Una Gita a Phosgenia

creazioni e distruzioni tutte insieme versa nell’ampia cavità del mio cervello, e fammi Dea, come se un vino ignoto o un acuto elisir senza pari avessi bevuto, divenendo immortale. (Hyperion, John Keats)  

 

Nei freschi e limpidi pomeriggi autunnali, attardandosi sulle spopolate sabbie della Versilia e socchiudendo gli occhi nel mentre che il sole piega repentinamente in mare, molti hanno creduto di scorgere sul filo rosato dell’orizzonte il contorno di un isola non segnata su alcuna carta nautica, la leggendaria Phosgenia. Che si trattasse solo di un miraggio collettivo lo asseriscono quanti non si sono trovati ad assistere direttamente agli eventi mirabili dello scorso agosto, quando l’isola si è brevemente materializzata a poca distanza dalla spiaggia di Viareggio, provocando un impetuoso fortunale elettrico. Alcuni hanno speculato trattarsi di un temporaneo fenomeno geotermico, altri hanno scritto di esperimenti nucleari sfuggiti ad ogni controllo o di una costosa e complessa burla tecnologica. I più, preferiscono invece considerare l’isola solo una volubile fantasia di visionari. Per la maggior parte dell’anno, del resto, una diffusa foschia nivea avviluppa completamente Phosgenia, rendendola invisibile anche agli onironauti più esperti. Per questo motivo, risulta pressoché impossibile determinare con esattezza la sua estensione. Le poche mappe di cui disponiamo, redatte sulla base di ricordi frammentari e contraddittori, forniscono solo una vaga traccia della sua singolare conformazione.

II terreno fortemente ondulato, di roccia friabile come tufo, disegna difatti un labirinto di viottoli lavici, cunicoli oscuri e levigati passaggi naturali, simili dall’alto alle circonvoluzioni di uno smisurato cervello. Queste rocce porose si ergono per oltre due terzi del perimetro insulare in alte e impervie scogliere, che ostacolano l’accesso a Phosgenia per vie tradizionali, proteggendo al tempo stesso le acque bizzarramente increspate del lago Mnemosyne, collocato a nord-ovest Questo è interamente circondato da tassi d’alto fusto, e orlato da un sottile manto erboso su cui fioriscono odorosi bouquet di violette del pensiero e non-ti-scordar-di-me. Per raggiungere il lago è necessario scalare, venendo da est, le falde nude e ripide del monte Silenzio, oppure riuscire a districarsi, provenendo dagli altri lati, nei dedali di rocce tra cui più di un incauto visitatore ha perso la vita, cercando  invano una via di uscita. Pare che le acque del lago abbiano la proprietà di restituire vividissimi anche i ricordi più lontani e sbiaditi, soprattutto quelli di cuore, nonché di rendere immortale chi abbia il coraggio di restarvi immerso per un giorno e una notte interi, sfidando le spaventose apparizioni dei più maligni e rancorosi oniroplasmi.

 

Phosgenia è all’apparenza completamente deserta. Solo in determinati periodi dell’anno si popola di visitatori solitari, quando per sfuggire gli schiamazzi carnevalizi o la ressa turistico-balneare taluni spiriti sensibili abbandonano la costa e cercano rifugio e conforto nella tranquillità irreale del ventoso monte Silenzio, dalla cui vetta è possibile contemplare l’incomparabile geografia dell’isola, o nell’incantata oasi di quiete della piccola rada sabbiosa che si affaccia sulla Baia Regina, oppure nella rigogliosa foresta tropicale generosa di frutti polposi che conduce alla vicina Baia del Plancton, le cui onde nutrogene rinvigoriscono la mente sviluppando oltremodo le qualità artistiche e poetiche. Seppure è possibile imbattersi qua e là in piccole capanne di paglia a forma di piramide, come quelle costruite dai primi agricoltori nei terreni bonificati della costa toscana, l’unico complesso di edifici dell’isola è la diafana città di Landor, posata come un merletto di cristalli sulla costa a sud-est prospiciente Viareggio. L’architettura composita del luogo denota inusuali suggestioni egizie, con palazzi molto più ampi alla base che al vertice, culminanti in ornate torrette, timpani e abbaini slanciati. Le strade strette, percorribili solo a piedi, conducono alla riva del mare, dove diversi opifici e pagode esotiche su palafitte si ergono sull’acqua. Anche la città appare innaturalmente silenziosa e deserta, i radi singoli visitatori sono immersi in letture nelle immense biblioteche o disseminati tra parchi trapunti di fiori di luce e teatri in cui si rappresentano surreali pantomime di ombre.

 

Ancora si compiono, in Landor, studi di pneumatica, mesmerismo, maculogia, musica psichica e altre discipline desuete, atte a permettere la sopravvivenza di Phosgenia e il tramandarsi della sua cultura millenaria. Solo il sussistere di un congruo numero di sognatori sintonizzati sulla corretta frequenza mentale può difatti impedire il progressivo disgregarsi della materia di cui l’isola si compone. Al centro esatto della città e collocata la Cupola dei Cerebri, un duomo circolare circondato da una intricata struttura di edifici in ferro e vetro opalescente, all’interno del quale persistono a fantasticare le emissioni oniriche dei visitatori deceduti, collocate in campane di vetro cilindriche disposte in serie di file ordinate, inghirlandate di gelsomini e caprifogli tra alambicchi e materializzatori d’immagini. Solo in un’occasione, il 2 di novembre, i cerebri escono in fila indiana dalla cupola, raggiungendo le rive del Mnemosyne seguiti da tutti i visitatori presenti sull’isola. Una sommessa cantilena (”mimnio athesa eioi, mimnio athesa eioi...”) accompagna la parata, mentre i phosgeniti compiono un periplo completo del lago lambendo le acque che garantiscono loro altri dodici mesi di attività psichica. Visitatori di ambo i sessi per la prima volta incrociano gli sguardi e si immergono nel lago azzurro, intrecciano delicate danze sulla riva e - anche solo sfiorandosi - si conoscono inntimamente nell’estatico scambio di ricordi. I più audaci, si appartano al riparo dei grandi tassi, mentre una giovane coppia viene prescelta e nominata per un giorno Reggente di Phosgenia. Gran parte di quanti hanno visitato la mitica isola non ricordano più nulla al risveglio, ma c’e anche chi si è sorpreso nel trovare al mattino le lenzuola singolarmente bagne e fragranti, o una viola del pensiero posata sul cuscino. Da quell’istante, costoro convivono con una languorosa e impalpabile nostalgia per luoghi mai visti e persone non ancora incontrate. Chi resta ammaliato da amore a prima vista, si dice abbia solo ritrovato la singolarità onirica con cui già ha danzato il ballo dei cerebri.

BaroniV

(to be continued)

 

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