La politica demografica di Maioriano e il mutamento sociale e culturale della seconda metà del V secolo

di Fabio Giovannini

The Ancient History Bulletin, 15/3 (2001), pp. 135-142

 

 

Premessa

L’attività legislativa promossa nell’anno 458 fu molto vasta. Asceso da poco all’ impero il giovane Maioriano, un militare che rappresentò — come ricorda Ralph W. Mathisen — «the last and best hope of the post-Valentinian, post-Aëtius period to revitalize the western empire»1 furono varate una serie di iniziative legislative che andavano a toccare diversi campi: condono e nuovo regime fiscale, riforma delle amministrazioni locali, revisione dell’accesso allo stato religioso, oltre ad alcune iniziative più specifiche che riguardavano la protezione dei monumenti pubblici e questioni di emergenza militare. Una di queste leggi fu però dedicata ad un aspetto che anche se richiamava questioni prettamente fiscali come l’ereditarietà dei beni o la condizione legale delle vedove e degli orfani si presentava come un approccio indiretto ad una politica demografica.

La crisi dell’impero, stretto dall’emergenza militare e indebolito dai convergenti interessi del ceto militare germanico cui era affidata la difesa dell’Italia e della potente aristocrazia senatoria della penisola, stava subendo dalla metà del V secolo una brusca accelerazione. Nelle sue fondamenta, però — e questa parte della legislazione maiorianea sembra dimostrarlo — era scosso anche da un poderoso mutamento sociale, provocato dall’imporsi di nuove istanze culturali; fra queste la nuova funzione della donna nella società tardoantica, ed il mutamento nella coesione etnica dello stato imperiale in un momento di incontro/scontro con le popolazioni germaniche. Il governo di Maioriano che nella propaganda come nell’azione pratica si presentava come elemento di ripresa della ideologia imperiale romana non poté evitare di affrontare — seppure indirettamente — queste due questioni.

 

La Novella VI

La legge «De Sanctimonialibus vel viduis et de successionibus earum» fu emanata nell’ ottobre del 458 da Ravenna, dove Maioriano si era stabilito appena eletto, e indirizzata al Prefetto del Pretorio Decio Cecina Basilio. L’impostazione ‘politica’ della legge è dichiarata dall’inizio: «susceptis regendi imperii gubernaculis cogitare debemus, quemadmodum nostra res publica et armis et legibus et integra religionis reverentia conservetur atque proficiat».2 La questione insomma riguarda il bene supremo dello Stato: «hoc enim quamprimum nostri egere maiores, ut rem publicam armis et religione fundarent» (VI: 6-7).

Gli obiettivi della legge sono due e saranno raggiunti «si nobilium feminarum amplectenda generositas procreatis liberis multiplicata subcrescat, si piae necessitudines inter parentes et filios nullis insidiarum vitiis immutentur et verum dei cultum mens non invita suscipiat» (VI: 4- 6).

La legge affronta innanzitutto la questione delle ragazze obbligate dai genitori sin dalla più tenera età ad abbracciare lo stato religioso («quis enim ferat parentes filias, quas oderunt, his non tam dicare quam damnare consiliis», VI: 8-9), con una presa di posizione molto netta sulla libertà di scelta da parte delle fanciulle («ne adulescentis animis aliud velle sit liberum, capitibus invitarum sacrum velamen imponant, cum observatio philosophiam religiosa mente suscipiens non cogentis imperio, sed spontanea et matura deliberatione capiatur?», VI: 10-13). Per impedire questa situazione Maioriano sancisce che queste ragazze possano accedere allo stato religioso solo dopo aver compiuto i 40 anni (VI: 21-24). Se qualcuno avesse permesso (o costretto) che «ante definitum temporis spatium» (VI: 26) queste ragazze fossero ‘velate’, avrebbe subito la perdita di una terza parte dei beni (VI: 28). L’adesione della legge ai precetti cristiani è proclamata con forza, anche nel caso (forse auspicato dal legislatore) in cui, morti i genitori prima che la donna consacrata abbia compiuto 40 anni, questa abbia deciso di sposarsi: la legge ricorda che «cum Christianae religionis institutio atque doctrina melius esse censuerit virgines nubere quam inpatientiae ardore naturali professae pudicitiae non servare virtutem» (VI: 39-41).

L’altro punto affrontato è quello delle vedove, «quae nulla prole suscepta fecunditatem suam reparationemque familiae repudiata coniugii iteratione condemnant et solitariam vitam, non eo eligunt, ut pudicitiae religionis amore femulentur, sed potentiae ambitum orbitatis suae casibus viduitatisque captantes lascivam vivendi eligunt libertatem» (VI: 54-57). Donne che una volta morto il marito scelgono di restare sole, respingendo la vita familiare: non hanno figli, non vogliono risposarsi e, grazie ai beni ereditati, conducono una vita disinvolta finendo spesso in balia «aut sollicitantium ficta religio personarum aut favor callidi captatoris» (VI: 58). Contro queste donne libere e scandalose Maioriano stabilisce che «ut maritali obitu destituta mulier quadragenaria minor, donec procreare per aetatem liberos potest, intra quinquennium nubat» (VI: 60-61): in caso contrario il fisco avrebbe sottratto loro metà dei beni.

La legge affronta poi la delicata questione dei figli avuti dalle prime nozze, e cerca di stabilire norme a difesa dei minori in tema di eredità e matrimonio. Il tutto sempre con un interesse specifico: «et quia studiose tractatur a nobis utilitas filiorum, quos et numerosius procreari pro Romani nominis optamus augmento» (VI: 87-88).

La legge è dunque estremamente dura: una vedova senza prole che non si risposava entro cinque anni dalla morte del marito perdeva buona parte dei beni ereditati, si disponevano severe pene per chi imponeva lo stato religioso ai figli o ai fratelli minori e, per evitare questo meccanismo, si disponeva che fosse impossibile per una donna accedere allo stato religioso prima di aver compiuto i 40 anni.

 

Questione demografica

La legge intende colpire dei comportamenti che evidentemente si erano radicati nella società romana: uso strumentale o comunque esasperato della ‘promessa’ dei figli allo stato religioso, comportamento antifamiliare e individualista delle ricche dame, rifiuto della procreazione. E’ evidente che c’è anche un interesse fiscale nel colpire alcuni grandi patrimoni dell’aristocrazia, e che si vuole allo stesso tempo ‘depurare’ e rendere più consapevole l’accesso allo stato clericale, com’è testimoniato anche da altre iniziative.3 Tuttavia si spera anche di provocare indirettamente un aumento della natalità della popolazione romana, in particolar modo delle classi elevate.

I primi due punti — interesse fiscale e irrigidimento dell’uscita dallo stato secolare — sono senza dubbio centrali nella politica seguita da Maioriano: il primo viene richiamato anche in altre disposizioni,4 mentre il secondo rientra in una attività legislativa tipica degli imperatori bizantini e ravennati del secolo V, impegnati nel tentativo di mettere ordine nel rapporto tra la nascente giurisdizione episcopale e quella civile. Ma è il terzo aspetto quello forse più rilevante dal punto di vista storico sociale, poiché ci consente di conoscere da un particolare punto di vista il problema della crisi demografica dell’impero d’Occidente. L’opposizione del governo imperiale alla ‘promessa’ religiosa effettuata da parte dei genitori (o dei fratelli maggiori) che costringeva minorenni, sia maschi che femmine, ad abbracciare in giovanissima età lo stato clericale5 cela la preoccupazione per il crescente disordine che agitava la struttura della famiglia tardoantica. Ed è impossibile per i legislatori distinguere da tale trasformazione il declino demografico che per l’età tardoantica è ampiamente noto agli storici attraverso numerose testimonianze archeologiche e documentali.6

 

Questione religiosa

La disposizione maiorianea non contrasta tuttavia con la dottrina della Chiesa di quegli anni: secondo il Liber Pontificalis, il pontefice Leone Magno «constituit ut monacha non acciperit velaminis capitis benedictionem nisi probata fuerit in virginitate LX annorum»7. Quello della ‘promessa’ dei minori era quindi un problema comunemente avvertito: ma se uno degli obiettivi primari della legge maiorianea — e questo era teoricamente condiviso dalla Chiesa — era quello di ‘depurare’ le fonti d’accesso allo stato religioso, l’altro obiettivo era quello di rilanciare la stabilità dell’istituto familiare: questa stabilità era stata di fatto indebolita sia da una presa di coscienza da parte del mondo femminile, che aveva portato (anche grazie alla legislazione tardoantica influenzata dal cristianesimo8) all’apertura di spazi di autonomia per le donne, sia soprattutto da tendenze religiose che si erano diffuse particolarmente tra dame di buona famiglia verso l’ascesi e addirittura il romitaggio, penetrate in Occidente in modo capillare attraverso la propaganda di Gerolamo nel secolo precedente.9 Nel dispositivo legislativo Maioriano insiste sull’adesione di questa legge ai principi della dottrina cristiana, insistenza che cerca forse di nascondere la profonda antitesi culturale; l’accenno alla ‘ficta religio10 che Maioriano fa non è ovviamente diretto verso la Chiesa cristiana, quanto invece al clima culturale, filosofico e religioso del secolo, dominato da eresie, sette e persistenze pagane. Molte dame nobili si circondavano di intellettuali, davano ospitalità a pensatori e scrittori, e il raffinato ‘habitus’ intellettuale dell’aristocrazia strideva con le difficoltà militari e amministrative delle autorità civili. A questo nuovo clima la Chiesa aveva dato, con tutto il peso della sua elaborazione culturale, un indubbio contributo teoretico.

Alla crisi sociale ed istituzionale dell’impero molti risposero con un ripiegamento su se stessi e con l’uscita da quel sistema di ceto su cui la rigida società tardo antica (per necessità burocratiche amministrative, perché legata al precalcolo fiscale dioclezianeo) si basava per sopravvivere. Per la macchina fiscale imperiale la scelta di numerose donne, spesso ricche, di abbracciare la vita religiosa significava inoltre la donazione dei loro beni — talvolta molto consistenti — alla Chiesa.11

La diffusione della vita religiosa nelle famiglie nobili era insomma inscritta in quella congerie di movimenti neoindividualistici e antistatali che attraversavano il mondo romano: da rivolte contadine, in genere a sfondo etnico,12 alla vera e propria ‘fuga’ dei decurioni dall’impegno pubblico («multi patrias deserentes natalium splendore neglecto»13), per non parlare degli accordi più o meno segreti sempre più frequenti tra nobiltà provinciale e nascenti regni germanici.14 Tutto questo indeboliva lo Stato non solo dal punto di vista strettamente fiscale ma anche per il rarefarsi del personale amministrativo.

 

Questione femminile

Va detto che il mutamento della presenza femminile nella società di quegli anni non si limitava alla scelta religiosa, ma si rispecchiava in una diffusa presa di coscienza e ricerca dell’autonomia del mondo femminile: resistenza verso le seconde nozze, diminuzione della natalità, comportamenti sessuali spregiudicati.15 Alcune figure femminili ebbero in quegli anni un fortissimo peso, basti pensare a personaggi come Gallia Placidia, Eudocia, Pulcheria o Verina, donne che governarono l’impero per lunghi periodi e che furono comunque tutte protagoniste dei momenti di transizione istituzionale, soprattutto con la gestione della scelta di successione al trono in quanto garanti della continuità dinastica. Infine va ricordato che in quegli anni si diffuse non di rado l’uso nell’ onomastica imperiale della discendenza matrilineare (e questo fu il caso dello stesso Maioriano e di Romolo Augusto),16 il che forse potrebbe segnalare un costume comune anche ad altri ambiti sociali.

Alcune indicazioni archeologiche sembrano mostrare come il tasso di natalità fosse in effetti calato e le famiglie fossero composte in gran numero da nuclei di 4, spesso solo 3 elementi. E questo non tanto per l’indice di mortalità infantile che non era forse così elevato come una certa letteratura ha per anni ritenuto, ma per il tasso di natalità e fertilità femminile che stava subendo in quegli anni un significativo ridimensionamento. Questa situazione poteva essere stata provocata dalle emergenze militari, dalle ristrette prospettive di miglioramento sociale e dai disordini seguiti alle invasioni, ma probabilmente testimonia anche il mutamento culturale interno al mondo femminile.17

 

Questione etnica

L’interesse di Maioriano verso una ‘politica demografica’ appare legato anche al rilancio dell’elemento etnico autoctono. Questa caratterizzazione ‘etnica’ era presente anche nel disegno che lo aveva portato sul trono18 e non è presente solo nella De Sanctimonialibus vel viduis et de successionibus earum, ma anche in altri atti del suo breve regno. Il problema ‘etnico’ di quei decenni, cioè la convivenza tra elementi romanzi e germanici, è ovviamente fondamentale per la storia di questo periodo e il pur significativo accenno contenuto nella legge maiorianea19 non è certo una fonte di primaria importanza. Però è interessante come questo accenno faccia parte integrante dell’approccio ideologico sotteso alla iniziativa legislativa. Il problema viene inserito all’interno della cornice della scarsa natalità del ceto dirigente romano, e quindi ascritto a cause culturali. Instabilità familiare, scelte ‘antisociali’, interesse religioso, rifiuto della natalità, vengono individuati come elementi di una tendenza al disimpegno verso la ‘rem publicam’ cui Maioriano aveva fatto riferimento con preoccupazione già nel suo discorso di insediamento al Senato.20 Questo disimpegno divenne via via sempre più forte dopo il 460-470, sfociando come naturale esito nella massiccia entrata di intellettuali e dirigenti romani nello stato religioso. E’ questo il caso di numerosi personaggi che avevano occupato posti importanti a corte, tra cui l’esempio forse più eclatante è quello di Sidonio Apollinare.21 Che lo stato religioso fosse in quegli anni avvertito come una sorta di ‘morte civile’, é dimostrato dall’uso della tonsura e della nomina episcopale come strumento di lotta politica: sia al momento della deposizione di Avito nel 456 che nel caso di quella di Glicerio nel 474, per impedire che potessero sperare di tornare sul trono furono nominati vescovi, rispettivamente di Piacenza e Salona.22 Lo stato religioso equivaleva quindi — ma presto le cose sarebbero cambiate — ad una ‘morte dalla vita secolare’, che nel mondo romano imperiale corrispondeva con la vita ‘politica’, del senato e della corte. Calo demografico, ‘fuga’ verso la religione e disimpegno dalla vita secolare cui guarda con preoccupazione la Novella VI possono cogliersi anche nella progressiva diminuzione dell’elemento indigeno nell’esercito, particolarmente in Italia,23 altro indice di debolezza di cui Maioriano e vari governi imperiali avevano coscienza. Ormai anche tra gli ufficiali venivano arruolati in numero sempre crescente germanici, i quali pur trovandovi una loro collocazione, isolati dal contesto sociale e senza possibilità reale di integrazione, finivano per trovarsi (come si vedrà con la conclusiva rivolta per la terra di Odoacre) in una condizione di ribellismo e marginalizzazione, costituendo così un fattore inevitabilmente destabilizzante per Ravenna.24

 

L’abrogazione del 463

La congiura che seguì al fallimento della spedizione antivandalica, cui Maioriano aveva legato sin dall’esordio sul trono il proprio destino, fu portata a compimento al suo rientro in Italia, dopo la lunga permanenza in Gallia e Spagna durata più di tre anni. Il Patrizio Ricimero, con l’appoggio di buona parte del Senato, depose Maioriano dal trono e —  secondo la maggior parte delle fonti — lo fece uccidere.25 L’accusa fu principalmente quella di aver firmato un ‘vergognoso26 trattato di pace con i vandali, che forse riconosceva il dominio di Genserico in Numidia. Delle diverse disposizioni legislative maiorianee — della cui effettiva attuazione si può comunque in molti casi dubitare — l’unica a subire una seppur parziale abrogazione fu proprio la Novella VI. A gestirne la revisione, su disposizione del nuovo imperatore Libio Severo, fu il Prefetto del Pretorio del 463, quello stesso Decio Cecina Basilio cui Maioriano l’aveva indirizzata 6 anni prima e che — insieme a molti aristocratici — ebbe forse una parte nella sua deposizione.27 La legge di Libio Severo emanata da Roma nel febbraio del 463 dispone che «legis asperitas, quae ad amplitudinem tuam primae prefecturae administratione data est, per te correcta atque emendata vulgetur»,28 e concerne il reintegro dei beni materni per i figli, cercando di mitigare gli effetti dirompenti nel difficile passaggio ereditario che la restrizione maioranea aveva imposto.29 Non c’è dubbio che la legge di Maioriano toccasse gli interessi complessivi del ceto senatoriale, perché ovviamente la perdita dei beni colpiva principalmente le famiglie nobili, così come l’obbligo di risposarsi implicava una serie di problemi ereditari. La legge dovette quindi subire forti critiche. L’intestazione della legge di Severo «abrogatis capitibus iniustis legis divi maioriani»30 sembra mostrare il tentativo del nuovo governo di allontanare da sé la responsabilità della morte del precedente imperatore, e forse in questi ambienti nacque ‘la voce’ secondo la quale Maioriano sarebbe morto per cause naturali;31 anche se l’intestazione potrebbe appartenere ad una successiva revisione.32

La politica seguita dopo la morte di Maioriano fu contraddistinta dalla fine di qualsiasi disegno di ‘restaurazione imperiale’, se si eccettuano gli interventi orientali nella politica occidentale,33 d’altra parte fieramente combattuti proprio dal ceto senatoriale italico così come dalla casta militare germanica che guidava l’esercito della penisola. Così mentre in vaste aree della Gallia, Dalmazia e forse anche in Spagna i generali di Maioriano non accettarono il nuovo governo imperiale,34 la cogestione tra il ceto senatoriale italico e quello militare germanico ebbe l’effetto di preservare la penisola da ulteriori conflitti ma anche di affossare la figura imperiale fino a cancellarla del tutto nel 476.

 

Conclusioni

La «De Sanctimonialibus vel viduis et de successionibus earum» di Maioriano, emanata nel 458, testimonia il profondo mutamento sociale che stava coinvolgendo l’impero occidentale e le sue complesse strutture burocratiche. Allo stesso tempo ci offre la possibilità di osservare questo mutamento dal punto di vista dell’autorità laica che, prima di perdere definitivamente compattezza, conobbe nel breve regno di Maioriano (457-461) un ultimo complessivo disegno di ripresa. L’impatto tra la crisi delle istituzioni imperiali e il radicarsi nella società della Chiesa, portatrice di nuovi valori, costumi e priorità, stava diffondendo uno dei pericoli maggiormente avvertito dai legislatori di questi anni: il disimpegno dalla vita pubblica. In questo quadro la scelta religiosa si presentava come un potenziale aspetto eversivo, soprattutto dal punto di vista culturale. L’influsso di questa nuova sensibilità, specialmente nel mondo femminile, portava non tanto (o non solo) all’uscita di numerose donne dal mondo secolare, ma costituiva un approccio destabilizzante per la coesione familiare, di ceto, di etnia. L’effetto di questo profondo mutamento culturale ebbe conseguenze significative sia dal punto di vista demografico che da quello della coesione etnica, proprio in un momento di particolare fragilità militare e istituzionale. All’interno del progetto di restaurazione dell’autorità dello Stato «et armis et legibus»35 portata avanti in Occidente da Maioriano e dai suoi collaboratori, la legge «De sanctimonialibus vel viduis et de successionibus earum» si presenta come il disegno di una forte restrizione dell’accesso allo stato religioso e di una notevole limitazione della libertà delle donne sole, col dichiarato tentativo di rilanciare l’idea della «utilitas filiorum, quos numerosius procreari pro Romani nominis optamus augmento»36. Per quanto questo progetto non intendesse contrastare con la Chiesa, come sembra dimostrato da alcuni passi del Liber Pontificalis,37 la mentalità che traspare da questa legge appare come un esempio di antitesi culturale rispetto al modello che poi, almeno in parte e con complesse vicende, si impose, soprattutto a causa della definitiva crisi dello stato imperiale in Occidente.

 

Footnotes

1     I principali lavori sulla vita e gli atti di governo di Maioriano sono in: H. Meyer, Der Regierungsantritt Kaiser Majorians, in BZ 62 (1969) 5-12; J.R. Martindale, The Prosopography of the Later Roman Empire. Volume II. A.D. 395-527 (Cambridge 1980) 702-703 ; G.E. Max, Political Intrigue during the Reigns of the Western Roman Emperors Avitus and Majorian, in Historia 28 (1979) 225-237; A. Loyen, Recherches historiques sur les panégyriques de Sidoine Apollinaire (Parigi 1942); R.W. Mathisen, Resistance and Reconciliation: Majorian and the Gallic Aristocracy after the Fall of Avitus, in Francia 7 (1979) 597-627; L. Cantarelli, L’imperatore Maioriano. Saggio critico, in Archivio della Società Romana di Storia Patria 6 (1883) 259-301; S.I. Oost, Aëtius and Majorian, in CPh 59 (1964) 23-29.

2     Liber Legum Novellarum Divi Maioriani Augusti, VI: 1-3, in Codex Theodosianus, ed. Mommsen-Meyer (Berlino 1905).

3     Tale tema è affrontato da Maioriano anche nella «De episcopali iudicio et ne quis invitus clericus ordinetur vel de ceteris negotiis» (ibidem, XI).

4     Altre leggi di Maioriano che riguardano la sfera economica sono la «De indulgentiis reliquiorum» (cfr. Liber legum novellarum divi Maioriani Augusti, II), la «De bonis caducis sive proscriptorum» (ibidem, V) e la «Neque senatorem urbis Romae neque ecclesiam ex testamento sibi a certis personis aliquid relictum fisco inferre cogendum et de populis urbicis» (ibidem, X).

5     Il problema dell’uso strumentale dell’ordinazione religiosa come mezzo per non dividere l’eredità da parte di genitori e fratelli maggiori è stigmatizzato da Maioriano anche nella legge «De episcopali iudicio et ne quis invitus clericus ordinetur vel de ceteris negotiis» (ibidem, XI).

6     Sul calo demografico in età tardoantica si veda J.C. Russell, Late Ancient and Medieval Population, in TAPhS 48/3 (1958) 73-93 e A. Bellettini, La popolazione italiana dagli inizi dell’era volgare ai giorni nostri. Valutazioni e tendenze, in Storia d’Italia, I documenti, 5 (Torino 1973) 489-536.

7     Liber Pontificalis, (XLVII) Vita Leonis, ed. L. Duchesne (Parigi 1981) vol. I, p. 239. Uno studio del Brezzi mostra come il LX sia da intendersi XL (cfr. P. Brezzi, San Leone Magno (Roma 1947)). Sul problema della ‘consacrazione delle vergini’ si veda M. Sheenan, Sessualità, matrimonio, celibato e famiglia nell’Italia centrale e settentrionale: principi cristiani, giuridici ed etici nell’alto medioevo, in La famiglia in Italia dall’ antichità al XX secolo, a cura di D.I. Kertzer, R.P. Saller (Firenze 1995) 189-206.

8     Sulla condizione femminile in questi anni si vedano: S. Fornay Wemple, Le donne tra la fine del V e la fine del X secolo, in G. Duby, M.Perrot, Storia delle donne in Occidente (a cura di C. Klapisch-Zuber) (Roma-Bari 1990) 207-250.

9     Sul tema si veda: G. Jenal, Il Monachesimo femminile in Italia tra tardo-antico e medioevo, in Il Monachesimo femminile in Italia dall’alto medioevo al secolo XVII a confronto con l’oggi. Atti del VI convegno del Centro Studi Farfensi, Santa Vittoria di Matenano, 21-24 settembre 1995, a cura di G. Zarri (Verona 1997) 17-40.

10     Liber legum novellarum divi Maioriani augusti, VI: 58.

11     Uno di questi casi fu quello di Demetriade, esponente della gens Anicia, facoltosa dama che era in corrispondenza sia con Pelagio che con Agostino, ricordata da Leone I per la costruzione nel 460 di una grandiosa chiesa nel suburbio romano e per la donazione di grandi territori alla Chiesa di Roma (M. Armellini, Le chiese di Roma (Roma 1887) 702- 703).

12     Alla lotta contro i rivoltosi celtoromani delle Baucadae probabilmente va ascritto l’inizio della attività militare in occasione della difesa di Tours; cfr. C. Sollius Apollinaris Sidonius, Carmina, in Poems et Lettres, ed. A. Loyen (Parigi 1970) Car. V 210-211.

13     Liber legum novellarum divi Maioriani augusti, VII: 4; la legge si intitola «De curialibus et de agna-tione vel distractione praediorum eorum et de ceteris negotiis» e si pone contro il diffuso fenomeno della ‘fuga’ dei membri dei senati locali dal proprio ceto, a causa della pressione fiscale.

14     Uno di questi casi è quello del Comes Agrippino, avvenuto negli ultimi mesi del regno di Maioriano, processato e condannato per aver progettato la consegna della Narbonense ai visigoti (cfr. Vita Sancti Lupicini Abbatis, in MGH, Scriptores Rerum Merovingicarum, ed. B. Krusch vol. III (Hannover 1896) 11-14).

15     Sempre riguardo questo tema (anche come ulteriore testimonianza della ‘libertà’ di cui disponevano le donne nobili e segnale dello sfaldamento socioculturale di quei decenni, basti pensare che nel 468 l’imperatore Antemio emanò la legge: «De mulieribus quae servis propriis vel libertis se iunxerunt et de naturalibus filiis» (cfr. Liber legum novellarum divi Anthemii augusti, I, in Codex Theodosianus, ed. Mommsen-Meyer (Berolino 1905).

16     Maioriano prese il nome dal nonno materno, luogotenente di Teodosio in Pannonia (cfr. Sidon. carm. V, 109-112). Anche Romolo prese il nome dal nonno materno, il Conte Romolo, un diplomatico del Norico (cfr. Prisco, Historici Graeci Minores I (Lipsia 1870) fr. 8.

17     Si può ritenere che a partire dal IV-V secolo si sia assistito ad un progressivo mutamento nelle pratiche alimentari e di allevamento dei bambini, e che ciò abbia provocato un abbassamento del tasso di fertilità femminile. E’ possibile anche ipotizzare che questo nuovo costume sia stato poi scientemente seguito per mantenere una bassa natalità, che è infatti tipica dell’Italia altomedievale: per una discussione di queste ipotesi e delle evidenze archeologiche che le sostengono si veda F. Giovannini, Natalità, Mortalità e Demografia dell’Italia Medievale sulla Base dei Dati Archeologici, British Archaeological Reports, International Series S950 (Oxford 2001).

18     Secondo la testimonianza di Giovanni Antiocheno (FHG IV (Parigi 1851) fr. 202), le rivolte che coinvolsero Roma e Ravenna nel 456 (e portarono poi alla presa del potere da parte di Maioriano e Ricimero) ebbero origine dal fastidio delle popolazioni cittadine verso la presenza di guarnigioni di militari visigoti.

19     «et numerosius procreari pro Romani nominis optamos augmento» (cfr. Liber legum novellarum divi Maioriani augusti, VI: 88). Sul tema in generale si veda W. Goffart, The Barbarians in Late Antiquity and how they were accommodated in the West, in Debating the Middle Ages, Issues and Reading, ed. L.K. Little and B.H. Rosenwein (Oxford 1998) 25-44.

20     «ad sustinendi principatus apicem non voluntate mea, sed obsequio pubblicae devotionis accessi, ne aut mihi soli viverem aut ingratus rei publica, cui natus sum, sub hac recusatione iudicarer» (cfr. Liber legum novellarum divi Maioriani augusti, I: 4-6); se ne occupò anche nella legge sulle curie minori «De curialibus et de agnatione vel distractione praediorum eorum et de ceteris negotiis» in cui si stigmatizzava la ‘fuga’ dalla propria condizione sociale che contraddistingueva i decurioni; anche tra loro spesso si ‘passava’ allo stato religioso (ibidem, VII: 37- 43).

21     Dignitario di Avito, Maioriano e anche di Antemio, Sidonio Apollinare divenne poi Vescovo di Clermont: si vedano i lavori già citati di André Loyen.

22     Dalla metà del secolo però uomini di Chiesa, come Papa Leone, il vescovo Epifanio, Severino ed altri, iniziarono ad essere usati sempre più frequentemente dal governo imperiale come ambasciatori o mediatori durante lotte civili o trattative tra il governo e capi barbari. Ma questo non testimonia il loro diretto impegno nella lotta politica, ma anzi ne sottolinea la loro estraneità, avvertita dalle diverse fazioni in lotta. Le trattative tra il visigoto Eurico e l’imperatore Nepote furono per esempio, interamente condotte dal vescovo di Pavia Epifanio e dai vescovi delle città provenzali (cfr. Ennodius, Vita Epiphani, in, CSEL VI (Vienna 1882) 350- 351; Sidon. ep. VII, 7).

23     Restando al caso di Maioriano, il corpo di spedizione che lo seguì in Gallia e Spagna tra 458 e 461 era composto interamente da contingenti ‘barbari’ arruolati in Pannonia, alcuni dei quali dettero vita ad un ammutinamento ferocemente represso (cfr. Sidon. carm. V, 470-510). I comandanti delle truppe, con la significativa eccezione di Ricimero in Italia, non erano però germanici: Egidio in Gallia, Marcellino in Dalmazia e Nepoziano in Spagna.

24     L’esercito imperiale in Italia ebbe una parte nella congiura contro Maioriano nel 461; sempre guidato da Ricimero dette vita ad una guerra civile contro Antemio (472); nel 475 si ribellò a Giulio Nepote, che intendeva inviarlo in Provenza a combattere i visigoti, e infine — sotto la guida di Odoacre — si ribellò ad Oreste, padre di Romolo Augusto (476).

25     «Maiori anum de Galliis Romam redeuntem et Romano imperio vel nomini res necessarias ordinantem, Rechimer, livore percitus et invidorum consilio fultus, fraude interfecit cuircumventum» (cfr. Idazio, Cronaca, 210, ed. A. Tranoy (Parigi 1974)). E’ interessante notare come nella cronaca del vescovo Idazio compaia il termine ‘et Romano imperio vel nomini’ che potrebbe indurre a pensare ad una ‘coloritura’ etnica. Ma il silenzio delle altre fonti non consente di capire se si tratti di una semplice suggestione.

26     Così è definito nella cronaca del bizantino Giovanni Antiocheno (FHG IV fr. 203).

27     Basilio é Prefetto del Pretorio in Italia agli inizi dell’impero di Maioriano, ma dopo la morte di quest’ ultimo la sua carriera diviene sempre più prestigiosa; si veda anche Sidon. ep. I, 9.

28     Liber legum novellarum divi Severi augusti, I: 16-17.

29     Sul tema si veda L. Caes, Le statut juridique de la sponsalicia largitas échue à la mère veuve sui iuris selon la nov. 6 de Majorien et la nov. 1 de Sévère; contribution à l’étude du régime juridique de la donation pour cause de mariage, échue à la mère veuve sui iuris, depuis la loi Feminae (a. 382) de Théodose Ier jusqu’à la novelle I (a. 463) de Sévère (Courtrai 1949).

30     Liber legum novellarum divi Severi augusti, I: 1-2.

31     Secondo Procopio di Cesarea (cfr. De Bello Vandalico, I, 7) Maioriano sarebbe morto di dissenteria.

32     Si vedano note e commenti a questa legge in Liber legum novellarum divi Severi augusti, nell’edizione curata da Mommsen-Meyer (Berlino 1905) vol. I 199-201.

33     Sia Antemio (467-472) che Giulio Nepote (474-475) furono sistemati sul trono di Ravenna su iniziativa di Costantinopoli. Si veda: Malco di Filadelfia, Historici Graeci Minores I (Lipsia 1870) fr. 10.

34     L’autorità di Libio Severo non venne riconosciuta da Egidio in Gallia (cfr. Prisco di Panio, fr. 30), Marcellino in Dalmazia (cfr. Prisco di Panio, fr. 29), e forse anche da Nepoziano in Spagna (cfr. Idazio, 213).

35     Liber legum novellarum divi Maioriani augusti, VI: 2-3.

36     Ibidem, VI: 87-88.

37     Liber Pontificalis, Vita Leonis, I, ed. Duschesne (Parigi 1981) (XLVII) p. 239.AC