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Le cover dei tre dischi della 'svolta elettrica' di Dylan: da destra, 'Bringing it all back home',
'Highway 61 Revesited', 'Blonde on blonde'
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Esce in questi giorni la colonna sonora di un film che contiene alcuni brani inediti di Dylan. Ne approfittiamo per ripercorrere una delle tappe fondamentali della carriera del menestrello di Duluth, ovvero quella famosa 'svolta elettrica' che lo porterà a pubblicare quelli che a tutt'oggi sono considerati da molti i suoi dischi più intensi, viscerali, creativi. Dischi che è un delitto non aver ascoltato almeno una volta nella propria vita. Perciò non staremo a descriverli, preferendo lasciare a voi il piacere della scoperta e dell'ascolto. Non vi esporremo dunque una storia raccontata in tutte le salse in moltissime biografie (ve ne segnaliamo una appena uscita di Paolo Vites, il più illustre 'dylanologo' italiano, edita per i tipi della Editori Riuniti). Ci limitiamo a riportare alcuni stralci da una lunga intervista apparsa su Playboy nel marzo 1966 (tradotta in italiano da Paolo Bertrando per un volume su Dylan oggi fuori catalogo, pubblicato nel 1985), da cui emerge un Dylan ironico, elusivo, talvolta criptico, eppure. Ci rendiamo conto di pubblicare un articolo molto impegnativo (anche solo per la mole...), tuttavia, data la sua scarsa reperibilità, speriamo che qualche 'dylaniato dell'ultima ora' gradisca. Buona lettura.
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Dylan assieme a Joan Baez
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(…) Nel 1965 Dylan era diventato un grande fenomeno della scena musicale. Un numero crescente di esecutori folk, da Joan Baez ai Byrds, consideravano indispensabile disporre d'una vasta scelta di canzoni dylaniane nel proprio repertorio; in un mese di frenetico apprezzamento (l'agosto scorso) sono state pubblicate quarantotto incisioni diverse di ballate dylaniane, cantate da altri personaggi.Sempre più aspiranti esecutori, e autori, di folk songs cominciano a suonare come Dylan. L'odierna ondata di canzoni di “protesta”, a opera di rock'n roller post-beat dai capelli lunghi quali Barry McGuire e Sonny and Cher, è accreditabile a Dylan. E l'ultimissima esplosione commerciale, il "folk-rock", fusione di testi a impronta folk con beat e strumentazione R'n'R, è in buona parte una conseguenza della recente decisione dylaniana (esecrata come “svendita” dai puristi del folk) di esibirsi con un gruppo di rock and roll invece d'insistere ad accompagnarsi da solo alla chitarra.
(…) Ma ci sono stati dei mutamenti. Niente più proteste polemiche contro la bomba, i pregiudizi razziali o il conformismo: le sue canzoni sono diventate sempre più personali, un'amalgama surrealistica di minacce kafkiane, satira corrosiva e opaca sensualità. I testi sono più affollati che mai di parole rotolanti e immagini irrequiete e appaiono più simili a poesie in versi liberi che a strofe normali. Gli adulti incontrano ancora difficoltà ad amare il suo linguaggio inconsueto e il suo messaggio d'alienazione, ma i giovani continuano a sintonizzarsi e mettersi in ascolto.
(…) E’ stato solo dopo un lungo periodo di evasività ed esitazione che Dylan ha infine acconsentito di rilasciare questa intervista, la più lunga che abbia mai concesso.
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p Playboy: Eri solito dire che volevi esibirti in pubblico il meno possibile, che volevi tenere per te la maggior parte del tuo tempo. Eppure ogni anno che passa fai sempre più concerti e incidi semprepiù dischi. Perché? Per i soldi?
d Dylan: Ora tutto è diverso da prima. La scorsa primavera temo d'essere stato lì lì per smettere di cantare. Mi sentivo del tutto prosciugato, e il modo in cui andavano le cose creava una situazione stagnante. Voglio dire, come quando canti Everybody Loves You For Your Black Eye e intanto la parte posteriore della tua testa inizia a cedere. Comunque, suonavo tante canzoni che non avevo voglia di suonare. Cantavo parole che in realtà non volevo cantare. E non intendo parole come "Dio" e "madre" e "presidente" e "suicidio" e "mannaia da macellaio". Intendo parolette semplici come "se" e "speranza" e "tu". Ma Like A Rolling Stone cambiò tutto; da allora non me ne importa più di scrivere libri o poesie o altre cose. Voglio dire, era qualcosa che riusciva a piacere a me. E’ molto stancante sentire altri che ti dicono quanto gli piaci, se poi tu non ti piaci affatto. E’ anche mortale, da un punto di vista spettacolare. Contrariamente a quanto pensano certi personaggi paurosi, non suono con un gruppo, oggi, per motivi d'ordine propagandistico o commerciale. E’ soltanto che le mie canzoni sono immagini e il gruppo crea la colonna sonora delle immagini.
Playboy: Ti pare che usare un gruppo e passare dal folk al folk-rock ti abbia migliorato come interprete?
Dylan: Non m'interessa essere un interprete. Gli interpreti sono gente che si esibisce per altra gente. Diversi dagli attori, so quel che dico. Per me è semplicissimo. Non importa quali reazioni ottenga tutto questo dal pubblico. Quel che accade sul palco obbedisce a leggi proprie. Non s'attende ricompense o multe da nessun agitatore esterno. E’ ultra-semplice ed esisterebbe comunque, ci fosse o meno qualcuno che sta a guardare. Per quanto riguarda il folk e il folk-rock, non hanno importanza i nomi odiosi che la gente inventa per la musica. La si potrebbe chiamare musica arsenica o forse musica di Fedra. Non credo che una parola come folk-rock ci abbia niente a che fare. E musica folk è una parola che non riesco a usare. La musica folk è un mucchio di persone grasse. Io devo pensare a tutto ciò come alla musica tradizionale. La musica tradizionale è basata sugli esagrammi. Viene da leggende, Bibbie, pestilenze e tratta di verdure e morte. Nessuno riuscirà a uccidere la musica tradizionale. Tutte queste canzoni che parlano di rose che crescono dal cervello della gente o di amanti che in realtà sono oche e cigni che si trasformano in angeli, non moriranno. Sono tutti questi personaggi paranoici, che pensano che stia per arrivare qualcuno a rubargli la carta igienica, sono loro che moriranno. Canzoni come Which Side Are You On e I Love You,Porgy; non sono canzoni folk, sono canzoni politiche. Sono già morte. Ovviamente, la morte non è accettata molto universalmente. Voglio dire, vien da pensare che gli autori di musica tradizionale siano riusciti ad estrapolare dalle loro canzoni che il mistero è un fatto, un fatto tradizionale. Io ascolto le vecchie ballate; ma non andrei a una festa ad ascoltarle. Potrei darti descrizioni dettagliate dell'effetto che hanno su di me, ma probabilmente qualcuno penserebbe che la mia immaginazione sia impazzita. Mi diverte da morire il fatto che la gente abbia la costanza di pensare che io godo di una qual immaginazione fantastica. Fa sentire molto soli. Comunque, la musica tradizionale è troppo irreale per morire. Non ha bisogno di protezione. Nessuno la può colpire. Quella musica contiene l’unica morte vera, valida, che oggi si possa tirar fuori da un giradischi. Ma come tutto ciò che è molto richiesto, la gente la vuole possedere. Ha qualcosa a che fare con la purezza. Pensoche la sua mancanza di significato sia sacra. Tutti sanno che io non sono un cantante folk.
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Playboy: Perché hai smesso di comporre canzoni impegnate?
Dylan: Ho smesso di comporre e cantare qualunque cosa che avesse una ragione per essere scritta o un motivo per essere cantata. Ora, non prendetemi dalla parte sbagliata: "Protesta" non è una parola mia. Non ho mai pensato a me in questi termini. La parola "protesta", credo, è stata coniata per la gente sottoposta a intervento chirurgico. E una parola da parco dei divertimenti. Una persona normale, sana di mente, dovrebbe farsi venire il singhiozzo a pronunciarla seriamente. La parola"messaggio", secondo me, ha un suono decisamente erniario, che quasi m'impressiona. Proprio come la parola "delizioso". E anche la parola "meraviglioso". Sai, gli inglesi pronunciano benissimo la parola "meraviglioso". Però non riescono a pronunciare bene "rauco". Be', tutti noi abbiamo le nostre difficoltà. Comunque, le canzoni con un messaggio, come tutti sanno, sono un bidone. Soltanto i redattori dei giornalini scolastici e le ragazzine sotto i quattordici possono sprecarci il loro tempo.
Playboy: Hai detto di ritenere volgari le canzoni con un messaggio. Perché?
Dylan: Be', prima di tutto chiunque abbia un messaggio imparerà dall'esperienza che non può metterlo dentro una canzone. Voglio dire, non ne uscirà mai fuori lo stesso messaggio. Dopo un paio di tentativi falliti, ti accorgi di essere ormai incollato a quel messaggio risultante, che non è nemmeno il messaggio che avevi pensato all'inizio. Perché, dopo tutto, una canzone lascia la tua bocca appena ha lasciato le tue mani. Mi segui?
Playboy: Oh, perfettamente.
Dylan: Be', comunque, in secondo luogo, devi anche rispettare il diritto degli altri ad avere i loro messaggi. Io, da parte mia, vorrei affittare il municipio e mettere in cartellone tanti fattorini della Western Union (compagnia telegrafica statunitense, NdT) . Voglio dire, in questo modo ci sarebbero davvero dei messaggi. La gente potrebbe venire e ascoltarsi più messaggi di quanti ne abbia sentiti in tutta la sua vita.
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Playboy: Allora sarebbe poco gentile dire, come è stato detto, che sono stati motivi commerciali più che creativi a farti scrivere le canzoni che ti hanno reso popolare?
Dylan: Molto bene, ora, guarda. Non è una questione così profonda. Non è complicato. I miei motivi, o quello che sono, non sono mai stati commerciali nel senso monetario della parola. Sitrattava piuttosto del senso non-morire-con-la-sega-in-mano della parola. Non l'ho mai fatto per denaro. E’ successo, e io ho lasciato che mi succedesse. Non c'era motivo per non lasciare che succedesse. Comunque, prima d'ora non sarei riuscito a scrivere quel che scrivo oggi. Le canzoni parlavano di quanto vedevo e provavo. Non c'è mai entrato nulla del mio personale vomito ritmico. Il vomito non è romantico. Allora pensavo che le canzoni avrebbero dovuto essere romantiche. E non volevo cantare nulla che non fosse determinato. Le cose indeterminate sono prive di senso del tempo. Nessuno di noi ha senso del tempo, è un grosso problema dimensionale. Chiunque può essere determinato e ovvio. E’ stato sempre quello il modo facile. I leader del mondo scelgono il modo facile. Non che sia difficile essere indeterminati e meno ovvi; è solo che non c'è nulla, assolutamente nulla, su cui essere determinati e ovvi. Le mie vecchie canzoni, a dir poco, non parlavano di niente. Le nuove parlano dello stesso niente; solo, come fosse visto dall'interno di qualcosa di più grande, forse chiamato il nulla assoluto (in inglese: nowhere, cioè “nessun luogo”, NdT). Ma tutto ciò è assai costipato. Io so quanto valgono le mie canzoni.
Playboy: E sarebbe?
Dylan: Oh, qualcuna vale per quattro minuti, qualcuna per cinque, e qualcuna che tu ci creda o no, vale per circa undici o dodici.
Playboy: Non potresti essere un po' più informativo?
Dylan: No.
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Playboy: fino al tuo abbandono delle canzoni "con messaggio", tu eri considerato non solo una delle voci più importanti del movimento di protesta degli studenti, ma anche un campione militantedella lotta per i diritti civili. Secondo amici, pareva che tu avessi un particolare legame di fratellanza con lo Student Nonviolent Coordinating Committee, cui fornivi supporto attivo sia comeartista sia come volontario. Perché hai smesso di partecipare a tutte queste attività? Hai perso interesse anche verso la protesta, oltre che verso le canzoni di protesta?
Dylan: Per quanto riguarda lo SNCC, io conoscevo qualcuno dei suoi vecchi membri ma soltanto come persone, non come parte di qualcosa che era più grande o più bello di loro. Non sapevo neanche che cosa fossero i diritti civili prima di incontrarli. Voglio dire, sapevo che esistevano i negri e sapevo che c'erano tantissime persone che non amavano i negri. Ma devo ammettere che se non avessi conosciuto qualcuno degli attivisti del SNCC avrei continuato ad essere convinto che Martin Luther King non fosse altro che un eroe di guerra poco privilegiato. Non ho mai avuto interesse nella protesta, fin dall'inizio, non più di quanto ne avessi negli eroi di guerra. Non si può perdere ciò che non si è mai avuto. Comunque, quando non ti piace la tua situazione, o la lasci perdere o la superi. Non puoi startene lì e limitarti a piagnucolare. Gli altri si accorgono soltanto del rumore che fai, non si accorgono davvero di te. Anche se ti danno quello che vuoi, è solo perché tu fai troppo rumore. Allora, dapprima desideri qualcos'altro, poi desideri qualcos'altro, poi desideri qualcos'altro, e alla fine non è più uno scherzo, e quelli contro cui protesti, chiunque siano, finiscono per stufarsi e saltano in testa tutti. Certo, puoi andare in giro a educare quelli che sanno meno di te ma allora non dimenticare che stai scherzando con la legge di gravità. Io non combatto la gravità. Credo nell'uguaglianza ma credo anche nella distanza.
Playboy: Vuoi dire che la gente dovrebbe tenere le distanze razziali?
Dylan: Credo nella gente che si tiene tutto quello che ha.
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Playboy: Qualcuno potrebbe pensare che cerchi di evitare di combattere per le cose in cui credi.
Dylan: Costoro sarebbero persone che pensano che io abbia qualche sorta di responsabilità verso di loro. Probabilmente vogliono che li aiuti a farsi degli amici. Non so. Probabilmente vogliono o mettermi in casa loro e farmi venir fuori ogni ora a dir loro che ora è oppure vogliono soltanto stiparmi tra i materassi. Come potrebbero mai capire in che cosa credo?
Playboy: Bene, ma in che cosa credi?
Dylan: Tè l'ho già detto.
Playboy: D'accordo. Molti dei tuoi colleghi folksingers sono tuttora attivi nella lotta per i diritti civili, per la libertà di parola e il ritiro dal Vietnam. Pensi che abbiano torto?
Dylan: Non credo che abbiano torto, se è davvero quello che vogliono fare. Ma non credere di avere a che fare con un drappello di piccoli Budda che marciano in parata. Quelli che usano Dio come arma dovrebbero essere mutilati. Lo vedi sempre scritto dappertutto: "Sii buono o non piacerai a Dio e andrai all'inferno". Roba del genere. Quelli che marciano con slogan e simili, tendono a perdersi un po' troppo sul sacro. Sarebbero un vero schifo se anche loro si mettessero a usare Dio come arma.
Playboy: Trovi inutile dedicarti alla causa della pace e dell'eguaglianza razziale?
Dylan: Non è inutile dedicarsi alla pace e all'uguaglianza razziale, piuttosto è inutile dedicarsi alla causa. E molto da ignorante. Dire "causa della pace" è come dire "pezzo di burro". Voglio dire, come puoi stare ad ascoltare qualcuno che ti vuole far credere che si dedica al pezzo e non al burro? Quelli che non riescono a concepire come gli altri stanno male, sono loro che cercano di cambiare il mondo. Hanno tutti paura di ammettere che non si comprendono l'un l'altro. E probabile che saranno ancora qui molto tempo dopo che noi ce ne saremo andati e noi metteremo alla luce i nostri discendenti. Ma, quanto a loro, non credo che riusciranno a mettere alla luce alcunché.
Playboy: Sembri un po' fatalista.
Dylan: Non sono fatalista. I cassieri di banca sono fatalisti. Gli impiegati sono fatalisti. Io sono un agricoltore. Chi ha mai sentito parlare di un agricoltore fatalista? Non sono fatalista. Fumo un sacco di sigarette ma questo non mi rende fatalista.
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Playboy: Di recente, risulta che tu abbia affermato che "le canzoni non possono salvare il mondo, io ho superato tutto ciò". Ne deduciamo che non condividi la convinzione di Pete Seeger, che le canzoni possono cambiare la gente, che possono aiutare a costruire la comprensione intemazionale.
Dylan: A proposito della comprensione internazionale, O.K. Ma lì sorge un problema di traduzione. Chiunque arrivi a questo genere di livello intellettuale deve anche tener conto di questa faccenda della traduzione. Ma non credo, comunque, che le canzoni possano cambiare le persone. Non sono Pinocchio. Lo considero un insulto. Non sono parte di quella storia. Non biasimo nessuno perché la pensa così. Ma non dono neanche a loro i miei soldi. Non che li consideri fuori moda; sono piuttosto nella categoria degli elastici di gomma.
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Playboy: Scrivendo di "barbuti incendiari di cartoline precetto ed evasori fiscali pacifisti", un commentatore ha definito questo genere di contestatori "non meno estranei alla società che il junkie, l'omosessuale o l'assassino di massa ". Qual è la tua reazione?
Dylan: Non credo a termini come quelli. Sono troppo isterici. Non descrivono nulla. La maggior parte delle persone crede che omosessuale, gay, pederasta, checca, finocchio siano tutte la stessa parola. Chiunque pensa che un junkie sia un freak drogato. Per quanto mi riguarda, non mi considero estraneo a nulla. Semplicemente, mi considero fuori dalla circolazione.
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