Sculture di Ornella Bernazzani
di Zaira Zuffetti Pavesi
Nelle opere di Ornella
Bernazzani si percepisce una profonda rielaborazione degli stimoli culturali che
non si sono depositati come semplice substrato, ma che sono stati rivissuti, assorbiti
e integrati fino a diventare parte inscindibile della sua personalità. L’attenzione
è volta ad artisti, pittori e scultori che hanno saputo interpretare la forma
come volume che concentra e racchiude lo spazio.
Ed è spesso proprio
un’emozione suscitata dalla contemplazione di un’opera d’arte a diventare stimolo
di una sua opera: l’arte come suggestione dell’arte. Nascono così, ad esempio,
la fanciulla sull’altalena che rimanda alla statuetta di Heraklion, o la mela nel
cubo di mattoni, tradotta da un quadro di Magritte, o Dione e Afrodite, dal frontone
del Partenone.
Tema predominante in queste
opere è la figura umana, o una parte di essa; gli elementi vegetali, quando
ci sono, sono un corollario alle figure, elementi d’appoggio, alberi che hanno proporzioni
sfalsate, per diventare robusto susseguirsi di pieni e vuoti. La figura umana è
resa essenziale dall’evidenza dei volumi e dalla contrapposizione delle masse e anche
qui non vengono rispettate le reali proporzioni anatomiche, abbiamo spesso mani e
piedi grandi, membra tozze, tronchi brevi, come in certe sculture di Wiligelmo.
Le figure della Bernazzani
sono forme plastiche che attirano e concentrano tutto lo spazio intorno, tutte le
voci, tutti i volumi, in un nucleo di materia addensata in un silenzio pregnante
e intenso: figure ieratiche e atemporali come certi idoli primitivi.
Ne è emblema il “Ritratto
di Lucy”, la donna che arriva dalla preistoria con quel suo sguardo stupito, cui
la tecnica dell’engobio regala un bagliore di luce, messa sopra un piedistallo di
tipo romano.
Anche gli abiti sono senza
tempo, così come le espressioni dei volti, e l’impressione di atemporalità,
unita al silenzio assorto e solenne che regna sulle sue opere pone questa umanità
fuori dalle epoche e dalle passioni, in un suo universo decantato e limpido, come
certe solitarie marine di Carrà.
Lo spazio si fa anch’esso
volume, commento alla forma, un vuoto che esalta la plasticità dei pieni.
La creta nelle mani di Ornella Bernazzani sa assumere la levigatezza commovente di
una superficie liscia, ma sa farsi anche scabra, accidentata e tormentata come nella
Cassandra, i cui abiti precipitano come fiordi in pieghe profonde e drammatiche.