Pisco Sur e la,la,la,lalla, brindisi !

 

Viaggio in Patagonia

(gruppo Giuseppe Russo: 29 gennaio – 19 febbraio 2006)

 

Sono a casa da un solo giorno, eppure nella mia mente continuano a scorrere immagini come in un film proiettato a velocita’  :  vedo ghiacciai perenni, montagne innevate, iceberg dai colori cangianti dal blu all’azzurro che galleggiano dentro laghi, e vento, vento, un forte vento che non ci ha mai lasciato un momento. Immagini vivide, di gente affettuosa e gentile, con cui ci si capisce facilmente perche’ spagnolo ed italiano sono molto simili, e di piste sterrate e polvere, polvere, polvere a non finire.  E poi la temperatura che passa dal freddo intenso, reso ancora piu’ acuto dal vento, al caldo soffocante di quando l’aria si ferma. E tanta acqua. Laghi come lapislazzuli che si susseguono nel Parco del Paine in Chile, e fiumi e ruscelli. I ghiacciai che sembrano e forse sono cose vive. Camminano, si spostano giorno dopo giorno, poi si spezzano e lastre immense cadono con un rumore di tuono dentro l’acqua. E noi che sentiamo il forte rumore ed urliamo per indicare il punto dove questa parte del ghiacciaio va a morire, torna elemento liquido dopo essere stato per svariate centinaia di anni elemento solido. Ed ancora la cima del Fitz Roy che si erge maestosa tra le nuvole nell’ononimo parco dove una moltitudine di giovani provenienti da tutto il mondo percorre i sentieri.

Ed i compagni del gruppo con cui ci si fa forza nelle sveglie all’alba, o in piena notte alla fine di un lungo trasferimento in pulmino. E poi l’attraversamento dello stretto di Magellano e la navigazione nel canale di Beagle. Quanti ricordi scolastici, e di avventure lette in tanti libri nell’adolescenza quando si sognava ad occhi aperti. Tutto collima nella mia mente. Le visioni fantastiche dei racconti degli scrittori diventano adesso immagini e sensazioni reali. E per finire Ushuaia, “en la fin du mundo”, dove finisce il mondo, la citta’ piu’ a sud dell’estremo australe. Anche questa un mito fin da quando ero piccolo e leggevo il libro di Julius Verne intitolato “Il faro alla fine del mondo”.

Vi sto raccontando il viaggio in Patagonia. Terra dai molti contrasti, che devo dire mi vedeva un po’ scettico prima della partenza. Dalle foto avevo visto grandi steppe, grandi spazi. Pensavo che alla fin fine sarebbe stato un pò noioso. Ma cosi’ non e’ stato.

La cittadina di Cerro Castillo in Chile è forse il posto che piu’ mi ha affascinato. Appena dopo il confine Argentino, un avamposto nel nulla. Le strade sono tutte in terra battuta, c’è la corrente elettrica ma viene tolta a mezzanotte, quando la centrale si ferma. Siamo stati ospiti del Sindaco del paesino, che gestisce tramite la moglie un “Ospedaje, il Loreto Belen”, casa di ospitalita’ non ospedale come credeva qualcuno, ed un bar ristorante all’entrata della citta’ dove passa l’autobus che dalla Terra del Fuoco va in Argentina. All’arrivo, eravamo solo maschietti perche’ le donne erano rimaste indietro, e Silvana la ragazza che in mancanza della padrona gestisce la casa, ci fa vedere le camere, ciascuna  con  4 letti a castello e bagno, che dopo El Chalten nel Parco del Fitz Roy ci sembrano meravigliose. E allora i commenti sono : bellissimo, ma è una meraviglia, qui staremo da dei ! La Silvana ci guarda stranita e ci dice che siamo il primo gruppo che dice quelle parole. Generalmente sente dire : che schifezza, invivibile, ma come facciamo a stare qui ! Naturalmente divertimento e grandi risate da parte di tutti . Nello stesso week-end, durante la nostra permanenza, si è svolto un rodeo di gauchos. Infatti, nel momento del nostro arrivo, c’è gia’ gente che proviene dalle vicine fazende ed altre localita’. Le facce sono di persone  che vivono veramente fuori dal mondo ed in condizioni piuttosto dure. Ma si puo’ telefonare, e tra qualche mese ci sara’ anche l’internet point. C’e’ anche la televisione ricevuta da immense antenne satellitari.  In effetti, in tutti i posti toccati, ed alcuni erano veramente irraggiungibili, abbiamo avuto la possibilita’ di collegarci ad internet e ricevere/spedire posta elettronica ad un costo irrisorio. La sera, al ristorante-bar, mentre si cena, l’allegria è al massimo e si brinda in continuazione con il Pisco Sur , composto dal liquore di uva che si chiama  Pisco, zucchero, chiara d’uovo e limone,  ed al canto di “la,la,la,lalla, brindisi” insegnatoci dal mitico Maurizio e che poi diventera’ la colonna sonora del viaggio. I filetti di carne sono squisiti, era proprio vero che la carne argentina/chilena ha un sapore diverso perche’, ci dicono i locali, gli animali pascolano liberi in migliaia di chilometri quadrati di territorio e poi i macellai sanno tagliare bene le varie parti dell’animale. Quindi grandi mangiate,  compresi i  misti o parillade, dove si puo’ gustare il capretto, la salsiccia, il sanguinaccio, ed altri tipi di carne cotta alla brace. Buone anche le insalate e la pizza. Non vi azzardate a provare la pasta perche’ è immangiabile. Una sera a Puerto Natales c’è la siamo cucinata da soli con il sugo di pomodoro ma la qualità del prodotto non si avvicina assolutamente al nostro.

E finalmente è venuta la serata del rodeo a Cerro Castillo : in una grande arena i cavalieri dovevano resistere per almeno 15 secondi in sella a cavalli selvaggi. Tutta la gente era assiepata intorno, o arrampicata sulla staccionata, ed il commentatore eccitato descriveva le varie fasi della gara. Alcuni cavalieri resistevano fino al suonare della campana che squillava allo scadere dei 15 secondi, altri cadevano prima. Le fasi erano molto concitate, ed alcune volte i gauchos che controllavano la sicurezza del rodeo riuscivano a prendere colui che rodeava senza farlo cadere sul terreno. Le facce sembravano scolpite nel legno e si vedeva subito la grande familiarita’ di questa gente con i cavalli. Pensare che vivono in Fazende distanti tra di loro e dalle cittadine non meno di 50 kilometri di strade sterrate. Questa è stata la nostra base per visitare il Parco del Paine, dove ci sono le famose torri di roccia. Una zona piena di laghi e laghetti bellissimi, con l’acqua di un colore blu scuro, e sulle montagne la neve bianca ed in cielo nuvole color latte quando risplende il sole e nuvoloni neri quando il sole è coperto. Devo pero’ ammettere che dal punto di vista naturalistico, il parco del Fitz Roy in Argentina, forse perche’ è stato il primo che abbiamo visitato, è quello che piu’ mi ha impressionato. Si ha subito la vista del versante sud di questa montagna notissima tra gli alpinisti di tutto il mondo e dello spigolo lungo il quale Cesare Maestri e compagni si arrampicarono per la prima volta, in 53 giorni nel 1970, utilizzando il famoso compressore per forare la roccia e introdurre i chiodi necessari alla progressione della cordata. Il compressore è ancora appeso lassù a pochi metri dalla cima. Si puo’ visitare questo Parco o partendo ogni giorno da El Calafate a 200 km di distanza o alloggiando in un’altra mitica cittadina della patagonia: El Chalten che in idioma teuelche vuole dire “montagna che fuma”. Questa località è sorta solo da una decina di anni ed anche qui non esistono strade asfaltate, ma si trovano tre internet point, lentissimi perchè collegati via satellite, svariati negozi di atrezzature da montagna e da campeggio, molti ristoranti e vari ospedaje dove si puo’ alloggiare adattandosi in camere a quattro o sei letti con bagno. Attenzione a prenotare prima perche’ è molto facile  trovare tutto pieno. Come ultima chanche esiste il campeggio vicino al fiume. In quota ci sono un paio di altri campeggi per chi volesse fare trekking piu’ lunghi. Sul sentiero che porta al campo base di Maestri abbiamo incontrato numerosi gruppi di giovani di tutte le razze che salivano al campo attrezzato di Poincenot per passare la notte in tenda ed il mattino dopo andare all’ultimo “mirador”, proprio sotto il Fitz Roy. Mi è sembrata una località piena di giovani esuberanti e sportivi, dove l’andare in montagna è la principale occupazione. Negli stessi giorni si è svolta una gara di free climbing ed i giovani atleti hanno fatto cose veramente acrobatiche  sfidando la forza di gravita’. Lungo le strade soffia sempre il famoso vento patagonico e di conseguenza la polvere invade ogni dove. Ma il fascino del posto è fuori discussione. La citta’ di El Calafate posta a guardia dell’immenso Lago Argentino è invece famosa per i ghiacciai. Con la gita in nave sul lago si ha l’occasione di vedere tre di queste meraviglie che finiscono in acqua ed i cui immensi lastroni che si staccano con un rumore di tuono formano poi bellissimi iceberg con colori del ghiaccio che vanno dal bianco al blu scuro quando l’acqua in essi contenuta è stata compressa dalla massa sovrastante. Ma la madre di tutti i ghiacciai è il “Perito Moreno” :  massa di ghiaccio di 5000 metri di fronte per una lunghezza di 30 chilometri e 60 m di altezza  sopra il livello del lago. È il piú famoso dei 356 ghiacciai che integrano il parco. A differenza degli altri, dove soltanto si producono distaccamenti, il Perito Moreno offre un fenomeno naturale unico: la rottura d´immensi blocchi , alcuni alti come un palazzo di 5 piani . Lo spettacolo è veramente superbo.

Il Parco Nazionale i Ghiacciai, fu creato nel 1937, coprendo una superficie approssimata di 600.000 ettari e possiede 356 ghiacciai. Nel 1981 fu dichiarato Patrimonio Naturale dell´Umanità dall´UNESCO, con l´obiettivo di preservare la testimonianza del periodo quaternario, nel quale queste grandi masse di ghiaccio bianco dominavano la geografia del pianeta. Abbiamo passato un giorno intero in sua presenza. Al mattino ci viene a prelevare un pulmino con una guida simpaticissima vestita in costume gaucho che ha una stretta di mano d’acciaio. Prima un breve trekking sulla montagnetta di fronte al Perito con soste negli svariati “mirador” che permettono la vista del ghiacciaio da ogni angolazione possibile. Poi la lunga discesa per le scale del piu’ importante “mirador” quello che va a finire esattamente di fronte a questa massa di ghiaccio vivente. Ogni tanto una rottura. Una massa enorme  che si stacca e precipita nell’acqua, un rombo di tuono, ed un’onda che si solleva ed increspa la superficie del lago. Il ghiaccio che precipita ha un’eta’ di 300/500 anni. Questo il tempo per muoversi dall’origine, 30 chilometri a monte,  alla fine di questo immenso ghiacciaio. Poi finalmente nel pomeriggio prendiamo un battello e sbarchiamo in un punto a lato di questa immensa massa. Si scende, si percorre un breve sentiero, e siamo alla base di queste collinette tutte bianche. Alcune simpatiche guide ci accolgono e ci fanno mettere sotto gli scarponi, i ramponi per potere camminare su questa massa di acqua solidificata, che vive. Ci vengono spiegate le tecniche  della camminata con i ramponi e si parte. Sensazione bellissima arrampicarsi piano piano su queste masse ghiacciate, vedere i buchi dove scorre l’acqua del disgelo, osservare un alpinista che si arrampica con solo ramponi e piccozze su una verticale parete di ghiaccio come se vi fosse incollato. Il panorama è composto da montagne bianche che riflettono la luce del sole e mi accecherebbero se non avessi gli occhiali scuri. Alla fine della passeggiata, la guida ci informa che ci sara’ una sorpresa, ed infatti arrivati in una piccola valle, vediamo che al centro troneggia un tavolo con numerose bottiglie di wisckey . Per finire ci offrono il liquore on the rock.  Dove  le rock sono pezzi del Perito Moreno dell’eta’di 500 anni. Inutile dire che l’eccitazione e l’adrenalina accompagnate dal wisckey ci fanno diventare tutti molto allegri.

Ma da dove nasce il nome di questo immenso territorio: la Patagonia ?

Cito le parole di Antonio Pigafetta che scrisse il diario di bordo del viaggio intorno al mondo compiuto da Magellano:  “Un di al inproviso vedessemo uno homo, de statura de gigante, che stava nudo ne la riva del porto, balando, cantando et butandose polvere sopra la testa”.
E’ questo genovese a descrivere per la prima volta (siamo nel 1521) l’incontro coi popoli che verranno chiamati Patagoni (e il primo a chiamarli così fu proprio il capitano Magellano che con la forza tentò di portarne due al re Carlo V, ma i due uomini morirono durante il viaggio…). Esistono tuttavia anche altre versioni : secondo alcuni Patagonia significa semplicemente “piedi grandi”; secondo altri deriva piuttosto da un romanzo tardomedievale, “Primaleòn”, dove appare una strana creatura di nome Patagòn. Alti e corpulenti, tanto da far battezzare la regione “Terra gigantum” nella cartografia del XVI secolo, secondo gli storici i nativi descritti dagli europei appartenevano al popolo tehuelche. Nomadi, vivevano cacciando i guanaco e gli struzzi, che sono però piu’ piccoli rispetto a quelli di origine africana. Nei secoli successivi subirono un doppio processo di “assimilazione”: da un lato, da parte degli spagnoli e più in generale delle ondate di immigrazione europea; dall’altro, da parte dei cileni mapuche (o araucani) che a partire dal XVIII secolo penetrarono in Patagonia diffondendo la propria cultura e i propri costumi. Una bella e affascinante storia come quella del nome della “Terra del Fuoco”, la meta finale del viaggio.

Come è noto, la Terra del Fuoco è un arcipelago situato all'estremo Sud del Continente americano, scoperto da Magellano nel 1520 e così denominato dal navigatore che aveva osservato, al di là dello stretto, numerosi fuochi accesi dagli indigeni. Ricerche effettuate in passato in varie zone della "Isla Grande de Tierra del Fuego" hanno dimostrato che esistevano gruppi nomadi di indigeni fin da tempi immemorabili. Tali ricerche si sono estese ai Sitios Tres Arroyos, Marazzi e Cabeza de Leon, ed alcuni di essi avrebbero attraversato lo stretto di Magellano nel corso dell'ultima era glaciale. L'economia di questi gruppi era fondata sulla caccia e risulta che essi convivevano con una fauna ora parzialmente estinta (ad es. il cavallo americano). Erano i cosiddetti "cazadores pedestres", mentre gli indigeni stabilitisi sul litorale vivevano della pesca e della caccia agli elefanti marini (i "canoeiros ").

La cittadina di Ushuaia è la capitale, il punto di riferimento della regione. Situata in una bellissima baia, ha alle spalle montagne perennemente innevate. Il solito vento soffia ininterrottamente ma la temperatura, siamo stati nella loro estate,  non è molto fredda. Ci siamo arrivati dopo un lunghissimo e lento viaggio a causa della rottura del pulmino appena partiti da Punta Arenas. Tonino, il nostro mitico e discusso driver, cerca di ripararlo senza successo e poi chiama un suo amico che, con un altro mezzo, ci accompagnera’ fino al traghetto che attraversa lo Stretto di Magellano. Durante questo tratto, anche il secondo pulmino si rompe, ma viene prontamente riparato on the road. Si prosegue e si arriva allo stretto. Dobbiamo aspettare Tonino che nel frattempo ha  eseguito la riparazione e ci raggiungera’ per portarci dal Chile nuovamente in Argentina. Ci sistemiamo per varie ore in un bar molto caratteristico dove la padrona ci racconta storie di viaggiatori e uomini e donne che passano da li ogni giorno. Pare che ci sia un costante flusso di italiani che fanno il nostro stesso giro, ma in bicicletta. Ne incontriamo uno, e rimaniamo incantati ad ascoltare le mille difficoltà che si incontrano in un viaggio di questo tipo con un mezzo come la bicicletta. Ci racconta che in alcuni tratti si è dovuto fermare lungo la strada perchè il vento non gli permettava assolutamente di andare avanti. E di un’altra volta quando il solito vento impetuoso gli ha strappato, e diviso  in due parti, la tendina da sopravvivenza nella quale stava riposando. 

Finalmente nel tardo pomeriggio arriva Tonino e proseguiamo. Arriviamo ad Ushuaia a mezzanotte. Alloggiamo da Teodoro, un simpatico ed invadente personaggio, che in un album conserva la foto ed i nomi di tutti i gruppi di Avventure nel Mondo che negli ultimi dieci anni hanno alloggiato presso di lui. La moglie “Mama Maria”, è nota per le ottime qualita’ di cuoca, che testiamo subito mangiando squisiti filetti di manzo.  

Ushuaia, fondata nel 1884 dal commodoro Augusto Laserre e situata sullo Stretto di Beagle che collega l’Oceano Atlantico a quello Pacifico, è costantemente percossa da un vento freddo e violento. Si trova a pochissima distanza da Capo Horn ed è da qui che partono le spedizioni per il continente Antartico. Nei mesi invernali, luglio e agosto, le giornate sono molto corte e si possono avere al massimo cinque o sei ore di luce. Gli edifici sono interamente di legno con grandi vetrate, vivacemente colorati e ricordano molto lo stile architettonico di alcuni cantoni della Svizzera, o le abitazioni tipiche della Lapponia.

Penso che questa città sia nei sogni di qualsiasi viaggiatore : “en la fin du mundo” alla fine del mondo è il suo motto. In realta’, ma facciamo finta di non saperlo, la citta’ piu’ a sud dell’emisfero australe è la base navale cilena Puerto Williams, che tuttavia è solamente un avamposto militare molto poco abitato. Di prammatica la foto di fianco al cartello con la scritta “en la fin du mundo”  e lo sfondo del Canale di Beagle. Poco più in la c’è la “capsula del tiempo”, una piccola piramide all’interno della quale in una scatola di acero sono conservati sei compact disk con registrato un ciclo di trasmissioni televisive dell’anno 1992. La capsula sarà aperta tra 500 anni nel 2492 per fare sapere ai posteri come si viveva nella nostra epoca. Affascinante idea, posta in una altrettanto affascinante localita’.

A pochi chilometri da Ushuaia si trova il parco naturale cretato nel 1960, di oltre 63.000 ettari, l'unico in Argentina con accesso al mare. Lo si raggiunge percorrendo la famosissima Rute Nr. 3, la strada nazionale che parte da Buenos Aires e attraversa tutta la regione. Lungo il percorso si ammirano diverse visioni panoramiche del canale di Beagle circondato da montagne e boschi dove convivono molteplici varietà di faggi e piccoli fiori quali viole, orchidee e anemoni. La strada termina nella Bahia la Pataia, a 3372 km. da Buenos Aires e 17.000 dall'Alaska. Qui facciamo l’ultimo trekking in un bosco umidissimo e lungo un sentiero che costeggia la baia. Ogni volta che si è in vista del mare arrivano raffiche di vento micidiali sopratutto se si è impregnati di sudore per la camminata. La mattina dopo andiamo a visitare l’antico carcere : fino alla sua chiusura nel 1947, rivestì un ruolo fondamentale per lo sviluppo della città. Lí furono alloggiati condannati famosi, come gli anarchici Simón Radowitsky, il truffatore Juan Dufour, che scappó dall´Isola del Diavolo, e il tristemente celebre Cayetano Santo Godino, piú conosciuto come "El Petiso Orejudo", assassino di bambini. La cosa divertente è che tutti questi personaggi sono rappresentati con riproduzioni di statue di cera a grandezza naturale, nelle loro antiche celle.

All'interno del Carcere oggi è posizionato il Museo Marittimo. Al museo si possono ammirare ricostruzioni di antichi battelli, rompighiaccio, e fotografie che documentano imprese marine al limite dell’impossibile, vascelli intrappolati nei ghiacci, le storiche spedizioni polari partite da Ushuaia alla volta della banchisa antartica, le gloriose esplorazioni di Amundsen, antiquati strumenti di navigazione, e la documentazione sui viaggi di Darwin inerenti il suo incontro con le popolazioni locali. Leggiamo dal suo diario di bordo una descrizione degli abitanti :“esseri subumani che si nutrivano di grasso di balena putrefatto e che praticavano il cannibalismo, in questo ammasso confuso di rocce selvagge, di alte colline e di inutili foreste, il tutto avvolto da nebbie e tempeste senza fine.”

 Nel corso della sua navigazione lungo il Canale Beagle Darwin racconta anche l’origine del nome dato alla Terra del Fuoco, descrivendo il suo primo impatto con gli indigeni : “furono accesi dei fuochi in ogni punto, sia per attirare la nostra attenzione, sia per diffondere la notizia. Alcuni uomini corsero per chilometri lungo la spiaggia. Non dimenticherò mai l’aspetto selvaggio di un gruppo: improvvisamente quattro o cinque uomini apparvero sull’orlo di un’altura sovrastante; erano completamente nudi e le loro lunghe capigliature ondeggiavano intorno al loro viso; tenevano in mano rozzi bastoni e saltando facevano roteare le braccia intorno al capo, mandando le grida più spaventose.”

Degli Onas e Yamanas, le popolazioni descritte da Darwin, non ne resta traccia. Gli attuali residenti sono uomini dalla pelle scura con i tratti che ricordano gli Indios.

Per concludere : sensazioni forti, posti veramente difficili, freddo e caldo, gente molto interessante, colori, ghiaccio e laghi e fiumi, e poi steppe e cavalli, e Pisco sur e brindisi, e filetti da favola, e poi andate a vedere la Patagonia, non ne rimarrete certo delusi.

 

Paolo Macorig

e-mail : macorig@iol.it