Fonte:
Il Nuovo
Data:
17.02.03
La
lezione della mummia del Similaun
Dal
16 febbraio è in esposizione al Museo della Scienza e della tecnica di Milano,
Oetzi, la mummia ritrovata sulle alture del Similaun. Un reperto archeologico di
importanza fondamentale per ricostruire la nostra storia.
di
Stefano Galli
MILANO
- Nei dintorni della metà del mese di ssettembre di dodici anni fa, una coppia
di anziani coniugi di Norimberga in vacanza in Alto Adige, Erika e Helmut Simon,
nel corso di un'escursione sulle Alpi Venoste scorge una strana sagoma che
affiora dai ghiacci nei pressi del Tinsenjoch, a oltre tremila e duecento metri
di altitudine. Si tratta del cadavere di un uomo che emerge bocconi dalla
cintola in su dall'acqua di fusione. Scattata una fotografia, i due scendono
rapidamente al rifugio e avvertono il gestore che – dopo aver avvisato sia i
carabinieri italiani, sia la gendarmeria austriaca - si reca subito sul luogo
del ritrovamento e, vicino al cadavere, oltre ai resti di corteccia di betulla
arrotolati, già notati dai Simon, trova altri oggetti: pezzetti di legno e di
corda, ciuffi di peli, di capelli e di paglia, brandelli di pelliccia.
In
quel momento avveniva una delle più grandi scoperte archeologiche della storia
dell'umanità, quella di Oetzi, la mummia congelata delle Ötztaler Alpen.
Inizialmente si pensa che il cadavere sia quello di un uomo scomparso nella zona
del Similaun qualche decina di anni prima, all'inizio della Seconda guerra
mondiale, il professore di musica di origine veronese Carlo Capsoni. Anzi, a
causa dei segni delle ferite e delle bruciature della schiena, viene addirittura
aperta un'inchiesta giudiziaria.
Proprio
in quei giorni, l'alpinista sudtirolese Reinhold Messner, il "re dei
quattromila", e Hans Kammerlander, fedele compagno di tante imprese, sono
impegnati in un'escursione lungo il confine italo-austriaco per difendere i
valori della pace, della tolleranza e dell'ambientalismo. Incuriositi per le
serrate discussioni udite al rifugio del Similaun, raggiungono il Tinsenjoch due
giorni dopo il ritrovamento dei Simon e osservano attentamente il cadavere, il
suo abbigliamento (i calzoni e le scarpe) e gli oggetti rinvenuti sul luogo (un
intreccio di paglia, un arco, una gerla, due recipienti di betulla e un'ascia).
Messner è il primo che, in una dichiarazione a un giornalista, si avvicina -
anche se con molta approssimazione - alla verità, poiché stima che il
ritrovamento possa riguardare un uomo di almeno cinquecento, se non tremila anni
or sono.
Le
operazioni di recupero del cadavere si svolgono nella giornata di lunedì 23
settembre 1991 sotto la guida del professor Rainer Henn dell'Istituto di
Medicina Legale dell'Università di Innsbruck che l'indomani convoca il
professor Konrad Spindler, ordinario di preistoria e protostoria dello stesso
ateneo. Dopo l'iniziale perplessità, Spindler - lo ha ricostruito con molto
slancio
Si
svolgeranno poi operazioni di indagine e meticolosi lavori di ricostruzione
dell'intero equipaggiamento rinvenuto nei pressi del cadavere, sulle alture del
Tinsenjoch, in quei giorni e nella spedizione archeologica dell'anno seguente,
nell'estate del 1992: la
Anche
le ricerche sul corpo proseguiranno. Oetzi era alto circa un metro e sessanta e
pesava una cinquantina di chili, aveva il 38 di piede, era senza denti del
giudizio e aveva i due incisivi superiori lievemente separati; il suo corpo era
coperto da numerosi tatuaggi - oltre cinquanta - sparsi in tutto il corpo
(schiena, polpaccio, tallone, malleolo, ginocchio: evidentemente con funzione
terapeutica). Quando è morto, Oetzi, che aveva appena mangiato una purea di
farro, carne e verdure, era molto stressato - come si evince dall'esame di
un'unghia - e aveva circa 45 anni. Ed è morto colpito alla schiena dall'alto
verso il basso, perché all'interno della scapola sinistra si trova conficcata
la punta di una freccia.
Probabilmente
stava scappando ed è stato colpito alle spalle alla luce della visibile ferita
molto profonda, che evidentemente gli ha causato un forte dolore e un'emorragia,
con la paralisi del braccio sinistro. Oetzi non morì sul colpo: soffrì a lungo
per il dolore e si tolse la freccia dalla schiena, ma la sua punta di selce
rimase conficcata nella scapola, e poi spirò. Forse era un pastore che stava
portando il gregge di pecore e capre ai pascoli alpini - mansioni di solito
affidate agli esponenti più potenti di una comunità - e fu vittima di un
agguato: abigeato?
Al
momento della morte, Oetzi era completamente vestito. Lo studio e la
ricostruzione del suo abbigliamento - che costituisce un'autentica rarità - ci
hanno rivelato che ai piedi portava delle rudimentali calzature costituite da
una rete e da un'imbottitura di erba secca, con una tomaia in pelle di cervo e
la suola in pelle di orso. Le gambe erano coperte da strisce di pelle di capra e
con la medesima tecnica era stato realizzato il suo perizoma. Il busto era
coperto con una sopraveste sempre di segmenti di pelle di capra dal colore
diverso e cuciti insieme con fili realizzati lavorando i tendini degli animali.
La sopraveste era stretta in vita da una cintura che davanti si allargava a
forma di marsupio, dove erano contenuti alcuni utensili: l'acciarino, una lama
di selce, una lesina realizzata in osso di animale, un perforatore. Oetzi
portava infine una mantella costituita da un ampio graticcio d'erba.
Subito
dopo il ritrovamento, viene sollevata la questione del confine per determinare
con esattezza se il luogo dove è stata rinvenuta la salma sia in territorio
italiano o austriaco e dunque attribuirne la proprietà. Alla fine si giunge a
stabilire che Oetzi si trovava a circa un centinaio di metri dalla linea del
confine italo-austriaco tracciato in occasione del trattato di Sain Germain
successivo alla Prima guerra mondiale, ma in territorio italiano. Dal punto di
vista politico, la gestione della vicenda da parte del presidente della
provincia di Bolzano, l'esponente della Volkspartei Luis Durnwalder, per il
quale Oetzi rappresenta il concreto mito delle origini dell'identità
sudtirolese poiché è quasi certo (in base alle analisi del legno con il quale
costruì i suoi utensili e del cibo ingerito per l'ultima cena) che fosse un
antico abitatore del villaggio di Katharinaberg in Val Senales, è molto
accorta.
Durnwalder
stringe presto degli accordi in base ai quali le ricerche, già da tempo
incominciate, proseguiranno a Innsbruck. Conclusa l'attività degli studiosi, Oetzi
tornerà a Bolzano in un museo creato per lui e, sempre in collaborazione con
gli scienziati austriaci, sarà varato il progetto di ricerca "L'uomo dei
ghiacci". E così avviene: il 16 gennaio 1998 Oetzi torna a casa e trova
alloggio nel Museo Archeologico dell'Alto Adige. In occasione del cinquantesimo
del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, tra le tante
manifestazioni, domenica 16 febbraio si è inaugurata la mostra L'alba dell'uomo
, con l'esposizione della mummia che per oltre cinquemila anni ha riposato sotto
i ghiacci del Similiaun.
Andiamo
a vederlo, questo straordinario progenitore di tutti noi che è ormai divenuto,
sin dal suo ritrovamento e dall'attribuzione
Un
uomo preistorico in "azione" così perfettamente conservato, con tutto
il suo equipaggiamento che ci lascia intuire la sua vita e il suo rapporto con
l'ambiente naturale, non era mai stato trovato né visto da nessun archeologo;
le nostre esperienze archeologiche con la preistoria, sino al settembre del
1991, erano limitate alle necropoli e ai resti delle ossa sepolte. E tuttavia,
per quanto stridente possa apparire il contrasto tra l'uomo dei ghiacci, il suo
abbigliamento e la sua vita, con la metropoli e la nostra cultura
postindustriale e postmoderna, c'è una sorta di sovrapposizione tra noi e la
mummia del
Oetzi
- ce lo hanno dimostrato le ricerche sccientifiche - era tutt'uno con la natura e
il suo ambiente alpino nel quale era completamente immerso ed era davvero
indifferenziato poiché da esso, e solo da esso, ricavava le risorse per vivere,
per alimentarsi, per vestirsi, per costruire la sua capanna nel suo villaggio.