Il corpo apparente viene alla luce dopo ventidue anni di silenzio, e di questo silenzio porta con sé tutta la feconda, solitaria tensione. Dario Capello aveva esordito nel primo numero di Niebo (1977) con nove poesie che avevano subito impressionato per la potente densità di pensiero, in cui si innestava una voce drammatica, allarmata, capace di cogliere con dizione netta le sfumature del dolore. E la voce è rimasta quella. Con in più una prospettiva, e un movimento. Se nei primi testi avevamo l'impressione di un oracolo fermo e assoluto, qui appare piuttosto la figura di un camminatore, di un'anima vigile e straziata che, vagando per Torino, concentra il suo sguardo sulla grande incompiutezza. Vagando per Torino. Questa città, luogo e non luogo, diventa il teatro di ogni incontro: teatro livido, pericolante, sempre sul punto di franare sullo spettatore e ricondurlo alle macerie di entrambi. (...) C'è poi un'altra Torino, singolare, inedita e davvero   creata dalla poesia di Capello. E' una Torino illuminata da bagliori di Oriente, dallo Zodiaco e dalle costellazioni. (...) Sono numerosi i testi in cui l'Oriente appare in tutto il suo potenziale di differenza. A volte in modo esplicito e quasi spiegato; a volte come presenza sotterranea che emerge solo per frammenti. Sempre però , in un caso o nell'altro, l'Oriente è il segno di una pienezza irraggiungibile.

Dalla Prefazione di Milo De Angelis (ottobre 1999)


Fissare la maschera

 

Quella fedeltà

che è ritmo delle cose non dette, sempre

alba e tramonto insieme, sempre così,

il passo cadenzato

su un bel nome dai riflessi morbidi

mezz'aria mezz'acqua

 

            prende forma altrove

forse nell'alt di un semaforo

quando gli occhi dell'iniziando sorprendono

un luccicare di pelle

terrestre, terribile.

 

 

Controtempo

 

Né vicina né altro

sul lungofiume verso il ponte Isabella

in lentezza da moviola

cerca un sinonimo di cielo attraverso

il tono della voce.

Intanto nell'ora dell'intimità dei coni

al cioccolato, dei croccanti

non si avvede di quel bambino, il portavoce,

drago stanato che sconcerta i nostri

giochi di carte, il sotto e il sopra:

 

"...tutto quel che avevo, e la giornata

comincia domani... ma chi può sorprendere

in altro modo il sogno degli dei..."

 

 

Il corpo apparente

 

dove ti piace, tra la gente

che ondeggia e torna a mani in tasca.

            Qui la tinta della luna appare

per gradi, procede dai vivi e dai morti,

li raggiunge

uno dopo l'altro

i rincantucciati, i raccolti nel grembo

 

anche noi, dagli antipodi, dai due angoli

di questa portineria

sentiamo l'oriente

nel pallore improvviso

che prendono i nomi, gli alfabeti

sciolti da non so cosa

 

 

Anche troppo, anche troppo dolce: preparato

 

Su ogni punto dello zodiaco slitta

la luce di questo giugno. E si annuncia

come può la Mesopotamia, l'andare e il venire

tra i tavolini di un bar,

guardando dritto, guardando bene

sono passate ore di cerimonia qui al Valentino

tra un sigaro e l'altro;

il trucco di chi rimanda i discorsi, prende tempo

e corpo in memorie non sue,

poi l'architettura dei giardini, il profondo:

cerchi, orbite, occhi d'acqua.

 

(da Il corpo apparente)

 

 

Sapienza

 

                    all'improvviso

"io sono lo spiraglio, e quel morire

di chi si avvicina,

sono congiunta al sole ogni volta

in passo spietato

prima di farmi vagamente

volto"

                    così, davvero in bilico

tra suono e dolore

 

 

 

eppure, tra finito e infinito

 

l'agguato di pioppi e angeli

sulla sponda, l'ombra del Po.

    Un destino qui di specchi velati.

Vita mia,

non mia, poiché tutto è vero

e il cielo corrisponde

allo sbaraglio, alle terrazze

e ai vasi in fila. Quale forza

tende i canottieri, quale minaccia.

    Li guardo dal ponte. L'acqua è così.

Cara alla notte.

 

(da Sfiorato risuona)

 

(da Il corpo apparente, 2000)



home