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Capitolo 24, Volume 9

Giuda di Keriot (Iscariota) dopo il suo tradimento

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Vedo Giuda. E' solo. Vestito di giallo chiaro e con un cordone rosso alla vita.

Il mio interno ammonitore mi avverte che da poco è stato catturato Gesù e che

Giuda, fuggito subito dopo la cattura, è ora in preda ad un contrasto di

pensieri. Infatti l'Iscariota pare una belva furente e braccata da una muta di

mastini. Ogni sospiro di vento fra le fronde, il frusciare che fa un qualche che

per le vie, il gemito di una fontanella lo fanno sussultare e volgersi con

sospetto e terrore come si sentisse raggiunto da un giustiziere. Gira il capo

tenendolo basso, a collo torto, gira gli occhi come chi vuol vedere e ha paura

di vedere, e se un giuoco di luna crea un'ombra dalla parvenza umana egli sbarra

gli occhi, fa un salto indietro, diventa anche più livido di quanto non sia, si

arresta un istante e poi fugge a precipizio tornando sui suoi passi, scantonando

per altre viuzze sinché un altro rumore, un altro giuoco di luce lo fa arretrare

e fuggire in altra direzione.

Nel suo andare pazzo va così verso l'interno della città. Ma un clamore di

popolo l'avverte che è presso alla casa di Caifa, e allora, portandosi le mani

al capo e curvandosi come se quei gridi fossero altrettante pietre che lo

lapidino, fugge, fugge. E nel fuggire prende una stradetta che lo porta diritto

verso la casa dove fu consumata la Cena. Se ne accorge quando è davanti ad essa

per una fontanella che geme a quel punto della via. Il piangere dell'acqua che

goccia e cade nel piccolo bacino di pietra, e un fischio debole di vento, che

insinuandosi per la via stretta fa come un represso lamento, gli devono sembrare

il pianto del Tradito e il lamento del Suppliziato. Si tappa gli orecchi per non

udire e scappa ad occhi

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chiusi per non vedere quella porta da cui poche ore avanti è passato col Maestro

e dalla quale egli è uscito per andare a prendere gli armati per catturarlo.

Nel correre così alla cieca va a urtare contro un cane randagio, il primo cane

che vedo da quando ho le visioni, un grosso cane grigio e irsuto che con un

ringhio si scansa, pronto a slanciarsi contro il suo disturbatore. Giuda apre

gli occhi e incontra le due pupille fosforescenti che lo fissano e vede il

biancore delle zanne scoperte che pare abbiano un riso diabolico. Dà un urlo di

terrore. Il cane, che forse lo crede un urlo di minaccia, si avventa, e i due

rotolano nella polvere: Giuda sotto, paralizzato dalla paura, il cane sopra.

Quando la bestia lascia la preda, giudicata forse indegna di una lotta, Giuda

sanguina per due o tre morsi e il suo mantello presenta dei vasti strappi.

Un morso lo ha proprio addentato alla guancia, nel preciso posto dove egli ha

baciato Gesù. La guancia sanguina e sangue brutta la veste giallognola di Giuda,

al collo. Gli fa come un collare di sangue imbibendo, di sé il cordone rosso che

stringe al collo la veste, facendolo più rosso ancora. Giuda, portandosi la mano

alla guancia e guardando il cane che si allontana, ma lo guata dall'ínsenatura

di una porta, mormora: « Belzebù! » e con un nuovo urlo fugge inseguito dal cane

per qualche tempo. Fugge sino al ponticello che è prossimo al Getsemani. Qui,

sia perché stanco di inseguirlo, sia perché fosse idrofobo e l'acqua lo

allontani, il cane lascia la preda e torna indietro ringhiando. Giuda, che si

era gettato nel torrente per prendere pietre da scagliare al cane, quando lo

vede allontanare si guarda intorno, si vede con l'acqua sino a metà polpaccio.

Senza curarsi della veste che sempre più si bagna, si curva sull'acqua e beve

come fosse preso da arsione di febbre e si lava la guancia che sanguina e deve

dolere. Al lume di un primo svegliarsi di alba risale il greto. Dall'altra

parte, come avesse ancora paura del cane e non osasse tornare verso la città.

Fa qualche metro e si trova nell'ingresso dell'Orto degli Ulivi. Grida: « No!

No! » riconoscendo il posto. Ma poi, non so per quale forza irresistibile o per

quale sadismo satanico e criminale, avanza in quel luogo. Cerca il posto dove è

avvenuta la cattura. La terra del sentiero scompigliata da molte pedate, l'erba

calpestata in un

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dato punto e del sangue per terra, forse quello di Malco, lo avvisano che lì

egli ha indicato ai carnefici l'Innocente.

Guarda, guarda... e poi ha un urlo roco e fa un balzo indietro. Grida: « Quel

sangue, quel sangue!... » e lo indica... a chi? col braccio teso e l'indice

puntato. Nella luce che aumenta il suo volto è terreo e spettrale. Pare un

pazzo. Ha gli occhi sbarrati e lucidi come per delirio, i capelli scompigliati

dalla corsa e dal terrore sembrano stare irti sul capo, la guancia, che va

enfiando, gli torce la bocca in un ghigno. La Veste strappata, insanguinata,

bagnata, motosa, perché la polvere si è appiccicata al bagnato ed è divenuta

fango, lo fa simile ad un accattone. Il manto pure lacero e motoso gli pende giù

da una spalla come uno straccio e in questo egli si impiglía quando, continuando

a gridare: « Quel sangue, quel sangue! » arretra come se quel sangue divenisse

un mare che monta e sommerge. Giuda cade riverso e si ferisce al capo, dietro al

capo, contro una pietra. Ha un gemito di dolore e di paura. « Chi è? » grida.

Deve aver pensato che qualcuno l'abbia fatto cadere per colpirlo. Si volge con

terrore. Nessuno! Si alza, Ora il sangue goccia anche sulla nuca. Il cerchio

rosso si allarga sulla veste. Non cade in terra perché è poco. La veste lo beve.

Ora il capestro rosso pare già al collo.

Cammina. Ritrova le tracce del fuocherello acceso da Pietro ai piedi di un

ulivo. Ma egli non sa che è opera di Pietro e deve credere che lì fu Gesù.

Grida: « Via! Via! » e con ambe le mani tese avanti a sé pare respingere un

fantasma che lo tormenta. Scappa. E va a finire proprio contro il masso

dell'Agonia.

Ormai l'alba è netta e permette vedere bene e subito. Giuda vede il mantello di

Gesù rimasto piegato sul masso. Lo conosce. Vuole toccarlo. Ha paura. Stende e

ritira la mano. Vuole. Disvuole. Ma quel manto lo affascina. Geme: « No. No. »

Poi dice: « Sì, per Satana! Si. Voglio toccarlo. Non ho paura! Non ho paura! »

Dice che non ha paura, ma batte i denti dal terrore, e il rumore che fa sul suo

capo un ramo d'ulivo mosso dal vento e urtante contro un tronco vicino lo fa

urlare di nuovo. Pure si sforza e afferra il mantello. E ride. Un riso da pazzo,

da demonio. Un riso isterico spezzato, lugubre, che non finisce mai, perché ha

vinto la sua paura. E lo dice: « Non mi fai paura, Cristo. Più paura. Avevo

tanta paura di Te perché ti credevo un Dio e un forte. Ora non mi fai più paura

perché non sei Dio. Sei un povero pazzo, un debole. Non ti sei sa-

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puto difendere. Non mi hai incenerito come non hai letto nel mio cuore il

tradimento. Le mie paure!... Che stolto! Quando parlavi, anche ieri sera, io

credevo Tu sapessi. Nulla sapevi. Era la mia paura che dava tono di profezia

alle tue comuni parole. Sei un nulla. Ti sei lasciato vendere, indicare,

prendere come un sorcio nella tana. Il tuo potere! La tua origine! Ah! Ah! Ah!

Buffone! Il forte è Satana! Più forte di Te. Ti ha vinto! Ah! Ah! Ah! Il

Profeta! Il Messia! Il Re d'Israele! E mi hai tenuto soggetto per tre anni! Con

la paura sempre nel cuore! E dovevo mentire per ingannarti con finezza quando

volevo godere la vita! Ma anche avessi rubato e fornicato senza tutta l'astuzia

che usavo Tu non mi avresti fatto nulla. Imbelle! Pazzo! Vigliacco! Toh! Toh!

Toh! Ho avuto torto a non fare a Te quel che faccio al tuo manto per vendicarmi

del tempo in cui mi hai tenuto schiavo della paura. Paura di un coniglio!...

Toh! Toh! Toh! »

Ad ogni « toh! » Giuda morde e cerca strappare la stoffa del manto. Lo spiegazza

fra le mani. Ma nel farlo lo apre e appaiono le macchie che lo bagnano. Giuda si

ferma nella sua furia. Fissa quelle macchie. Le tocca. Le fiuta. Sono sangue...

Spiega tutto il mantello. là: ben visibile l'impronta lasciata dalle due mani

sanguinose quando si premevano la stoffa sul viso.

« Ah!... Sangue! Sangue! Il suo... No! » Giuda lascia cadere il mantello e

guarda intorno. Anche contro il masso, là dove Gesù si è appoggiato con la

schiena quando l'angelo lo confortava, vi è uno scuro di sangue che secca. « Là!

... Là!... Sangue! Sangue!... » Abbassa gli occhi per non vedere, e vede l'erba

tutta rossa del sangue gocciato su essa. Questo, per la rugiada che lo ha tenuto

sciolto, pare appena gocciato. E' rosso e brilla al primo sole. « No! No! No!

Non voglio vedere! Non posso vedere quel sangue! Aiuto! » e porta le mani alla

gola e annaspa come se stesse affogando in un mare di sangue. « Indietro!

Indietro! Lasciami! Lasciami! Maledetto! Ma questo sangue è un mare! Copre la

Terra! La Terra! La Terra! E sulla Terra non c'è posto per me perché io non

posso vedere quel sangue che la copre. Sono il Caino dell'Innocente! » L'idea

del suicidio credo sia venuta in questo momento in quel cuore.

Il volto di Giuda fa paura. Si butta dal balzo e fugge per l'uliveto senza

tornare per la via già fatta. Pare un inseguito dalle fiere.

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Torna in città. Si avvolge nel mantello come può e cerca coprirsi la ferita e il

volto per quanto può. Si dirige al Tempio. Ma mentre va a quella volta, ad un

incrocio di via si trova di fronte alle canaglie che trascinano Gesù da Pilato.

Non può ritirarsi perché altra folla lo preme alle spalle, accorrendo a vedere.

E alto come è domina per forza e vede. E incontra lo sguardo di Cristo...

I due sguardi si allacciano un momento. Poi Cristo passa, legato, percosso. E

Giuda cade riverso come svenuto. La folla lo calpesta senza pietà, né egli

reagisce. Deve preferire essere calpestato da tutto un mondo anziché incontrare

quello sguardo.

Quando la canea deicida è passata col Martire e la via è vuota, si rialza e

corre al Tempio. Urta e quasi rovescia una guardia messa alla porta del recinto.

Altre guardie accorrono per interdire al forsennato di entrare. Ma egli, come un

toro furente, sgomina tutti. Uno, che gli si aggrappa per impedirgli di

penetrare nell'aula del Sinedrio dove sono ancora tutti raccolti a discutere,

viene afferrato per la gola, strozzato e gettato, se non morto certo moribondo,

giù dai tre scalini.

« Il vostro denaro, maledetti, non lo voglio » egli urla ritto in

mezzo all'aula, al posto dove prima era Gesù. Pare un demone

sbucato dall'inferno. Insanguinato. spettinato, acceso dal delirio,

con la bava alla bocca, le mani ad artiglio, egli urla e pare che ab-

bai tanto la sua voce è stridula, roca, ululante. « Il vostro denaro,

maledetti, non lo voglio. Mi avete perduto. Mi avete fatto com-

mettere il più grande peccato. Come voi, come voi sono maledet-

to! Ho tradito il Sangue innocente. Ricada su voi quel Sangue e

la mia morte. Su voi... No! Ah!... » Giuda vede il pavimento ba-

gnato di sangue. «Anche qui, anche qui, è sangue? Da per tutto!

Da per tutto è il suo sangue! Ma quanto sangue ha l'Agnello di

Dio per coprirne così la Terra e non morirne? Ed io l'ho sparso!

Per istigazione vostra. Maledetti! Maledetti! Maledetti in eterno!

Maledizione a queste mura! Maledizione a questo Tempio profa-

nato! Maledizione al Pontefice deicida! Maledizione ai sacerdoti

indegni, ai dottori falsi, ai farisei ipocriti, ai giudei crudeli, agli

scribi subdoli! Maledizione a me! A me maledizione! A me! Tenete

il vostro denaro e vi strozzi l'anima nella gola come a me il ca-

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pestro » e getta la borsa in faccia a Caifa e va con un urlo mentre le monete

suonano spargendosi al suolo dopo aver colpito a sangue la bocca di Caifa.

Nessuno osa trattenerlo. Esce. Corre per le vie. E fatalmente torna ad

incrociare altre due volte Gesù che va e viene da Erode. Abbandona il centro

della città prendendo a casaccio per le viette più misere e va a finire da capo

contro la casa del Cenacolo.

E' tutta chiusa. Come abbandonata.

Si ferma. La guarda. « La Madre! » mormora. « La Madre!... » Resta in

sospeso... « Ho anche io una madre! E ho ucciso un figlio a una madre!...

Pure... Voglio entrare... Rivedere quella stanza. Là non c'è sangue... » Dà un

picchio alla porta. Un altro... Un altro... La padrona di casa viene ad aprire e

socchiude l'uscio. Una fessura... E vedendo quell'uomo stravolto,

irriconoscibile, getta un urlo e tenta rinchiudere l'uscio. Ma Giuda con una

spallata lo spalanca e, travolgendo la donna esterrefatta, passa oltre.

Corre verso la porticina che mette nel Cenacolo. L'apre. Entra. Un bel sole

entra dalle finestre spalancate. Giuda tira un so-

spiro di sollievo. Si inoltra. Qui tutto è calmo e silenzioso. Le stoviglie sono

ancora come furono lasciate. Si capisce che per ora nessuno se ne è occupato. Si

potrebbe credere che si sia per mettersi a tavola.

Giuda va verso la tavola. Guarda se vi è vino nelle anfore. Ce ne è. Beve

avidamente dall'anfora stessa che solleva a due mani. Poi si lascia cadere

seduto e appoggia il capo sulle braccia conserte sulla tavola. Non si accorge

che si è seduto. proprio. al posto di Gesù e che ha di fronte il calice usato

per l'Eucarestia. Sta fermo qualche tempo. Finché l'ansito del gran correre si

placa. Poi alza il capo. E vede il calice. E riconosce dove si è seduto.

Si alza come spiritato. Ma il calice lo affascina. Un poco di vino rosso è

ancora nel fondo e il sole percuotendo il metallo (pare argento) accende quel

liquido. « Sangue! Sangue! Sangue anche qui! Il suo Sangue! Il suo Sangue!...

"Fate questo in memoria di Me!... Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue...

Il Sangue del nuovo testamento che sarà sparso per voi... " Ah! maledetto me!

Per me non può più esser sparso per remissione del mio peccato. Non chiedo

perdono perché Egli non mi può perdonare. Via, via! Non c'è più un posto dove il

Caino di Dio possa conoscere quiete. A morte! A morte!... »

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Esce. Si trova di fronte Maria, ritta sulla porta della stanza dove Gesù l'ha

lasciata. Ella, udendo un rumore, si è affacciata sperando forse vedere

Giovanni, che manca da tante ore. E' pallida come una svenata. Ha degli occhi

che il dolore fa ancor più simili a quelli del Figlio. Giuda incontra quello

sguardo che lo guarda con la stessa accorata e cosciente cognizione con cui Gesù

lo ha guardato per via, e con un « Oh! » spaurito si addossa al muro.

« Giuda! » dice Maria, « Giuda, che sei venuto a fare? » Le stesse parole di

Gesù. E dette con amore doloroso. Giuda le ricorda e urla.

« Giuda » ripete Maria « che hai tu fatto? A tanto amore hai risposto tradendo?

» La voce di Maria è carezza che trema.

Giuda fa per scappare. Maria lo chiama con una voce che avrebbe dovuto

convertire un demonio. « Giuda! Giuda! Fermati! Fermati! Ascolta! lo te lo dico

in suo nome: pentiti, Giuda. Egli perdona... » Giuda è fuggito. La voce di

Maria, il suo aspetto è stato il colpo di grazia, ossia di disgrazia perché egli

le resiste.

Va a precipizio. Incontra Giovanni che corre verso la casa a prendere Maria. La

sentenza è pronunciata. Gesù sta per andare al Calvario. E' ora che la Madre sia

condotta dal Figlio. Giovanni riconosce Giuda per quanto ben poco resti del bel

Giuda di poco tempo prima. « Tu qui? » gli dice Giovanni con palese ribrezzo. «

Tu qui? Maledizione a te, uccisore del Figlio di Dio! Il Maestro è condannato.

Giubila se puoi. Ma, sgombra la via. Vado a prendere la Madre. Che Ella, l'altra

tua Vittima, non ti incontri, rettile. »

Giuda fugge. Si è avvolto il capo nei brandelli del manto lasciando unicamente

uno spiraglio per gli occhi. La gente, la poca gente che non è verso il

Pretorio, lo scansa come vedesse un pazzo. E tale sembra.

Vaga per la campagna. Il vento porta ogni tanto un'eco del clamore che proviene

dalla turba che segue imprecando Gesù. Ogni volta che tale eco giunge a Giuda

egli urla come uno sciacallo.

Io credo che sia realmente impazzito perché batte la testa ritmicamente contro i

muretti di pietra. Oppure è divenuto idrofobo perché quando vede un liquido

purché sia: acqua, latte portato in un recipiente da un bambino, olio che geme

da un otre, urla, urla e grida: « Sangue! Sangue! Il suo Sangue! »

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Vorrebbe bere ai ruscelli e alle fonti. Non può perché l'acqua gli pare sangue e

lo dice: « E' sangue! E' sangue! Mi affoga! Mi brucia! Ho il fuoco! Il suo

Sangue, che ieri mi ha dato, è divenuto fuoco in me! Maledizione a me e a Te! »

Sale e scende per i colli che circondano Gerusalemme. E l'occhio,

irresistibilmente, gli va al Golgota. E due volte vede da lungi il corteo

snodarsi nella salita. Guarda e urla.

Eccolo alla cima. Anche Giuda è in cima di un piccolo colle coperto d'ulivi. Vi

è penetrato aprendo una chiudenda rustica come ne fosse padrone o per lo meno

molto pratico. Già ho l'impressione che Giuda non avesse molti riguardi per

l'altrui proprietà. Ritto sotto un ulivo al limite di un balzo guarda verso il

Golgota. Vede drizzare le croci e comprende che Gesù è crocifisso. Non può

vedere né udire. Ma il delirio o un malefizio di Satana gli fan vedere e udire

come fosse sulla cima del Calvario.

Guarda, guarda come allucinato. Si dibatte: « No! No! Non mi guardare! Non mi

parlare! Non lo sopporto. Muori, muori, maledetto! Ti chiuda la morte quegli

occhi che mi fan paura, quella bocca che mi maledice. Ma anche io ti maledico.

Perché non mi hai salvato. »

Il volto è talmente stralunato che non si può più guardare. Due fili di bava

scendono dalla bocca urlante. La guancia morsa è livida e enfiata e il viso ne

appare storto. I capelli appiccicati, la barba, molto scura, cresciuta sulle

guance in quelle ore, mette un bavaglio lugubre sulle gote e sul mento. Gli

occhi poi!... Roteano, si torcono, sono fosforescenti. Da vero demonio. Strappa

dalla sua cintura il cordone di grossa lana rossa che lo cinge con tre giri. Ne

prova la solidità avvinghiandolo intorno ad un ulivo e tirando con tutta la sua

forza. Resiste. E' forte. Sceglie un ulivo atto alla bisogna. Ecco. Questo

proteso oltre la balza con la sua chioma spettinata va bene. Monta sull'albero.

Assicura solidamente un cappio al ramo più robusto e sporgente nel vuoto. Ha già

fatto il nodo scorsoio. Guarda un'ultima volta al Golgota. Poi infila la testa

nel nodo scorsoio. Ora pare avere due collane rosse alla radice del collo. Si

siede sulla balza. Poi di colpo si lascia scivolare nel vuoto.

Il nodo lo stringe. Si dibatte qualche minuto. Strambuzza gli occhi, diviene

nero d'asfissia, apre la bocca, le vene del collo si gonfiano e si fanno nere.

Tira quattro o cinque calci per aria, nelle

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ultime convulsioni. Poi la bocca si apre e ne pende la lingua scura e bavosa e i

globi oculari restano scoperti, sporgenti, mostranti il bulbo bianchiccio

iniettato di sangue. L'iride scompare in alto. E' morto. Il forte vento, che si

è alzato per l'imminente bufera, ciondola il macabro pendolo e lo fa roteare

come un orrido ragno appeso al filo della ragnatela.

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