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Dario
Capello, dopo l'esperienza della rivista "Niebo", è
rimasto in un silenzio fedele alla poesia, lasciandosi aperta una prospettiva dalle molte
sfumature; in tutti questi anni egli ha affidato allo sguardo gran parte delle proprie
incursioni artistiche, senza dimenticare i percorsi bilanciati di una Torino vissuta come
luogo ricreato, una serie di angoli e profonde diritture raccolte sul grande fiume. Il
corpo apparente,libro concentratissimo e vibrante, rimanda al ritmo delle
cose, alle ondulazioni che formano la sostanza che circonda tutti noi, e apre una strada
dove l'irruzione di nuove contrade, dentro e fuori la città, non viene mai meno. La
visione sorprende "...un luccicare di pelle / terrestre, terribile." Negli spazi
delle stazioni i punti cardinali si moltiplicano, i passi dei viaggiatori si posano
ovunque: ecco dove i versi di Capello prendono la forza di uno stile, il senso primo della
loro esistenza; cercano parole e sinonimi che vadano bene per le strade e per il cielo che
non si specchia sull'asfalto, ma direttamente negli occhi dei passanti. Tutto sembra
confondere, gli enigmi hanno smaniose bellezze, e il fiume ha un andamento troppo placido.
Ma "un passo più in là" sono raccolte le traiettorie della gente che si muove
come in un oriente metropolitano, con un alfabeto tutto da spiegare. La presenza nera del
grande fiume si fa sentire fin dentro il tao della mente, negli esercizi psichici che
chiunque attiva prima di addormentarsi. Capello esplora le zone morte, gli anditi
nascosti, e per primo si sorprende delle parole che funzionano così bene sull'onda di
quello che accade. Torino invisibile è una pausa fra amici, stretti in un
"grazie" che accorda lo spazio più dei corpi, con voci che dileguano più che
il discorrere naturale. "E quale inizio muove i passi di chi sa / essere traccia, e
per questo non trema / non è più lui. / Vòltati, è tutto." Il non luogo non è
spazio lacerato, nel "Corpo apparente", ma una fila di pietre contingenti la cui
musica ricorda i giardini orientali, le campane che si fanno sentire sulla ghiaia e fra le
rarissime piante. Con uno sbilanciamento del corpo il respiro diventa più profondo, i
ricordi guardano dritto, e non c'è trucco fra la memoria e l'architettura della volontà.
Così quando i temi si spostano verso il margine dei boschi appenninici, in una specie di
viaggio repentino, come il gesto di una mano, lo stile si fa ancora più teso verso i
giochi d'ombre e di respiri che si alternano al dialogo diretto, capaci di presentire e di
aspettare le risposte altrui: "... quali labbra stavano per prendere / il sopravvento
/ dalla parte dei sentieri e del sole / irresistibili..." Ci sono sempre due vie, due
fianchi, dove raccogliere il fiore della genziana e del discorso, come ci sono sempre due
prospettive quando gli amici discorrono sul fronte di una via cittadina. Il tocco è
preciso ma non pesante, Capello sa come porre la poesia davanti alla soglia della terra:
"Bisogna toccare la terra, cominciare, alzarsi / in piedi. E' qui che le cose sono di
nuovo / loro, e vengono / da sole..." Nonostante la luce dei neon, le molte
apparizioni restano oltre la realtà e si innestano direttamente nel viaggio che le
porterà sui crinali. Il timbro di questa raccolta resta forte, rimbalza seducendo lo
sguardo fin dove nessuno direbbe, tra i molteplici sensi chiari e scuri che tengono
distanti le trappole notturne dei palazzi e degli alberi.
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