pen sa re.

Tanto lo so che stasera ci torno, a casa.
Così come so che domani sarò in palestra. E dopodomani e la settimana prossima, alla faccia di quelle streghe.
Perché la palestra è comoda, è vicina ed io ne ho bisogno. Tutto qui.

Tutto?
No, forse no, ci sono anche due occhi. Di caramello.
Già, perché su questo si sono sbagliate: non sono molto diversa da loro.
Solo più discreta. Romantica e discreta.


Nadja Jacur

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