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Signori e’ giunto il momento dell’outing: confesso che mia figlia va all’asilo dalle suore.
Calma.
Chiariamo.
Trattasi di necessita’: a Venezia non c’erano posti nelle scuole comunali e i nonni hanno un’autonomia limitata. Disperata, ho pensato di rivolgermi a chi, da tempi immemori, e’ disposto a tutto per denaro. Scartate le prostitute, non restavano che gli istituti cattolici.
Grazie al cielo, apparentemente non me l’hanno ancora rovinata, ma per questioni diplomatiche son costretta ad accettare alcuni compromessi.
Tra questi, la temuta recita di Natale.
Quest’anno lo show si e’ consumato ieri, 18 dicembre. Eccone la cronaca, piu’ o meno fedele.
Lara desidera che sia presente tutta la famiglia, percio’ piglio un paio d’ore al lavoro e sfreccio a casa per riporre la borsa e cambiarmi.
Cerco di indossare qualcosa di carino, distinto, accattivante ma sobrio: non voglio sfigurare. So che la recita si terra’ in una chiesa vicina, che ci sono bambini, che dovrebbe trattarsi di un enorme salone con quadri macabri alla pareti. Insomma non vi sono indizi logici che facciano supporre un clima da museo delle cere. Opto quindi per un tailleur-da-ufficio e scarto il woolrich. Una scelta che rimpiangero’ amaramente.
Faccio quasi una corsa per arrivare un po’ in anticipo. Il clima e’ da super bowl e c’e’ gente che deve aver pernottato all’addiaccio per l’emozione suscitata dall’evento: genitori, nonni, fratelli, cugini, turisti e piccioni, una calca pazzesca.
All’ora convenuta, una perpetua apre le porte del tempio e noi irrompiamo come lanzi per conquistare una sedia in posizione strategica.
Tutto attorno sciamano angioletti in tuniche colorate (tra cui Lara in fondo-oro, versione icona bizantina) e frotte di gnomi vestiti come zampognari abruzzesi.
Mi arrocco su un posticino defilato, al mio fianco c’e’ un grosso sconosciuto cinghialoso che non riesce a star fermo sulla sedia.
Esulta, saluta con la mano un piccolo teppista che, oltre all’immancabile gilet peloso, sfoggia un basco pendulo, da donna e griffato Armani. Piu’ che un pastorello sembra Gavroche versione Broadway. Tracimando fierezza, il padre lo immortala sul cellulare, poi mi da di gomito e mostra l’opera.
- Eh? - gongola
- Eh - chioso, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare e’ “che freddo di merda, che freddo di merda, che freddo di merda”. Non riscaldano, ‘sti disgraziati, e poi hanno il coraggio di dare a noi dei taccagni!
Il vicino e’ evidentemente soddisfatto dalla risposta o deve aver scambiato la smorfia di sofferenza per un sorriso complice. Percio’ ammicca e richiama la mia attenzione con un’altra gomitata. Si china, apre un borsone da sport ed estrae una cinepresa professionale grande quanto un lanciarazzi terra-aria.
Sono esterrefatta, lo ammiro someggiarsi quell’affare e iniziare a toccare levette e pulsanti. L’aria e’ pervasa da rumorini elettrici di caricamento, tipo “Vzzzz-bsccc… vvvvrrrrr”, mentre l’obiettivo si muove come un droide di guerre stellari.
Freud direbbe che la dimensione del catafalco e’ una compensazione inconscia della virilita’ offesa. Io mi chiedo solo se il piccolo sia suo o dell’idraulico, poi scaccio i pensieri maligni e cerco di entrare in sintonia con la santita’ del luogo.
Marco, che traballa ai miei piedi, sgrana gli occhi e indica il cineamatore “Ghiglioooooo… ka-booom!”, esclama.
Creaturo sveglio.
Un secondo dopo inizia la kermesse natalizia: i bimbi si presentano a coppie o a terzetti, salgono su un palco e sciorinano un paio di battute imparate a memoria. L’emozione aleggia palpabile, densa come nebbia in Polesine. Si condensa a banchi, ora qua ora la, a seconda di dove sono dislocati i parenti dei piccoli che prendono la parola.
Tra i primi c’e’ San Giuseppe, che nella vita reale e’ il morosetto di Lara e assomiglia a Leonardo di Caprio (giuro). Al suo fianco, Maria. Una bambina smilza che promette di diventare anoressica prima della puberta’: parla piano, sottovoce, lo sguardo e’ dimesso e sfuggente, i lunghi capelli castani fanno piu’ volume delle spalle scheletriche. Spero che sia cosi’ di carattere e che non sia vittima di violenze domestiche. La scelta del ruolo, comunque, e’ perfetta.
L’Arcangelo Gabriele, che storicamente ha funzione di mezzano, e’ impersonato da un bellissimo bambino biondo con voce stentorea e arrogante. Tra gli esseri religioso-mitologici e’ l’unico ad avere le ali di plastica ed e’ perfettamente conscio del privilegio: ignora San Giuseppe, interrompe Maria e la sovrasta in decibel.
Alla bimba di cinque anni, notifica “tu, Maria, fra nove mesi partorirai un figlio”. Mentre questa esala una risposta, lui fa gia’ cenno alla regia di introdurre il bambin Gesu’. Al che un piccolo di due o tre anni viene deposto in una specie di guscio dorato collocato al centro della scena.
L’Arcangelo coordina tutta l’operazione e deve essere rimosso dal palcoscenico con una certa energia. Arriva il turno degli angioletti minori e delle stelline: marciano uno alla volta con le mani giunte come monaci Shaolin, poi si dispongono sul fondo in file ordinate, allineati e coperti. Riconosco le amichette di Lara, l’altro suo morosetto (all’asilo hanno costumi piuttosto liberali), il pretendente orientale, i due gemellini e il tizio con cui si picchia.
Poi c’e’ la bambina con la faccia da maialino.
Ora, sarebbe veramente gretto da parte mia ironizzare su una piccina che ha la disgrazia di sembrare la vittima di lupo Ezechiele, quindi sorvolo e mi limito ad osservare che la bimba non assomiglia affatto a Shirley Tempton.
Iniziano a cantare: e’ il segnale in codice per l’ingresso dei pastorelli.
Sono quasi una ventina, tutti maschi per coerenza storica: le pastorelle sono tipiche dei Pirenei ma sconosciute nella Palestina precristiana.
Osservandoli, capisco cos’hanno di familiare: sembrano cloni di Peter e Remy con un grosso peluche in braccio. Si dispongono sulle ali del bambin Gesu’, sempre sigillato nel suo sarcofago simile ad un coglione del dio Amon-Ra. Poi iniziano una complicata coreografia nella quale maneggiano l’animale di pezza su e giu’, su e giu’. Fosse vero vomiterebbe come un idrante. Credo che nelle intenzioni originarie debbano simulare l’offerta della bestiola. In effetti e’ un’idea graziosa che pero’ richiederebbe uniformita’ almeno nei peluche.
Invece ci sono i soliti privilegi: alcuni hanno una vera pecorella lanosa, altri si arrangiano con quello che possono. Matteo ha un San Berbardo colossale, evidentemente vinto dal padre in un tirassegno. Quando lo solleva per offrirlo alla Madonna (San Giuseppe non se lo fila nessuno nemmeno in quest’occasione) lo agguanta per le ascelle e sembra voglia mostrare agli astanti che il suo cane e’ un maschio con tutti gli attributi.
Alla conclusione del canto, i Remy si siedono e… - stupore - l’involucro che contiene Gesu’ Bambino si apre come la sorpresa di un gigantesco ovetto kinder.
Fa eco un leggero ronfare.
- Oooooohhhhhhh - vocalizza intenerita la platea.
Nell’unico ambiente riscaldato di tutto il salone, stordito dalla propria anidride carbonica, il Salvatore e’ andato giu’ col sonno.
Maria lo guarda scandalizzata ma non alza un dito. San Giuseppe sta zitto, immobile, non e’ contento ne’ seccato: it is none of his business. ArchieGabry scalpita, trattenuto da una suora. I pastorelli seduti a gambe incrociate, ridono, chiacchierano, giocano mentre Matteo corca di mazzate il suo San Bernardo.
La situazione viene salvata da Giorgia, sorella di Dio e angioletto di cinque anni. Lei scende dalle stelle, si avvicina al dormiente e lo sveglia a pizzichi: - Oi… OIIII!
Sussulto.
Gemito.
Gesu’ bambino si ribella, ma solo un po’: quella e’ piu’ grossa e minacciosa. Poi ogni cosa si placa e tutti rientrano nei propri ruoli, pure il Padreterno.
Aleggiano le note di “Adeste Fideles, venite adoremus” e dopo le prime strofe appaiono tre bambini vestiti con tende e passamaneria.
Sono i re magi in tutto il loro sfarzo, un abisso rispetto alla mise di Maria e san Giuseppe che al confronto sembrano i barboni di un B-movie dal vago sapore arabeggiante.
Il primo dei magi, piu’ saggio e anziano, avanza verso la coppia di ninos de rua e, con una gestualita’ che ricorda le elemosine dei Grandi di Spagna, schiaffa tre carabattole ai piedi della Madonna. Sorride compiaciuto, si erge in tutta la propria statura (poco piu’ di un metro) e declama con voce stentorea “Ecco i nostri doni, [pausa ad effetto] o Maria, ti porto oro, incenso e birra”
Un drogaparty in Costa Smeralda.
“Mirra, MIRRA!” geme una suora a braccia protese. “Talassa, talassa!”, sembra l’Anabasi di Senofonte.
Gia’, mirra, ragiono…
Che poi, cazzo e’ ‘sta mirra?
Ve l’assicuro, laggiu’ in “giudea” non l’ho mai sentita nominare: e’ una parola da cristiani, tipo kyrie eleison, penitenza e condono (o quall’altra roba li).
Andando ad intuito potrebbe essere una specie di cibo, magari un piatto mitteleuropeo come i crauti e il baccala’. Forse era un alimento di base, forse l’antenato del pandoro. E poi? Fu soppiantato dall’avvento della patata o sconfitto dallo strapotere della pizza takeaway?
Voci di corridoio dicono che sia una spezia e un profumo… sara’, myrr in erbraio vuol dire “amaro”, e se qualcuno mi dice “Nad, sai di amaro” lo interpreto come un delicato invito a tuffarmi in una doccia. E in fretta. Quindi ‘sta mirra potrebbe essere un fossile linguistico incastonato nella liturgia natalizia oppure il frutto metamorfico di una mutazione interconsonatica. Birra! C’ha ragione er ragazzino! C’e’ materiale per una tesi: Il proibizionismo al concilio di Nicea.
Sto evidentemente perdendo contatto con la realta’, deve essere il freddo siberiano.
Cerco di tornare in me e mi accorgo che la recita e’ finita perche’ sul palco e’ salito un prete. Arringa la folla col microfono e chiede soldi per non so quali lavori di restauro. Non cambiano mai.
I convenuti gia’ cominciano ad alzarsi, teste e giacche ondeggiano come marosi. Cerco Lara e la individuo insieme ad un gruppetto di amichetti coi capelli rosso fiamma comunemente detti “i Weasley” (il pelo rosso non e’ cosi’ raro a Venezia). Nel frattempo si avvicina mio marito che mi chiede - Allora? Come e’ andata?
- Beh, surreale… mi ha fatto venire un sacco di idee.
- In che senso?
- Nel senso che tutto cio’, per me, e’ come una passata di fosfati.
- Cioe’?
- Concima: guardati in giro, guarda quanti paradossi tutti concentrati insieme. Guarda i genitori, i nonni, le manie, i protagonismi familiari.
- Ma per i bambini e’ bellissimo!
- Non lo metto in dubbio, loro giocano e sono ancora troppo piccoli per aver assorbito grandi sovrastrutture, ma non altrettanto vale per gli adulti… cerca di astrarti, ok? Invece di vedere un’unica recita, sforzati di vederne due: una sul palcoscenico e una in platea. Speculari, come le facce di una medaglia.
- Ying e Yang?
- Perfetto! Vedi che quando vuoi mi segui?
- Sei un mostro! – ha la bocca sottile, la delusione stampata negli occhi - E’ una recita di Natale, non puoi vedere tutto cosi’, sempre alla ricerca del grottesco. Qui c’e’ gente che ci crede!
- Appunto.
- Uff, fredda e aliena, spero che Lara non abbia preso da te. Sei spoetizzante.
/Spallucce/ Ognuno spera sempre il meglio per i propri figli. Naturalmente lo faccio anch’io. Col mio metro.
Stiro un sorriso, alzo le sopracciglia e ripeto: - Spoetizzante?
- Gia’
Puo’ anche essere… pero’ mi tengo bene, pompo meglio, ti do il culo e mi piace. Alla fine e’ questo che ti frega, vuoi vedere?
Gli stringo la mano e civetto: - Andiamo al bar?
- Massi’, dai. Due spritz?
- No, per me una mirra. Amara. Una Guinness.
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