Tra sogno e realta'



Ecco fatto, il portellone si chiude con un sospiro pneumatico e il pilota manovra per raggiungere la pista di decollo. Io, che da stamattina che non vedo l’ora di partire, do il mio contributo all’operazione ondeggiando col busto come farebbe mia figlia. E hop! E hop! Forza, dai, muoviti. “Bola”!

Per ingannare l’attesa guardo le hostess che illustrano le misure di sicurezza.
Che due ovaie, come fara’ mia sorella a fare questo mestiere proprio non lo so: monotono, ripetitivo, sempre il sorriso stampato sulle labbra.
In un lavoro normale se hai la luna storta puoi sempre sbranare il vicino, in questo no: sei condannata ad uno squarcio perenne che ti taglia il viso da orecchio ad orecchio. Cheeeeese.
Bestiale.
Non mi stupirebbe scoprire che per ottenere l’effetto si iniettano generose flaconate di botulino.

Ah, un’altra cosa, poi: ma le hostess non dovrebbero essere belle come nereidi e fascinose come ninfe dei cieli? Gia’, perche’ in tutta onesta’, se quello che ho davanti agli occhi e’ un campione rappresentativo della categoria, mi duole constatare che il mito delle hostess schiantose e’ giusto un tantinello sopravvalutato. Per carita’ non dico che siano brutte, ma non sfoggiano certo la commovente bellezza che viene loro tributata da buona parte della popolazione maschile.
Queste qui per esempio sono alte. E magre. E bionde. E basta.
Insomma, delle tedescotte tipiche di quelle a morfologia longilinea: culo basso, poco seno, gambe splendide… ma essendo hostess son rovinate dal polpacciotto gonfio, quasi una citazione di quel delizioso stinco di maiale speziato che servono qui, nel Brandeburgo.
Cazzo ho fame. Tanta fame.

Forse perche’ sono le sette di mattina e non ho fatto la colazione pantagruelica con la quale mi sono viziata in questi giorni.
Pensa, sono partita in fretta e furia trascurando perfino di nutrirmi. Ma quanto ti desidero?
Ok, ok, adesso non ti montare la testa.
In questa settimana non ho sospirato H24 come Melanie Hamilton in “Via col vento”: il tempo mi e’ passato abbastanza rapidamente, tra impegni lavorativi e Silvano che si esibiva in una selezione scelta delle sue gags involontarie. Davvero, non mi sono quasi accorta di come le ore scivolassero via veloci.
Gia’, ma questo accadeva di giorno. La sera… la sera invece ti pensavo. Sognavo il tuo odore, la tua saliva sulla mia pelle terribilmente secca (poi ti faccio vedere quanto e’ secca). Sognavo un punto di calore nel mio letto, avvolgente e carezzevole, che mi sottoponesse con tenerezza alle medesime intime attenzioni che io metaforicamente riservo a Silvano. Sognavo cio’ che accadra’ fra meno di due ore.

Anche adesso ti sto sognando ad occhi aperti e sarebbe piu’ piacevole se qui accanto a me non ci fosse un tipo che si agita. E’ una specie di mongolfiera umana, un vero monumento di carne tremolante che da quando siamo saliti a bordo continua a sbraitare incazzoso all’indirizzo delle hostess.
Di lui ho capito solo tre cose: che e’ un cafone, che e’ affamato e che e’ di Postdam. Fine.
A guardarlo cosi’ vien da domandarsi come diamine sia riuscito ad incastrarsi in quella poltroncina: e’ un vero insulto vivente alla FAO, trasborda incontenibile da ogni parte e per liberarlo si imporra’ l’utilizzo di un enorme calzascarpe unto con grasso di balena.

Meno male che un po’ alla volta si sta calmando.
Ha abbassato il tono di voce e non grida piu’. Ora borbotta, si rivolge a me alla ricerca di una sorta di sostegno di categoria e manda esplicitamente a fare in culo le hostess che, a suo avviso sono tutte, indistintamente delle luride cagne bevicazzi.
(Cheeeese. Ma come diamine fanno).
L’omone mi ha apparentemente presa in simpatia e cio’ lo spinge a cercare un contatto dialettico. In realta’ parla quasi solo lui, fa lo spiritoso e ride da solo, ma e’ talmente ingordo che si mangia anche le parole e faccio fatica a seguirlo.
Per farla breve, la nostra conversazione e’ cosi’ intrigante da convincermi, in appena una decina di minuti, che il mio interlocutore oltre ad essere maleducato e rozzo e’ anche talmente ottuso che a definirlo idiota si svilisce una categoria.

Improvvisamente, a suggello di quella che voleva essere una battutazza golosa, mi appoggia con nonchalance la mano sulla gamba. Per sbaglio, certo: ti sbracci dal ridere e paffete che un arto sovraeccitato si smarrisce tra le cosce della vicina.
L’ho napalmizzato con uno sguardo al fulmicotone che deve avergli rattrappito i coglioni da qui a sette generazioni. Saggiamente si e’ subito scusato, ma se ci riprova - com’e’ vero Iddio - gli pratico una tracheotomia d’urgenza con questa stessa penna che sto usando per scrivere.

Ecco, siamo decollati e sono sempre piu’ impaziente di vederti. Si, lo ammetto, ho una voglia tale che ti salterei addosso.
So che quando scendero’ dall’aereo tu sarai li ad aspettarmi, con la barba fatta e tutto bello profumato. Ti sarai messo i boxer neri, quelli turbofascianti che mi piacciono tanto, quelli che ti disegnano il culo di un centometrista di colore.
Ti morderei le chiappe a sangue, ma ti daro’ un bacio e nulla piu’.
Solo i miei occhi tradiranno cio’ che provo e cio’ che avrei voglia di farti. Li, ipso loco, alla reception dei voli continentali, sul tapi-roulant delle valige, ovunque se non avessi il pudore di cui il mio sguardo e’ privo.
Chissa’ come ti piacera’ essere baciato… preferirai un bacio discreto dato con le labbra appena appoggiate, un leggero tocco sul polso, i miei capezzoli che ti sfiorano attraverso la polo? Oppure pretenderai un abbraccio caliente, la mia vita prigioniera della tua morsa scimmiesca, le braccia sul collo, la mia lingua che ti scopa la carotide come la sondina di un intubato? Forse il primo, si, per una questione di contegno. Le scene da ricongiungimento familiare “missing-in-action” sono troppo plateali per i nostri gusti: le valige che cadono, la gente che applaude, i turisti americani che lanciano quelle loro grida da rodeo “yiiieeppi-yae-yeeee”.
Un po’ eccessivo, suvvia. In fondo non e’ sempre necessario farsi riconoscere.

Aspetteremo giusto qualche minuto e poi magari lo faremo in macchina.
E’ da anni che non lo facciamo piu’ li per via della scomodita’, ma una settimana di astinenza monacale comporta ripercussioni sostanziali nella visione relativistica del cosmo: mostra le cose nella loro pura essenza, espande le percezioni dell’io immanente e trascende il karma azzurro delle idee per sprofondare in quello rosso acceso della manifestazione materiale. In soldoni, tutto d’un tratto i disagi di una scopata in una cinqueposti mi sembrano del tutto secondari rispetto al dramma di dover aspettare un’ora in piu’.
Allora magari ci infratteremo in qualche viottolo di campagna, all’ombra di un giovane boschetto di pioppi. Laggiu’ potro’ finalmente piegarmi su di te, baciarti dove sei piu’ sensibile. Potro’ sentire quel tuo profumo che mi sgretola le inibizioni… Oh si, mi sto bagnando all’idea che tu mi metta la mano sulla testa e mi costringa a farti un soffocane. Mi sto bagnando e sono ridotta talmente male da trovare eccitante persino la prevedibile scomodita’ della leva del cambio che mi stupra l’ombelico.

“Wunderbaaaaaaar!” Alzo la testa di scatto, possibile che nella foga dell’immaginazione abbia parlato a voce alta e che il bigne’ umano si sia fatto strane idee? Ci stanno servendo il caffe’, ecco cos’ha liberato l’incontenibile emozione del vicino.
“Dankeschön”.
Pero’, ora che ci penso altro che “wunderbar”: tu in quelle condizioni non potrai mica ricambiare la cortesia, o piu’ che altro non potrai farlo come si deve e questo non e’ mica tanto polite.
Sai come mi piace, no?
Sentire la tua lingua umida che mi percorre il solco delle natiche, sentire che si insinua nel buchino piu’ stretto, che lo bagna, lo ammorbidisce premendo con delicatezza senza riuscire a penetrarlo se non con un po’ di saliva.
E poi il tuo respiro caldo e la tua bocca che lentamente risale grufolando, divorandomi le labbra, bevendo il mio piacere, quello di cui sei ghiotto, quello che dici essere dolciastro o salatino con l’irregolarita’ stocastica di una moneta. Perche’ fondamentalmente quando la lecchi non capisci piu’ un cazzo e sai solo che ti piace.
Per farlo bene occorre che mi sieda sul bordo del divano, con le gambe spalancate per te. Poi mi lascio andare indietro fino quasi a distendermi, permettendo alla tua lingua di spadroneggiare arrogante da una sua tenuta all’altra, come un latifondista della Lousiana… che poi, diciamocelo, quest’immagine di un possidente genuflesso nel salotto di casa che implora di farmi godere, la trovo intrigante anche per altri motivi che sarebbe inopportuno illustrarti qui in dettaglio…

No, nella nostra macchinetta non riusciremmo mai a fare tutto cio’: tu dovresti incastonarti davanti al sedile del passeggero come un contorsionista in rocambolesca fuga da Berlino Est. Io dovrei mettere una gamba sul cruscotto e l’altra quasi sul volante… scomodissima e per di piu’ fuori baricentro (scusate, deformazione professionale), con l’unico vantaggio che se ci incastriamo posso accompagnare le tue bestemmie di soccorso con vigorose tallonate sul clacson.
Meglio se consumiamo a casa, no?

E nudi, su, a ramengo quelle scemate di lingerie che tanto fanno impazzire gli uomini. Nuda: carne e sangue e pelle e voglia. Questo sono.
Nessuno straccetto grazioso di seta o pizzo deve rubarmi il calore secco delle tue mani.
Spero di aver freddo, cosi’ sara’ ancora piu’ bello… anzi, altro che divano, il tavolo della cucina!
Mi siedero’. No, mi sdraiero’ sul marmo ghiacciato e mi faro’ esplorare dalle tue dita. Rinuncio al maligno e alla visione allegorica della borghesia in ginocchio. Per leccarmi potrai persino accomodarti su uno scranno vescovile (che come tutti sanno sono studiati allo scopo, anatomicamente i migliori sul mercato) e mi spalancherai le gambe, me le terrai dolorosamente larghe con le mani bollenti mentre le tue labbra premeranno sul clitoride, la lingua lo esporra’ turgido per permetterti di aspirarlo a meta’ tra un micropompino e la suzione di una cannuccia di lemonsoda. Tu hai l’idea di quanto mi fai godere cosi’? No, vero?

Guarda, a ‘sto punto fammi fare la viziosa fino in fondo: spero che tu non ti sia fatto la barba. Anzi, spero che tu non te la sia fatta nemmeno ieri.
Si, lo so che prude un po’. So anche che sei piu’ carino senza, eppure se mi devi leccare ti preferisco con la barba di due o tre giorni.
Perche’?
Tu non ti preoccupare e fidati, che in questo campo dello scibile la mia mente analitica da il meglio di se.
Tu concentrati sul mio clitoride, fa quello che hai sempre fatto, grufola in liberta’ come un cinghiale sul buco lasciato da una talpa, agitati come l’istinto e Madre Natura ti impongono.
Alla fine - dice il saggio - avrai tutto il mento bagnato. Te lo puliro’ io con le labbra e se mi pungero’ con la barba, pazienza…

“Wunderbaaaaarr!” Oddio, che colpo! Che cazzo c’e’ adesso?
Un hostess a 32 denti porge un vassoietto azzurro con l’immancabile spuntino.
Due mani paffute e grifagne lo agguantano con l’esuberanza famelica di un nino de rua.
Ora Jabba The Hutt e’ felice: e’ li che intinge un panino al sesamo in una specie di insalata russa, lo azzanna con volutta’, rumina, si ciuccia le dita unte e mi sorride appagato. Penso che avrebbe la medesima espressione subito dopo essersi sbattuto un hostess vergine (esistono?) nello shakerante frullio di una folle turbolenza.
Cheeeeese.
Dio che schifo.
Gli offro anche la mia insalata russa e so di essermi fatta un amico fedele come un Golden Retriver.

I miei pensieri continuano a vagare, interrotti appena dalla voce gracchiante e quanto mai sgradita dell’interfono “I passeggeri sono pregati di allacciare le cinture di sicurezza e si ricorda che su questo volo e’ severamente vietato fumare”. Che strano accento… non riesco a capire se il pilota sia inglese o tedesco, ma chissenefrega. Tra venti minuti saro’ a terra. Venti… devo farmeli passare.
Una buona idea e’ pensare a quando ci trasferiremo dalla cucina al talamo nuziale, quell’altare molleggiato dove si consuma il mio sacrificio per te.
Avro’ la schiena congelata dal contatto col marmo, sai? Cosi’ fredda che mi forse mi verra’ la pelle d’oca, brrrr… Mi stendero’ bocconi e tu la dovrai scaldare. Col petto, magari.
Voglio che mi immobilizzi sul letto. Sul nostro letto…
“Wuunderbaaaaaaaaaar!” Ancora? Certo che ‘sto tizio deve aver un vocabolario ben limitato… ah, no, stavolta era un ruttino. Pero’, com’e’ meravigliosamente multitasking la lingua tedesca!

Allora, dove eravamo? Ah, si tu che mi scopi bestialmente sul letto… Mmmm, mi sa che cosi’ non reggo per altri venti minuti: ho te nella testa e nel cuore, ma accanto c’e’ solo biomassa digerente.
Devo pensare ad altro.
Forza.
Concentrata.
Un bel respiro e oooohhhhmmmmmm…
Dunque, il letto, si, il nostro letto… lui mi e’ mancato quasi quanto te, l’avresti mai detto?
Probabilmente no, se non conosci i letti tedeschi.

Amore mio, mi hanno spiegato che e’ tutta una questione storica: gli antichi germani dormivano sulla nuda terra, come si addice ad un popolo rude, cazzuto e di rara immaginazione. Solo gli artisti, gli effeminati e le piu’ esclusive donne di malaffare si concedevano il lusso frivolo di una stuoia di pelle di vacca.
Bisogna aspettare il basso medioevo perche’ il primo letto faccia la sua comparsa in terra germanica: ad introdurlo pare sia stato un vescovo dissoluto che aveva venduto l’anima alla multinazionale vaticana e si era lasciato corrompere dagli stravizi dei degeneri popoli del sud, i quali vengono metaforicamente rappresentati negli incunaboli dalle sozze figure di due benedettini depravati, bassi, bruni e tarchiatelli.

Il dialogo tra questi personaggi ci e’ stato tramandato solo per via orale, ma fu senza dubbio un momento indimenticabile. Hai presente “Non ci resta che piangere”, il film con Benigni e Troisi? Hai presente la scena in cui protagonisti cercano di “spiegare la locomotiva” a Leonardo da Vinci?
Ecco, immagina una situazione quasi identica nella Magonza del decimo secolo: due frati ispirati che insistono “Eminenza, se pole fare! Se pole!”
E il vescovo rapito “Affe’ mia e’ un’invenzione rivoluzionaria! Con essa conquisteremo il mondo! (Un ossessione genetica giacche’ il vescovo, anche se immorale, restava pur sempre tedesco). Got mit uns (non e’ ancora chiaro se sia un’invocazione o un gorgheggio, tipo “gollum”)”.

Purtroppo o per fortuna l’alto prelato non era Leonardo da Vinci, percio’ all’atto pratico incappo’ in qualche difficolta’ realizzativa che l’ostinazione alemanna ha tramandato fino a noi.
Il tipico letto tedesco, infatti, e’ tuttora privo di lenzuola e coperte, sostituite entrambe da un sottile piumino water-resistent di dimensioni accuratamente studiate: se ti copri i piedi si scopre il petto, i capezzoli si inturgidiscono a contatto con l’aria frescolina della notte mitteleuropea e il messaggio marconiano che irradiano e’:

…-.-.---.--..---.. s c o p a m i …-.-.---.--..---..

Ad operazione terminata ci si protegge il busto sudato col piumone ed automaticamente si scoprono i piedi (efficienza nordica) per intuibili necessita’ di aerazione.
Eppure il lenzuolo-piumotto non e’ nulla, perche’ la vera finezza artistica del letto germanico si puo’ apprezzare solo nel traumatico cuscino: un vero pezzo da Biennale nella sua assoluta, gridata inutilita’.
Il cuscino tedesco, infatti, si presenta come un quadrato imbottito che occupa quasi l’intera meta’ superiore del letto. Apparentemente voluminoso ma di fatto inconsistente come una promessa elettorale, cela un terribile segreto: nessuno ha mai capito come stracacchio si utilizzi.
Personalmente ho tentato di piegarlo in quattro, ma sembra sempre di avere a che fare con un canotto semisgonfio o il cazzetto a mezz’asta di un novantenne. Una tragedia.
Da qualche parte ho letto che un team di scienziati di Harvard (Massachusset) ha studiato l’attrezzo per anni con tanto di articolati e cervellotici progetti sperimentali. Hanno speso centinaia di milioni di dollari, hanno bruciato una moltitudine di cavie umane generosamente offerte dalle prigioni della contea di Krodeville (Alabama), hanno provato ad abbracciarlo, a raggrumarlo, ad arrotolarlo… niente.
La sua reale modalita’ di utilizzo resta tutt’ora un mistero impenetrabile anche per gli stessi tedeschi, che pertanto dormono malissimo ed unicamente per questo ridicolo dettaglio tecnico non hanno ancora conquistato il mondo.

Venti minuti sono passati e sono riuscita a non pensare alle mie chiappe gelide a contatto con il tuo sesso bollente, al mio ventre premuto sul cuscino (un cuscino vero, che sollevi per bene e ammortizzi le spinte), al tuo petto sudato che mi scalda la schiena e alle tue mani che mi bloccano le braccia.
Ho voglia di essere la tua schiava, chiudere gli occhi e sentire la tua lingua spennellante sulla nuca, un muscolo umido e carnoso che mi scivola sul collo, dietro le orecchie, dentro. E i miei lobi prigionieri dei tuoi denti, risucchiati dalle labbra in quel bacio famelico che fa un po’ male.
Ho voglia, si ho voglia di sentire la tua voce liquida, eccitata e finalmente non distorta dalla tecnologia digitale. La tua adorata voce che mi scopa le orecchie e il cervello, che mi prepara con un respiro caldo e umido a cio’ che mi farai. Cosi’ quando ti sentiro’ entrare non sapro’ se lo stimolo nasce dal ventre o dal culo, mi sale attraverso la pancia, mi prende il petto, il collo, la testa o se fa il percorso contrario spinto dal sogno delle tue parole.

Ecco che scende il carrello e l’aereo plana sulla laguna. Mi sono svegliata alle cinque in una Berlino fredda ed addormentata, ma lo spettacolo regalatomi dal finestrino mi ripaga della levataccia: sembra di atterrare sull’acqua e solo all’ultimo momento vedro’ comparire sotto di me le prime “barene”, i confini semisommersi della laguna.
Un sole ancora bambino sparge oro tremulo sui flutti e i suoi raggi rimbalzano sulle ali d’acciaio come una pioggia di luce. E’ un po’ come “… navi stellari in fiamme al largo dei bastioni di Orione, raggi beta balenare nel buio presso le porte di Tannhauser…”: Blade Runner.
Uno spettacolo fragile e magico che verrebbe irrimediabilmente rovinato se qualche insensibile mostro cercasse di commentarlo adesso, anche con la delicatezza di un sospiro.
“Wuunderbaaaaaaaaaar!”. Prima di atterrare lo sopprimo, dieci a uno che lo faccio.
//BOING//… Frenata.
L’omone e’ salvo e, ignaro, applaude il pilota sbatacchiando le mani col suono molle di una massaia che impasta lo strudel.
Sono talmente euforica che gli sorrido “Aufwidersehen und willkommen in Venedig”. Ciao bombolo, c’e’ il mio amore che mi aspetta.
Scatto, scendo la scaletta ed eccomi a terra.
Accendo il cellulare e trovo un tuo messaggio.
Le dita mi tremano un po’ mentre premo il pulsante ovale e il display dell’apparecchio carica le tue parole: un pensiero di benvenuto, un romantico bacio, una proposta indecente… << Scusa cara, ho avuto un contrattempo. Scusa davvero. TVTB :-* >>

Nadja Jacur

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