FALDINI DON GINO
NOTE STORICHE
SOLITE A FARSI NELLA
PARROCCHIA DI CAMPAGNATICO
(3^ stesura – 1969)
Nella Parrocchia di S. Giovanni Battista a Campagnatico, oltre alle processioni sia liturgiche sia tradizionali solite a farsi in tutte le Parrocchie della Maremma, se ne fanno alcune che non hanno riscontro in altri luoghi, dette comunemente: “la Processione dell’Offerta” o, più comunemente “L’OFFERTA.”
Anticamente questo Paese era circondato da mura, delle quali rimangono anche oggi resti imponenti, entro le quali vi era la Chiesa di S. Giovanni, allora Pieve, la Chiesa di S. Antonio, la Rocca o Castello, il Palazzo del Podestà, il Municipio e le case dei particolari, come allora si diceva. Accanto alle mura, ma al di fuori di esse, esisteva fin dall’alto Medioevo una Chiesa dedicata alla Natività della Madonna, fin d’allora comunemente detta “di S.Maria”.
In seguito detta Chiesa
divenne Parrocchia della Corte, come vedremo, mentre la Chiesa di S. Giovanni
era la Parrocchia della Terra.
Ma perché fuori della Terra,
cioè fuori dal Paese, accanto alle sue mura, esisteva questa Chiesa e qual’era
la sua origine? Forse queste sue origini erano più antiche delle mura stesse e
forse dello stesso Paese? Quest’ultima ipotesi si è rivelata la vera, dopo che
da molte notizie riunite su questo luogo son potuto risalire alla nascita di
questo sacro edificio.
Nell’Archivio di Stato di
Siena esiste un documento[1]
(proveniente dall’Archivio dell’antichissima Abbazia del SS. Salvatore sul
Monte Amiata) dell’anno 973 nel quale è detto che il Marchese Lamberto di
Maremma dei Conti Aldobrandeschi, vendeva all’Abate di detta Abbazia, 45 fra
Corti e Castelli, fra le quali Galliano, dove questo Marchese aveva la sua
abitazione e vi firmò l’atto stesso, e Campagnatico.
La vendita di questi beni,
come è specificato nell’atto, avvenne con la condizione precisa che si potevano
riscattare con la restituzione della somma pagata , come poi avvenne ad opera
della vedova Ermengarda di Lattaia sedici anni dopo (989).[2]
Ho nominato questo documento perché proprio dopo questo si trova che l’Abbazia
del SS. Salvatore ebbe in Galliano e Campagnatico qualche possesso e, fra questi, la “Cella Sante Marie”(sic).
Infatti in due diplomi
dell’Imperatore Corrado II, uno del 5 aprile del 1027 e l’altro del 10 aprile
1036,[3]
diretti a questa celebre Abbazia, oltre ad un altro dell’Imperatore Arrigo VI
del 20 luglio 1194, viene confermato ad essa Abbazia il possesso di “Curtem S.
Salvatoris et Cellam Sante Marie iuxta Campagnaticum”.
A parte la ragione per la
quale l’Abbazia dell’Amiata possedeva questi beni, è chiaro che dopo il 989,
anno del riscatto dei beni del Marchese Lamberto da parte della vedova ,
esisteva a Campagnatico (che era appena
agli albori della sua esistenza) una Cella o Cappella dedicata a S. Maria” cioè una cappella dedicata a S.
Maria, e questa era posta non in Campagnatico, ma presso (iuxta) Campagnatico,
cioè nel luogo stesso dove ancor oggi si trova.
Questa Cappella, forse sotto
l’impulso che le dettero i Monaci di SS. Salvatore s’ingrandì talmente che
divenne presto Parrocchia. Ed infatti nell’opera dello storico secentesco
Ughelli, “L’Italia Sacra” (questo storico apparteneva anch’esso all’Abbazia di
S. Salvatore) vi è un volume dedicato agli
elenchi delle Parrocchie di varie Diocesi italiane, che dettero il loro contributo all’ultima Crociata; alla Diocesi di Roselle si
può trovare che a Campagnatico dettero il loro contributo sia la Parrocchia di S. Giovanni, sia la
Parrocchia Curata di S. Maria. Dato che le Crociate finirono ufficialmente
verso l’anno 1270, si può dunque vedere che a quell’epoca l’antica Cella di S.
Maria era già divenuta Parrocchia.
Negli Statuti della Comunità
di Campagnatico[4] del tempo di
Leone X, (“A laude onore e gloria della S.Chiesa di Roma e del Divino e
Santissimo in Cristo Padre Leone X…”), dei quali una delle due sole copie si
conserva in quest’Archivio storico
parrocchiale, rifatti, come in essi è detto, su altri più antichi, nella prima
Distinzione, a pag. 33, al Capitolo “DE MODO ET ORDINE DA TENERSI NELL’ONORARE
LA FESTA DI S. MARIA DI SETTEMBRE E SUA FRANCHIGIA” è detto testualmente: “Anco
atteso e veduti li Statutari e Savi sopradetti, la Gloriosa Nostra Donna Santa
Maria alli dì otto di settembre esser Advocata e Protettrice della Terra
nostra, parelo e parso in tal dì si debba onorare con tutte quelle solennità e
spendìo di Nostro Comune …… e similmente li detti Priori e Camarlengo possino e
a loro sia lecito a laude onore e gloria dare ed offerire alla Nostra detta
Donna Santa Maria libre trenta di cera lavorata e cioè: due Doppieri di peso
libre otto e libre ventidue in falcole, la quale cera e Offerta il Potestà con
suoi Offiziali, Priori e Camarlengo prefati col Consiglio Ordinario devino
portare ad offerire in tal mattina di detta Festa alla Chiesa di S. Maria di
fuora alla terra nostra”.
Come si legge quindi negli
Statuti, tale Corteo fin dal 1500 era detto e chiamato “OFFERTA” e veniva fatta
alla Chiesa di S. Maria “fuora dalla terra nostra” secondo un ancor più antico
uso che, come dicono gli stessi Statuti, era fissato in uno statuto
particolare: ”… per l’ordine dichiarato nello statuto esponente di tale
festa..”.
Tale Offerta, stabilita,
come abbiamo visto, in cera, veniva ripetuta posteriormente, secondo la
relazione dell’Auditore Corbinelli (1615) e Gherardini (1673)[5]
anche in altre occasioni, come nel giorno di Pasqua e in quello
dell’Assunzione.
Da ciò che abbiamo saputo attraverso questi pochi cenni storici e dal fatto che oggi pure tali cortei vengono chiamati “Processioni dell’Offerta”, dobbiamo concludere con certezza che tali odierne processioni traggono la loro origine storica dalla medioevale “OFFERTA” di cera che le maggiori Autorità della Comunità accompagnate da tutto il popolo festante, portava solennemente alla Chiesa di S. Maria; ciò che si ripete puntualmente anche oggi sebbene un malaugurato rispetto umano ne tenga lontane le Autorità e una certa parte degli uomini.
Ancora una cosa c’è da dire
e cioè che l’uso di tale offerta di cera alla Chiesa di S. Maria tanto in
occasione dell’ 8 di settembre come in altre feste, sia giunta ininterrotta
fino ai giorni nostri!
A questo proposito devo dire
ancora che la Chiesa di S. Maria sebbene fin dal medioevo fosse la Parrocchia
della Corte e quindi distinta dalla Pieve di S. Giovanni, tuttavia essa ebbe
sempre una certa qual dipendenza dalla stessa Pieve,[6]
come risulta dalla sopra citata relazione Gherardini e dagli stessi Statuti,
sia perché ad essa Pieve doveva ricorrere per il Fonte Battesimale, di cui fu
sempre priva, sia per l’obbligo che aveva di interpellare il Pievano in certe
particolari circostanze, sia ancora per l’obbligo del Curato di S. Maria,
sancito da più di un Decreto vescovile, di presenziare alla festa del titolare
S. Giovanni, mentre al corrispettivo non era obbligato il Pievano.
Nonostante questo la Chiesa
di S. Maria fu sempre considerata il Santuario Mariano di tutto il territorio,
sia della Terra cioè del Paese, sia della Corte, cioè della campagna, e in
questo senso ha sempre goduto in questo Luogo di una particolare
considerazione, data la secolare devozione che questo popolo ha sempre nutrito
verso la Vergine SS. delle Grazie sotto il qual titolo in questa Chiesa da
lungo tempo è stata venerata.
A riprova di ciò basta
scorrere l’elenco dei beni da questa Chiesa posseduti e riportati sia dalle due
relazioni succitate sia dalle notizie riportate dall’Anichini nella sua opera manoscritta: La storia
ecclesiastica della Maremma.[7]
Pure a proposito
dell’Immagine quivi venerata si potrebbe pensare che un esame accurato ed
attento della medesima potrebbe portare a qualche sorpresa che confermerebbe
l’importanza di questo Santuario. Infatti essa è dipinta su una tavola di
antichissima quercia dalle cui caratteristiche liee e dallo stesso volto,
sebbene annerito dal tempo, come pure dalla delicatezza del panneggio di velo
bianco che ricopre il Bambino, si può già arguire con una certa approssimazione
che l’opera sia di mano maestra, e di data corrispondente al periodo aure
dellapittura senese. Purtroppo esso è stato ritoccato o meglio ridipinto almeno
in parte da mano poco felice ed esperta, poiché s’intravedono al disotto del
ritocco linee ben più nobili e pure delle attuali. Mi conferma in quest’ipotesi
il fatto che in questo luogo dominarono famiglie importantissime come gli
Aldobrandeschi, i Tolomei, i Visconti di Campiglia d’Orcia e Siena stessa, che
certamente tenevano a chiamare artisti di chiara fama! Del resto nella parte
absidale della stessa Chiesa esiste un ciclo pittorico anch’esso orribilmente
ritoccato, ma che dalla sua impostazione generale come da molti particolari si potrebbe far risalire alla
scuola senese e forse la migliore, come opina il celebre critico Berenson, il
Chiar.mo Prof. Enzo Carli di Siena e per ultimo il noto prof. Mazzolai di
Grosseto.
Tutto questo ci dice ancora
una volta di quanta considerazione fosse circondato questo nostro Santuario.
Ad un periodo di materiale
declino e squallore subìto da questa Chiesa dopo la sua soppressione come
parrocchia per decreto del Granduca Leopoldo I avvenuta il 12 Agosto 1793,
successe un nuovo periodo di splendore sia materiale che spirituale per merito
del Sig. Gaetano Monti, di questo luogo. Grazie[8]
ad una copia di un manifesto a stampa
ritrovato nella stessa Chiesa e
conservato in quest’Archivio Parrocchiale, si è potuto sapere che detta Chiesa
era stata interdetta e il 23 maggio 1807 venne da Mons. Fabrizio Selvi Vescovo
di Grosseto consacrata e contemporaneamente vi venne ordinato Sacerdote lo
stesso Sig. Gaetano Monti che di questa Chiesa era il Patrono; e nella stessa
occasione ne venne eletto Rettore, forse perché da lui stesso, come dice il
documento, risarcita; mentre con solenne Processione vi veniva riportata dalla
Chiesa di S. Giovanni l’Immagine di Maria SS. delle Grazie. Questo Sacerdote
venne dopo poco tempo eletto Parroco della Propositura di S. Giovanni, nel
quale incarico di lì a poco morì.
Divenuta così una Chiesa, si
può dire, privata, non perse la sua importanza, anzi divenne in maniera
ufficiale il Santuario Mariano di tutta la Parrocchia ed in essa prese sede la
Confraternita di Misericordia che dalla Chiesa stessa prese e conserva tuttoggi
il nome.
Il Granduca Leopoldo I, con
Motu Proprio del 21 marzo 1785 dichiarò abolite tutte le Compagnie, Congreghe,
Centurie e Terzi ordini del suo Stato e volle in pari tempo istituire in quella
vece ed in ogni Parrocchia una sola Compagnia di Carità, destinata ad
esercitare le Opere di Misericordia Corporali e Spirituali. Penso che proprio
in questa occasione sorgessero molte Confraternite di Misericordia in Maremma,
come certamente sorse nella stessa occasione la nostra, poiché mai ne ho
trovato traccia prima di questa data.
Così alla nostra
Confraternita dopo il suo insediamento nella Chiesa di S. Maria, rimase il
compito, che ha assolto ed assolve ancora egregiamente, di conservare tutte le
tradizioni, le cerimonie, gli usi e i
riti che prima di allora vi si facevano. Alla stessa Confraternita sono
iscritti quasi tutti gli abitanti della Parrocchia, anzi per antica
consuetudine i più vi vengono iscritti ancora in fasce. Ed è proprio per il
cospicuo numero degli ascritti che ha potuto far fronte alle varie necessità
della Chiesa in cui ha sede, come il rifacimento del campanile nel 1884, e
contemporaneamente il nuovo doppio di tre campane di circa 10 quintali
complessivi di bronzo, dal suono dolce e potente tanto da farne uno dei doppi
più suggestivi della maremma.
Purtroppo queste nuove
campane sono costate una pagina importante di storia della nostra Parrocchia,
perché, come rilevasi dalla loro iscrizione, vennero fuse le vecchie campane,
senza che nessuno pensasse a ricopiare le iscrizioni che portavano, fonte
spesso importantissima di storia locale.
Tornando alle nostre
Processioni dell’Offerta devo dire che merito non ultimo di questa
Confraternita è l’averle tramandate fino a noi e con esse l’averci conservata
una bella pagina di storia cristiana e civile della Maremma.
D.G.F.
NOTA IMPORTANTE: Ho accennato, in queste brevi note, che sotto la ritoccatura, l’Immagine della Madonna di S. Maria potesse celare qualche sorpresa.
Ebbene, durante i lavori di
rifacitura della copertura della Chiesa, (Settembre-Novembre 1968), osservando
più attentamente e da vicino l’antica tavola, ebbi la certezza che si trattasse
di qualcosa di buono, e preso dall’entusiasmo la misi in macchina e partii
sull’istante per Siena, dove la feci subito vedere al Soprintendente alle
Gallerie, il Prof. Enzo Carli.
Ed ecco il sorpendente
responso: “Lei possiede un tesoro: quest’Immagine è certamente della Scuola di
Duccio di Boninsegna!”.
M’invitò a lasciarla nel
Laboratorio di Restauro, e promise che l’avrebbe sottoposta ad un’accurata
ripulitura dall’orribile ritocco subito nei primi anni dell’800.
Tornato a vederla, dopo
qualche tempo, non riuscivo a
riconoscerla, tanto aveva ripreso della sua originaria bellezza..
Venne esposta, nella stessa
Pinacoteca durante la Settimana dei Musei del 1969 e ne parlarono diversi
importanti quotidiani italiani come La Nazione, l’Avvenire, il Corriere della
Sera.
La Chiesa di S. Maria in
Campagnatico si arricchisce così di una nuova gemma: una dolce Madonna dovuta
al pennello di un discepolo di Duccio;
segno anche questo dell’amore di questo popolo alla Madonna, che non la
volle dipinta da una mano qualsiasi, ma da quella scuola il cui Maestro aveva
dato al mondo quel Capolavoro di fede, di arte, di amore che si chiama: LA
MAESTÀ DI DUCCIO.
D.G.F.
[1] Archivio di Stato di Siena
[2] Repetti: Campagnatico..
[3] Repetti: Campagnatico.. – Pecci: Campagnatico… Archivio di Stato di Siena
[4] Statuti della Comunità di Campagnatico – Archivio storico parrocchiale di Campagnatico
[5] Corbinelli: Relazioni – Gherardini: Relazioni: Biblioteca Comunale Chelliana di Grosseto
[6] Anichini: Storia Ecclesiastica della Maremma – Arch. della Curia Vescovile di Grosseto
[7] c.s
[8] Arch. storico parrocchiale di Campagnatico: Docum. Riguardante la Chiesa di S.Maria e il suo restauro del 1807