Hip Hop e Blade Runner 
 
 
Nota (della serie: non tutti sanno che...): Cosa può succedere doppiando un film ("Blade Runner", per l'appunto...). Succede che in una delle scene chiave, quella in cui Rutger Hauer (il replicante cattivo), terminata la partita a scacchi col suo 'creatore', lo apostrofi con queste parole: "I want more life, sucker!" prima di ucciderlo. Nella versione doppiata in italiano, invece, la frase risulta essere: "Voglio vivere più a lungo, padre...".Non ci pare sia esattamente la stessa cosa, e a voi? 
 
 
 
Ad essere sinceri, avrei voluto intitolare questo articolo, e quelli che - spero - seguiranno, “Le vite parallele”. Il motivo è molto più facile da intuire che da restituire a chi legge, ma, alla fine del percorso, penso che sarà evidente.  
Il punto è che mi ero proposto di trattare alcune realtà, per così dire, ‘ai margini’ (quelle di cui potete leggere solo sulle riviste specializzate, tanto per intenderci), iniziando da quella che, da due anni, è considerata dagli addetti ai lavori una delle ‘scene’ musicali più interessanti, ovvero il ‘nuovo’ hip hop. Mi sono però reso conto che, al di là della passione per la musica, la cosa più interessante, per quanto ambiziosa, era di tracciare un percorso che partisse dalle ‘origini’ del genere rap. E non per amore della storia, bensì perché la ‘parabola’ di questo genere musicale ci potrebbe permettere di seguire da vicino quei meccanismi che portano una vicenda che non è solo musicale e artistica, ma anche e soprattutto umana, a diventare l’ingranaggio portante di quella che possiamo definire, senza taccia di ideologia, la “Società dello Spettacolo”, con tutto il bagaglio di astrazione e semplificazione (anche ma non solo culturale) che comporta. Riprendo volontariamente la definizione di Débord perché, mai come in questi ultimi anni, la distanza tra ciò che ‘emerge’, non solo nella musica o nell’arte in generale, e ciò che realmente ‘accade’, è diventata così profonda e incolmabile da risultare addirittura difficilmente percepibile. Tempi moderni, forti, nuovi, interessanti. 
 
 
Qualcosa però mi suonava storto, e non ho potuto fare a meno di percepire odore di stantio. E’ possibile raccontare una (la) storia senza entrare in quel meccanismo perverso che prevede lacrime e fiori sparsi sulla lapide di una mitica “Età dell’Oro?”. L’unica risposta che mi sono dato è stata: deve essere possibile. 
Quanto segue è un tentativo di tracciare uno dei possibili percorsi (ce ne sarebbero altri, tutti legittimi, oltre che reali... vedremo se ce ne sarà l'occasione...), per avvicinarsi all’oggetto del contendere, in questo caso un determinato genere musicale. Qui vi racconteremo gli sviluppi più recenti, quelli più appassionanti per questioni di sensibilità personale, della musica hip hop, a partire, grosso modo, dal 1997, anno in cui la newyorchese Rawkus pubblica l’album Funcrusher Plus dei Company Flow; ci piacerebbe poter pubblicare un secondo articolo dedicato alla nascita del rap, dai primi tentativi di mescolare soul e poesia di Gill Scott-Heron negli anni ’70 ai primi dj (Afrika Bambaata, la Sugarhill Gang e poi i Run DMC e i Public Enemy); infine, una terza parte di questa 'storia' in cui raccontare come l’industria musicale si è appropriata di un genere clonandolo in serie, una volta resasi conto di quanto poteva ‘rendere’. Volete una data anche per questo? Diciamo, grosso modo, il 1987, quando i Run DMC, tra gli esponenti di spicco della ‘old-school’ (la ‘prima ondata’ del rap), riesumano quei rockettari bolliti degli Aerosmith salvandoli da un meritato anonimato e dando al business la possibilità di iniziare un’epoca dominata dal ribellismo ipocrita del ‘crossover’ da un lato e dai gozzovigli caciaroni del ‘gangsta rap’ dall’altro, oltre che a una recrudescenza di tutti quei luoghi comuni sulle minoranze etniche che ha fatto la fortuna e lavato definitivamente la coscienza della borghesia bianca americana (e non mi si venga a dire che questa è un’altra storia). 
Andiamo a incominciare. 
 
 
Tra New York e San Francisco 
 
Il modo migliore per iniziare è quello di fornirvi alcune indicazioni discografiche indispensabili. La prima riguarda l’esordio omonimo dei cLOUDDEAD (Big Dada), di cui ho già parlato qualche mese fa; a seguire, Arrhythmia (Warp Rec.) degli ormai sciolti Anti Pop Consortium e The Cold Vein (Def Jux) dei Cannibal Ox. Altri lavori di notevole spessore hanno preceduto o seguito questi tre lavori, usciti tra la seconda metà del 2001 e i primi mesi di quest’anno, ma questi tre dischi sono i primi che dovete procurarvi, se siete interessati a capire qualcosa di ciò che leggerete qui sotto. 
 
 
Più sopra ho parlato del 1997, e della Rawkus. Facente base a New York, la storia di questa etichetta è simile a quella di moltissime altre, indipendentemente dal genere musicale promosso: nasce per supportare artisti stanchi di non trovare contratti. Gente che, forse, ha cose nuove da proporre. Ai piani alti delle multinazionali e nei salotti della Cultura si discute molto (e si paga o si è pagati molto per discutere) del linguaggio osceno e del cattivo esempio che i neri danno con quella musica violenta e sboccata e quei video pieni di tette e culi (o al contrario di quanto sia la censura a far male in quanto repressiva e quindi ‘forza fratelli neri’, sappiamo che molti di voi sono socialmente impegnati, e via discorrendo). La vita però, come al solito, sta sempre da un’altra parte, e chi vive nei ghetti lo sa perché, lo voglia o no, non può permettersi di vedere altro. “I newyorkesi sono dei veri e propri fottuti figli di puttana. Veniamo educati a costruirci la nostra vita. Veniamo cresciuti con l’idea fissa di camminare, di guardare avanti, di non fermarsi mai. Ognuno di noi ha quello che deve fare, alla fine” (El-P, leader e produttore della Def Jux). Alcuni si rassegnano, altri cercano di creare una comunità, e visto che i sermoni sono finiti male (Malcolm X ha pagato per tutti), ci provano con la musica. O meglio, cercano di riappropriarsi di quella che gli è stata rubata - a meno che non sia, anche questa, l'ennesima beffa della nostra falsa coscienza - e, non accontentandosi di stare al gioco, ne fanno (lo fanno) un altro. A metà anni Novanta l’industria musicale era devastata dai soldi che stava facendo e non aveva alcuno spazio per gente come noi. Essere ‘underground’ allora aveva un significato perché o eri in una major o non eri letteralmente nessuno. E’ per questo che iniziò a crearsi una specie di comunità, una sorta di tacita associazione tra molti ‘out’ del giro: perché avevamo cose da dire e non sapevamo assolutamente come fare a dirle”(El-P)
 
 
Dicevamo 1997: la Rawkus pubblica l’LP Funcrusher Plus dei Company Flow, che in breve diventano gruppo di punta della scena. L’hip hop di quegli anni è l’equivalente della discomusic dei ’70, tutto feticci e lustrini, più cocaina e sparatorie (il ‘gangsta rap’), al massimo vestito di schitarrate metal e vita da ghetto come nei fumetti Marvel (Ice-T e i Body Count) o spruzzato di buonismo parrocchiale (la colonna sonora di Coolio per ‘Dangerous Mind’ con Michelle Pfeiffer). Che possibilità hanno El-P, Mr Len e Bigg Jus, con la loro musica scheletrica, notturna, jazzata, raramente ballabile? Quella di diventare gruppo di punta di una etichetta indipendente che, forte di una attenzione improvvisa non solo per i propri pupilli (il coraggio e le idee, qualche volta, pagano), spera di entrare nel business. I nostri non sono di questa idea. Mentre la Rawkus si lascia contagiare dalla ‘sindrome da piccola major’ e perde, eufemisticamente, la faccia, i Company Flow lasciano e si sciolgono a inizio ’99. 
 
 
Evitato il passo falso, El-P fonda una propria etichetta, la Definitive Jux, mette sotto contratto i Cannibal Ox e produce il loro primo album, The Cold Vein, che esce nel 2001. “Il What’s Going On dell’era hip hop” lo definisce il New Musical Express, uno dei più prestigiosi tabloid britannici: scusate se è poco. “Ci siamo immaginati come cellule del sangue che stanno dentro una vena cercando di uscirne, osservando nel frattempo quel che accade per le strade e riflettendo sulla nostra esistenza”. Così i diretti interessati descrivono il loro personale ‘viaggio allucinante’ e la sua colonna sonora, fatta di sintetizzatori, chitarre, elettronica, ritmi spezzati. Non è gratuito il mio richiamo ad Asimov, dato che l’immaginario fantascientifico accomuna quasi tutta la nuova scena di New York, anche se, probabilmente, l’influenza più diretta è Blade Runner; il percorso iniziatico raccontato nel disco si conclude infatti con una metaforica uscita dal ghetto su ali meccaniche, senza però rinunciare alla cruda vita quotidiana: “alcuni di noi prendono pillole e tirano coca per distrarsi dal dolore / altri rubano e spacciano, questa è la vita / ma la vera felicità viene da dentro / non puoi affidarti a una sostanza”.  
Altri nomi sarebbero da ricordare, tuttavia preferisco dilungarmi su qualche episodio significativo, piuttosto che stendere un arido elenco. Tra le uscite recenti della Def Jux, mi limito dunque a citare Aesop Rock e l’esordio di El-P, Fantastic Damage
 
 
Se New York è l’epicentro di questo piccolo terremoto, San Francisco è la base della Anticon. Inutile nominare tutti gli artisti coinvolti, anche perché, se riuscite a procurarvi l’esordio dei cLOUDDEAD (accreditato a DoseOne, Why? e Odd Nosdam), ve li trovate praticamente dentro tutti, in veste di collaboratori. Nato come raccolta di precedenti singoli del collettivo, si è trasformato ben presto in un ‘caso’ (complice il solito New Musical Express) e, poi, in un manifesto del ‘nuovo suono’. Come descriverlo? Innanzitutto, e con immenso piacere, vi annuncio che ci troviamo di fronte a uno di quei pochi esempi di musica in cui il discorso sui generi e sulle influenze musicali, di fronte all’ascolto, cade completamente. Che senso ha dire che i ‘campioni’ che compongono la trama del disco possono provenire dal jazz, dalla psichedelia, dall’elettronica e via discorrendo? Meglio sottolineare, piuttosto, il fatto che ci troviamo di fronte a musica che non fa più perno attorno all'hip hop, se con questo termine intendiamo un parlare in rima snocciolato su basi ritmiche sincopate. Di quell'estetica, piuttosto, l'ensemble Anticon recupera l'idea di una estetica artigianale, dove l'accostamento dei campioni non crea mai una forma perfetta (tipica ossessione pop), facendo invece proprio asse portante l'indefinito, la 'sfocatura' dell'insieme (guardate le loro foto, e avrete idea della loro musica). E ancora: provate a togliere il parlato da quelle musiche, e il loro senso cambierà completamente.Quando la Anticon ha iniziato a farsi conoscere nei siti hip hop di Internet ne abbiamo lette di tutti i colori. Scrivevano di tutto, che stavamo distruggendo l’hip hop, che eravamo dei principianti, che non potevamo permetterci di fare cose simili, che eravamo dei traditori …anche noi eravamo dei puristi, un tempo. Ma non andavamo in giro a dire “Ehi, voi che non ci amate, fottetevi”, come sembra abitudine in questo strano mondo. Perché capivamo che si trattava di amore e basta, e che era possibile che qualcuno non ci capisse”. E se la musica di questo gruppo è fenomenale, lo sono senz’altro anche i testi, per parlare dei quali, purtroppo, mi ci vorrebbe un altro articolo a disposizione. Leggeteli. Ah, dimenticavo: un’altra particolarità del ‘giro’ Anticon è che sono bianchi. 
 
 
Per finire, un piccolo lutto. Leggo proprio in questi giorni che si sono sciolti gli AntiPop Consortium, e proprio a ridosso del successo di Arrhythmia, l’approdo alla Warp e gli elogi della stampa. Il loro è il primo disco da mettervi in casa, casomai foste ancora indecisi: è il più sperimentale e, nel contempo, il più godibile. Capaci di  legare le sperimentazioni elettroniche avanguardistiche più ardite con il soul più classico, condito di voci femminili (ma anche di inserire un brano di opera lirica all’interno di una canzone con una naturalezza incredibile), o di utilizzare una pallina da ping pong come base per un intero brano, High Priest, E. Blaize, Beans e M.Sayyd passano nel giro di quattro anni dai readings di poesia alla musica e sono tutti diplomati presso le art school. 
Per l'etichetta 75 Ark pubblicano il primo album, Tragic Epilogue, e a seguire, per la sempre più agguerrita Warp, il mini The ends against the middle. Seguono un breve tour di spalla ai Radiohead in compagnia di Buck65 (del giro Anticon), poi Arrhythmia e lo scioglimento. 
Il loro merito più grande è quello di aver dimostrato, sebbene in un arco di tempo limitato e giunto forse troppo presto al termine, che la sperimentazione non è necessariamente complicata da ascoltare, e che ci può essere molta naturalezza anche nella complessità. E che si possono pronunciare, perché sicuri della propria pratica, anche affermazioni che in bocca ad altri sembrerebbero solo spocchiose, come questa: “band come i De La Soul e molte altre sono giunte da tempo alla fine della corsa e io voglio vedere se è possibile ripartire da zero e ripensare l’intera idea di hip hop”. Attendiamo i loro lavori come solisti, curiosi di sapere se sapranno mantenere le promesse fatte. La stoffa, sicuramente, non manca
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
cLOUDDEAD 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
El - P, dai Company Flow alla Def Jux 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ancora uno scatto sfocato dei  
cLOUDDEAD 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Cover di un mini degli 
Anti Pop Consortium 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L'esordio dei cLOUDDEAD 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Aritmie hip hop