Come una preghiera




Sono in ginocchio, bendata, ho le mani legate dietro la schiena ed una grossa cinghia da cane che mi bacia il collo. Resto immobile, circondata da un silenzio che la cecita' rende sconfinato e palpabile, quasi un'entita tridimensionale. E' questo il rumore dell'attesa?

All'improvviso avverto un fruscio sottile proprio di fronte a me, sollevo il mento per vedere il suono e dargli forma. Un attimo e il guinzaglio si tende sbilanciandomi in avanti, tanto che d'istinto irrigidisco le spalle e quasi resisto. E' solo un patetico tentativo di mantenere equilibrio e dignita' ma potrebbe anche sembrare orgoglio o peggio... sfida.

Barcollo, ma la fune resta tesa, la trazione costante, meccanica, inumana. Non ho altra scelta che avanzare prona, esposta e perfino ridicola nella mia goffa impotenza... Come diavolo sono finita in questa situazione?
Ma soprattutto, m'importa veramente saperlo?

Cosi', a naso, il dilemma sembrerebbe intrigante ma la gerarchia delle priorita' va bellamente a puttane quando mi sfiori la spalla invitandomi a riguadagnare statura.
Va' come sei gentile, e chi se l'aspettava?
E... mmmm, sento la tua mano sulla pelle... La adoro, sai?
No che non lo sai, come potresti? Non te l'ho mai detto ne' mai te lo diro' altrimenti mi ti monti la testa, ma hai un tocco caldo e sicuro, arrogante, quasi cattivo, che sa tragicamente di cosa ho bisogno. Ora mi scivola addosso, per esempio, scorre sull'unica cosa che mi hai permesso di indossare: un bustino nero, stoffa e mille lacci di cuoio che mi imprigionando la pelle in una ragnatela di rombi ramati.

Sono in piedi, ma dopo un passo incerto le cosce incontrano un ostacolo. C'e' qualcosa davanti a me, e' vasto, piatto. Freddo. Mi ci trovo riversa sopra prima ancora di capire che si tratta di un tavolo. Il suo contatto mi regala un brivido che congela i capezzoli e si propaga dal petto alle cosce e alle caviglie.
Le... caviglie, bastardo! Le imprigioni alle gambe del tavolo. Tiro, scalcio ma e' troppo tardi e non ci sono speranze perche' devi aver usato una striscia di velcro larga una mezza spanna.
Allora contraggo gli addominali per staccarmi dal tavolo. Ce la faccio, sempre piu' su... Niente: la tua mano, sempre lei, mi esplode tra le scapole. Aperta, enorme. Calma. Capisco che mi hai lasciato risalire solo per il gusto di domarmi, ed ora mi schiacci giu', le tette sul tavolo. Forte. Godendo delle curve tonde e sode che disegnano sotto la linea del petto. Che gran figlio di puttana che sei, non mi stanchero' mai di ripeterlo. Ogni respiro.

Mi liberi i polsi solo per stenderli sopra il capo e legarli chissa' dove. Mi sento stesa come una pelle da conciare e tu subito ne approfitti percorrendomi tutta quasi a marcare un territorio: cosce, fianchi, spalle e culo. Prima le dita e poi la lingua che segue umida. Che apre, bagna, esplora e mi prepara.
Sto trattenendo il respiro quando mi agguanti le cosce e le stringi cosi' forte che non gemo solo per non darti soddisfazione. Risali. Il mio corpo e' una lavagna, le tue mani solo gessi che stridono. Arrivi ai dorsali, li agguanti, ti aggrappi alle spalle. La tua voce mormora suoni senza senso o forse sono io che non capisco piu' niente, perche' sento solo la pelle della tua pancia sulla schiena e il petto e le cosce e la punta del cazzo che preme.

Senza che tu me lo ordini, apro la bocca. Come una preghiera.
Mi ci spingi dentro una grossa pallina di gomma di quelle che usano i giocolieri nelle strade. La mordo forte, disperatamente, ma nonostante cio' quella si espande spalancando labbra e guance. Mi ruba la voce e mi deforma la bocca come un cazzo enorme.
Ora si, qualsiasi cosa sia, ora la voglio. Percio' contraggo i muscoli delle spalle e rilasso il resto. Prendimi. Oh, si, prendimi!
Fammi male, amore mio!
Aprimi con le mani e scendimi dentro. Tremero', sudero', mi ricopriro' di brividi per te, ma tu godimi. Senti come sono stretta? Sfondami. Fallo scorrere in tutta la sua lunghezza e domami. Plasmami. Esci quando vuoi per ammirare cio' che vedi e come mi hai marchiata. Sputami dentro e poi prendimi ancora. E la mia schiena: graffiala. Mordimi le spalle e leccale. Avvicina l'orecchio al mio viso perche' non gridero', ma gemero' piano e sbavero'. Si, lo faro' apposta. Ad ogni colpo di reni che mi infliggi. Prendimi i capelli come briglie e toccami la fica, insinua le dita sotto di me per sentire il ventre e le tette. Riempiti le mani, maltrattale. Cavalcami e vienimi dentro. Sollevati quando lo fai, guardami, dominami tutta con lo sguardo e solo allora toglimi la pallina dalla bocca. Fammi scorrere su tutto il corpo il suo bacio di saliva, cosi' la mia palle si ricordera' di cio' che hai fatto. Di come ho sofferto e di quanto ho goduto.

Nadja Jacur

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