Al di là del sottopassaggio




Mi avvio verso la meta.
Sono tranquilla, ho visto il posto dalla pensilina tante di quelle volte che non credo avro' problemi a rintracciarlo.
Supero il binario 5, supero il 7. Il 10. E' l'ultimo? Boh.
C'e' come una scala che sale, alla fine. Dritta di fronte a me, non laterale. Ho l'impressione di vivere un'adventure, uno di quei giochetti per PC alla Medal of Honor. Sali la scala, spara. Scendi la scala, spara. Tutto uniformemente grigio. Squallidetto. Supero un magrebino e mi chiedo dov’e’ il mio Uzi. Dannati riflessi condizionati.

L’immagine mi sfiora appena la periferia del cervello e gia' sono "fuori", al di la della stazione. Mai stata qui. Che cesso di citta'. Un paesotto con velleita' di Grandeur.
'Fanculo, sono qui per uno scopo, io.
Uno scopo nobile, non per valutare deprimenti realta' urbane e denunciarle ad Amnesty.

Pochi minuti, meno di cento passi e ci sono.
La prima volta manco clamorosamente la porta.
Non e' mimetica, ma cosi' anonima che sfugge. Come la parete mobile d'un castello scozzese.
La supero, mi trovo nel vuoto come Ratman, bestemmio e torno sui miei passi.
Poggio la mano ed apro.

L’interno e’ spazioso. Ampio, luminoso con tanti parallelepipedi trasparenti pieni di oggetti. La disposizione ha un che di asimmetrico ed artistico: le bacheche sono sparse nella stanza, ci si gira attorno come in una galleria d'arte. Non sono irregimentate alle pareti, questo voglio dire.
Probabilmente e' lo chef-d'oeuvre d’un coreografo fallito.
L'apprezzo molto.

Davanti a me, dietro la cassa e circondato dalle copertine di succhiacazzi sfondate, c'e' un tizio. Quarant'anni, forse trentotto. Fisico asciutto sul metro e settanta. Capello lungo, faccia da sopravvissuto ad un'adolescenza da banilieue. Un personaggio di Camus.

"Salve" guarda senza fissarmi, sfuggente. Il tono e' gentile, quasi incoraggiante, ma con uno strano timbro che mi fa gorgheggiare un ghigno sadico. Intimamente sadico.
"Ciao" sorriso smagliante "sto cercando dei vincoli, delle manette di stoffa, velcrate e con anello per moschettone".

"Uh?!"
Descrizione eccessivamente dettagliata. Approccio da spesa all’Esselunga e privo di afflato cospiratorio, no, no, proprio non ci siamo. Si vede che non sono una habitue’, mi manca la metalingua, quello sguardo d’intesa da artista del pocker.
"Beh, veramente si, ho qualcosa". E’ cortese. Glissa sulla mia indelicatezza e si dirige verso uno dei parallelepipedi trasparenti.
"Queste" indica un paio di grossi bracciali neri, in cuoio, borchiati. Molto cattivi.
"Ma sono in cuoio!" osservo delusa.

"Si, in effetti si. Ma se vuole ci sono anche rossi" perche’ quello e’ l’essenziale sfoggiarli in tinta con la maglietta del Che.
"In cuoio rosso?" puntigliosa.
"Si, si, cuoio rosso, ma il moschettone metallico e' uguale"
"Interessante. Vengono 40 a coppia, vedo. Impegnativo... mmm, senti, ma non hai qualcosa di piu' morbido?"
"Hem, no. Solo questi"
"Ebboia..." sono perplessa, molto perplessa e lo do a vedere.

(Il tipo subodora che l’affare gli sta per sfumare. Gli rode. Deve far qualcosa per recuperare. Trovato!) "Ma poi ci sono anche le manette!" gli si illumina l'occhio.
Filetto alla voronoff, pernice farcita al passito di pantelleria, manette. La nostra cucina non teme rivali. L’idea e’ quella.

"Troppo Starsky & Hutch"
"Anche manette col pelo!" (ma chi, chi non le vuole? Rosa, magari, che fanno tanto Heidi a Las Vegas)
"Intrigoso! Ma no, no, non e' quello che cerco. Voglio qualcosa che mi permetta dinamiche fantasiose, capisci? Nuove, articolate... "(cerco di caricare lo sguardo di malizia sessuomane) "senti, fammele toccare, fammi valutare con mano, ok?"
"Certamente".
Apre il parallelepipedo, me ne porge una.
Dura, veramente dura e un po' scomoda. Me la giro attorno al polso. La fisso. “Me la chiudi tu, per favore?” Esegue. Chissa’, mi dico, forse dopo non si sente tanto. Ma no, no… "Mmm… troppo. Sfreghicchia..."
"Vedrai che dopo si mollano"
"Sara', ma secondo te vanno bene anche per le caviglie? Di diametro, dico"

Si scosta quasi di colpo.
Eccolo. Lo schwerpunkt. Il punto di rottura.
"Credo di si... "
"Sono perplessa, ma forse hai ragione"
"Beh, queste sono quelle che usano... si, insomma, quelli... quei tipi la, a cui piace fare certi giochetti" la mano vaga allusiva a mezz’aria.
"Sono molti?"
"Un tot..."
"Si, ma tra le tue conoscenze, tra i tuoi clienti? Per curiosita' hobbistica, mica per altro".
"Uh, ghgh, alcuni..." si sostiene ad una vetrinona che espone inquietanti cazzi equini. Ragiono che nessuna creatura umana potrebbe scopare con uno di quei cosi "... ma... beh…"

Ho pieta'.
Talvolta persino io posso provarne "Speravo qualcosa di piu', sinceramente, e non credevo che fosse un prodotto cosi' di nicchia" mi rigiro l'attrezzo tra le mani, ma non lo ripongo "sai che faccio? Mando un sms al mio uomo, voglio il suo parere. In fondo e' un regalo." (E voglio anche che mi muoia sul posto, il mio uomo. Che si cerchi uno spigolo e lo prenda a testate per quanto mi desidera. Questo, pero’, non glielo dico al tipo. Ve l’ho detto che sotto sotto sono buona).

"Ah... " ma il suo sguardo, il suo sguardo! Un topo in trappola.
"Aggia' che ci sono, c'e' un'altra cosa di cui ho bisogno"
"Ah... "
"Piu' semplice questa, piu' ordinaria"
"Ah... " devono essere le candele. Ho tutta l’intenzione di girare la chiavetta all’infinito, ma….

Colpo di scena. Si apre la porta.
Voglio vedere chicazzo e' l'inopportuno, lo pretendo!
Il padrone gli dardeggia subito uno sguardo traboccante di gratitudine. Un naufrago del Titanic e il suo soccorritore. Quasi toccante.

Il tipo che entra, invece, e' un regalo inatteso. Sui venticinque anni portati malissimo.
Alto, molto alto, oltre un metro e novanta. Capellume marrone topo. Fisico ad imbuto rovesciato. Spallette mingherline (in rapporto all'altezza), petticino appena un po' piu' consistente, panzetta. No, non e' proprio panzetta, non e’ grasso ciccione, dico. E' il preludio di inevitabile panza. Un marchio del destino.
Ha una T-shirt anonima, un paio di pantaloni ne' lunghi ne' corti, di quelli da diseredato che si usano adesso. Scarpe da ginnastica, una cosa in mano.
Eppure tutti questi son solo dettagli.
E' il suo viso che colpisce. Lo sguardo.
Il volto e' tondo, pacioccone ma anche un po' sfigato.
Lo sguardo e'... cazzo, ha degli occhi bellissimi, azzurri, grandi, ma senz'anima. E' lo sguardo da 10.000 miglia, quello dei marines impazziti nella giungla di Da-Nang. E’ lo sguardo di quella ragazzina del National Geographic, l’Afghana dagli Occhi Verdi. Solo che in lei vedi mille emozioni, mille dolori ingiusti che ti martellano la bocca dello stomaco. In quegli occhi verde-senza-speranza ti ci perdi tanta e' la loro vitalita'. Quelli di questo ragazzo, invece, sono pozze azzurre e spente. Prive di scintilla vitale. Due buchi con le occhiaie intorno. E' uno Zio Fester giovane e smarrito, un tossicodipendente del sesso.

"Vi-de-o", scandisce. Lerch, non Fester.
(Ma allora parla!)
"Vi-de-o... DVD" insiste.
"Siiii ???" lo incoraggia il padrone
"No... non fun-sio... na" le ultime sillabe escono sussurrate, un’esalazione spossata.
Io gli fisso le occhiaie. Non posso farci niente, sono magnetiche.
"Vediamo cosa si puo’ fare" interviene, pragmatico, il negoziante appropriandosi dell’oggetto incriminato. Cincischia velocissimo, mentre la mano del ragazzo-morto resta appesa a mezz’aria, come se un lembo del suo spirito fosse vincolato al vi-de-o da un rito sciamanico Il contrasto e’ affascinante, da un lato c’e’ la fulmineita’ di un prestigiatore di porno, dall’altro l’agonia di un paziente in dialisi ripreso al moviolone.
Mi sto perdendo qualcosa, lo sento.
Non posso essere solo spettatrice di questa cazzo di scena. Lo rimpiangerei, mi darebbe l’impressione di non aver mai vissuto veramente, mi capite?
Intervengo, Banzai!

"Nel frattempo... si, l'ultima cosa che poi vado, ok"
"Si, certo"
"Palline anali" la voce e' squillante "ne hai, vero?"
La testa del ragazzo-morto oscilla, ma l'occhio non tradisce alcuna scintilla d'attivita' cerebrale.
"Li, si... tutte quelle che vuoi"
Adocchio... "Beh, tutte.. ne hai d'acciaio?"
"Come?"
"Metalliche o almeno che sembrino tali. Da mettere in frigo un po' prima, molto, mooooolto intrigoso: prova."
"Hem, gok, grm... no, le ho di plastica"
"Ma pork...” sono stizzita, stizzita e delusa come una che va al ristorante cinese e si sente dire che sono finiti gli involtini primavera. Ma si puo’? “Vedo che ce ne sono di oblunghe, pero'. Bicipiti. Bi-pallute, come una fissione cellulare strozzata al centro"
"Come cheeeee?"
"Strane"
"Ahhh" (comprensione) "Si, certo: le case"
"In che senso?"
"Le case! Le case!"
(Ah, si, certo: le case. Evidente) "le case..." ripeto, tutto chiaro ora. Io sono Bilancia.
"Ogni casa ha le sue" ho finalmente beccato un argomento che padroneggia "e sono diverse per forma, colore, tante cose. Anche prezzo: le case. Ognuna fa come vuole"
"Illuminante. Ne vendi molte?"
"Uh, una strage si"
"Ma tu guarda…" e nella testa penso: Padova ==> palline anali.
E' un sillogismo naturale, come Zanzibar ==> spezie, Ontario ==> pelli d'orso.
"E nessuno le vuole metalliche?"
Mi guarda sconsolato, apre un po' le braccia "No" mormora. Ed e' quasi una scusa. Un po' come se mi dicesse che son dei luridi bacchettoni bastardi frigidi e baciapile (ma non le pile giuste), che gli affari andrebbero molto meglio se in questo cazzo di buco di culo di pianura la gente scopasse di piu', avesse fantasia. L'orizzonte madreperlaceo dell'S/M morbido, le Palline da Frigo, qualcuno che possa apprezzare lo sforzo coreografico del suo negozio. Tutti miraggi, miseria ladra! Come quello d’una porta d’ingresso che non si vergogni d’essere tale e di vetrine umane dove - anche lui, cazzo – un giorno potra’ esporre la sua merce come gli altri negozianti. Moralisti, razzisti, stronzi, inutili pallinari. Tutti! Disgraziati! E anche tu… si, tu, videospastico, il DVD devi inserirlo col disegnino verso l’alto. Mmmmggg mi verrebbe voglia di sparatelo su per il culo, guarda, seguito a ruota dal cazzo equino torchiato dalle manette a moschettone. Quelle rosse. SBRAT e ti faccio diventare normale. Scommetti?
Tutto sta in quelle mani semispalancate, in quel no.
La sintesi della gestualita’.
Il vero esperanto.

Decido che mi sta simpatico, questo tipo. Mi sa che tornero’ da lui.
Prendo le palline. Di plastica ma azzurre, perche'... perche' si. Fatti miei.
Pago i 10 euri, e mi giro verso la porta.
Be-bip, sms-a il cellulare.
"Uh... op... no... no. Non fun-sio-na" sillaba qualcuno dietro di me.
“Giralo” sussurra una voce colma di stanchezza.
“Ahhhhh!”
BLOM, la porta si chiude ed io torno nel grigio.



Nadja Jacur

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