Girando su Internet ho trovato questo scritto che trovo molto
interessante per il dibattito sul sito. Si può essere d’accordo o meno,
ma vale la pena di leggerlo e rifletterci un po’ su.
Il Newsgroup sul quale l'ho preso è:
it.cultura.storia.moderato su
www.newsland.it
"FALCE E
MARTELLO
Salve,
da qualche tempo sto facendo alcune riflessioni sulla storia del
socialismo e dei partiti comunisti in particolare, e siccome non sono
particolarmente
ferrato in materia vorrei confrontare con voi alcune di queste
riflessioni
per verificarne la fondatezza, ed anche chiedervi di aiutarmi a colmare
certe lacune.
Premetto di essere consapevole di quanto diceva sempre un mio
insegnante:
«quando hai una buona idea se è davvero buona l'ha già avuta qualcuno, e
se
non l'ha avuta nessuno è perché non è buona». Questo ovviamente non è
sempre
vero, ed il mio insegnante ne era consapevole, tuttavia l'osservazione
era
efficace per far capire a noi studenti che molte delle nostre presunte
idee
"geniali" erano spesso la riscoperta dell'acqua calda, ed altrettanto
spesso
delle stupidaggini. Ecco, potreste gentilmente aiutarmi a separare la
prima
dalle seconde?
Volendo possiamo partire dal "logo" dei partiti comunisti, ovvero la
"falce
e il martello". Infatti le questioni che mi sono posto possono essere
efficacemente sintetizzate con una sorta di domanda allegorica: «nel
comunismo, quanto fu "falce" e quanto fu "martello"?»
Per quel che ne so, nelle intenzioni e nelle previsioni di Marx il
comunismo
avrebbe dovuto essere in gran parte guidato dal proletariato urbano, gli
operai, perché era questo ad essere più prossimo ad una "coscienza di
classe", ovvero alla consapevolezza di esserci, della propria forza
storica, eccetera. Certo, Marx contemplava anche il coinvolgimento del
movimento contadino, tuttavia egli riteneva che il comunismo si sarebbe
imposto come opposizione "dialettica" al capitalismo, sicché ci si
poteva
aspettare che esso si imponesse nei paesi più industrializzati, quelli
in
cui lo sfruttamento capitalistico era maggiore.
Tuttavia se andiamo a vedere quali sono i paesi in cui il comunismo si è
dimostrato forte, abbastanza forte da minacciare o realizzare una
rivoluzione, vediamo che si è sempre trattato dei paesi in cui l'industrializzazione era meno avanzata. Anzi, a ben vedere si è sempre
trattato di paesi profondamente immersi in un modello produttivo
agricolo
con profondi retaggi economici e culturali di tipo feudale: grandi
latifondi, potere delle classi aristocratiche e del clero, eccetera.
E' pur vero che in tutti i movimenti ha avuto un qualche ruolo anche il
movimento operaio, tuttavia trattandosi appunto di paesi che erano
ancora
profondamente immersi nella economia agricola, o che stavano cercando da
poco di uscirne, le masse proletarie operaie erano per lo più costituite
da
operai di origine contadina e di recente urbanizzazione.
Nei paesi in cui vi era già un solido sviluppo industriale, con una
classe
operaia ben insediata nel tessuto e nella cultura urbana, il comunismo
non
riuscì mai ad imporsi.
Prima di proseguire è il caso di fare una rapida carrellata di casi, e
cercare delle eventuali eccezioni.
Intanto possiamo partire dai due principali paesi in cui la rivoluzione
comunista ha avuto successo: la Russia e la Cina. Direi che questi due
casi
depongono nettamente a favore delle mie osservazioni.
La Russia, all'epoca della Rivoluzione d'Ottobre, aveva uno sviluppo
industriale minimo, e soprattutto le grandi masse erano uscite da poco
dalla
servitù della gleba, sicché si trovarono improvvisamente sbalzate dal
medioevo ad una economia moderna.
Il caso della Cina è ancora più significativo, perché i primi movimenti
comunisti, che cercarono di rivolgersi al proletariato urbano, furono
tutti
fallimentari, e se Mao riuscì a ribaltare la situazione fu perché intuì
che
era alle masse contadine che avrebbe dovuto rivolgersi.
Altri paesi in cui il movimento comunista è stato abbastanza forte da
minacciare o realizzare una rivoluzione sono tutti paesi "latini",
quelli di
tradizione cattolica e fondamentalmente agricoli. L'Italia, la Spagna, i
paesi dell'America del Centro-Sud, e pochi altri. In tutti questi paesi
si
ebbe sì una partecipazione del movimento operaio, però la storia ci
mostra
che a mano a mano che quei paesi ebbero un vero sviluppo industriale e
la
classe operaia si allontanò dalla cultura contadina essa si allontanò
anche
dalla ideologia comunista.
Basti considerare la recente storia italiana, in cui negli anni in
cui alcuni paventavano "il sorpasso" il PCI era forte dei voti delle
classi
operai delle grandi metropoli del nord. Tuttavia sappiamo bene che
quelle
classi operaie erano il frutto delle grandi migrazioni interne che
avevano
spostato le masse contadine dalla campagna alla città e, soprattutto,
dal
sud al nord. Si trattava quindi di persone che uscivano da una cultura
che
definire contadina è poco, perché forse la dovremmo definire feudale. I
figli di quegli operai, anche quando hanno continuato a fare gli operai,
hanno progressivamente abbandonato il partito comunista. Per non parlare
degli operai le cui famiglie sono urbanizzate da lungo tempo, che oggi
votano spesso per partiti di destra.
A parte ciò, resta il fatto che nei paesi di cultura protestante, dove
l'industrializzazione è partita prima ed il capitalismo è sempre stato più
avanzato, gli operai, che erano dei "veri" operai, nel senso che
appartenevano ad una cultura realmente capitalistica e non agricola (che
è
poi come dire aristocratica e clericale), non aderirono mai in massa al
partito comunista.
L'unica significativa eccezione potrebbe essere la Germania, per la
quale si
è detto che il nazionalsocialismo fu una reazione borghese alla minaccia
"rossa". E' noto però che in quel caso gli equilibri sociali vennero
completamente alterati dalle famose "sanzioni impossibili" imposte a
quel
paese dai vincitori della Grande Guerra. Fare questo discorso in modo
esauriente richiederebbe un intero trattato, tuttavia è innegabile che
sia
il movimento degli spartachisti (che, per altro, con i loro massimalismo
indebolirono il governo socialdemocratico e praticamente lo costrinsero
ad
allearsi con l'esercito) sia la reazione di destra, cavalcarono
tragicamente
la tigre della crisi economica insanabile prodotta dalle "sanzioni", il
primo pescando nella disperazione della crisi economica, e la seconda
dal
revanchismo nazionalista che si era diffuso anche (e forse soprattutto)
nelle classi operaie e contadine.
In sostanza, a parte il caso particolare della Germania, il comunismo:
1) riuscì a realizzare la rivoluzione in paesi sostanzialmente "feudali"
(Cina e Russia), che con il capitalismo avevano ben poco a che vedere;
2) si dimostrò forte in paesi sostanzialmente "agricoli", dominati dal
latifondo e da una economia sostanzialmente aristocratica, con un clero
molto forte sia sul piano concreto che su quello ideologico, uno
sviluppo
industriale appena accennato, e masse operaie di recente provenienza
contadina.
Tutto ciò mi conduce alla prima tesi di questo articoletto:
il comunismo fu una storia di "falce", non di "martello".
A
questo punto si potrebbe essere tentati di affermare che più che
distinguere fra falce e martello si dovrebbe parlare di povertà e di
sviluppo economico. Si potrebbe dire infatti che i paesi economicamente
più
arretrati erano quelli più poveri, ed in questi paesi la disperazione e
la
fame diedero al comunismo una maggiore forza.
Tuttavia mi pare che questa ipotesi si lasci facilmente smentire.
Se fosse una questione di povertà non si capirebbe perché nell'epoca
della
grande depressione americana, quando decine di milioni di persone si
trovarono sbalzate da delle condizioni economiche decorose a dover
sopravvivere a stento o a ripiegare su una economia di sussistenza, non
sia
sorto in quel paese un forte partito comunista. Viceversa l'unico
momento in
cui in Italia il partito comunista sembrò avere veramente la forza per
andare al governo fu negli anni del "boom economico", quando le famiglie
operaie sperimentarono uno straordinario miglioramento delle condizioni
economiche.
La differenza, ripeto, è che nel primo caso già sussisteva una "cultura
capitalistica", strettamente legata, come già mostrò Weber, all'etica
protestante, per la quale ognuno è responsabile di ciò che realizza e di
ciò
che non realizza. Nel secondo caso, come ho già osservato, quegli operai
provenivano da una cultura contadina, cattolica, una religiosità
connotata
da un forte "clericalismo", propria di una cultura fondata
sull'ordinamento
feudale, e dunque impregnata di "paternalismo", sicché tutto il male ed
il
bene "cala dall'alto" e quando le cose vanno male bisogna prendersela
con il
Re, il Governo, il Padrone. Qualcuno ha detto che la differenza fra il
protestantesimo ed il cattolicesimo è che quando le cose vanno male il
protestante cerca di cambiare se stesso, mentre il cattolico cerca di
cambiare gli altri. Ecco, in questa banale battuta forse è riassunto
(ovviamente in modo semplificato) tutto il senso dell'analisi weberiana.
Dunque mi sentirei di tener duro sulla mia tesi:
fu "falce", e non "martello".
Dopodiché, come ho appena osservato, "falce" significa anche cultura
feudale, una religiosità fortemente mediata dal potere clericale, una
diseducazione alla iniziativa ed alla responsabilità individuale,
eccetera.
Tutte cose piuttosto note.
Se è così, il comunismo reale fu ben altro rispetto a quanto auspicato
da
Marx. Quest'ultimo lo intendeva come "antitesi storica" del capitalismo.
Invece fu una guerra di contadini. Da una parte quelli che trasformarono
tutti i problemi economici e le loro frustrazioni in una critica o in
una
rivolta contro i poteri "paternalistici" o considerati tali: il clero, i
"padroni" e le forze di polizia (o, più in generale, l'esercito).
Dall'altra
quelli che si schierarono dalla parte del clero, dei militari e dei
grandi
proprietari terrieri, i possessori della terra.
Il prossimo passo da compiere è quello di analizzare l'esito di questa
rivolta.
E per prima cosa osserviamo che i paesi in cui essa fu soffocata
violentemente dalle forze reazionarie sono tutti paesi latini, di
tradizione
cattolica. C'è la solita eccezione della Germania, che però abbiamo già
spiegato.
Non si può certo dire che in quei paesi il comunismo fu sconfitto dal
clero,
perché anche in Russia il clero ortodosso era strettamente legato alla
cultura feudale, così come in Cina il confucianesimo non fu altro che
una
teorizzazione ideologica del sistema feudale e latifondista di quel
subcontinente. D'altra parte se la chiesa cattolica era stata lo
strumento
ideologico dell'Impero d'Occidente e del suo sistema feudale, la chiesa
ortodossa era stata lo strumento ideologico dell'Impero d'Oriente.
Perché, allora, nei paesi di tradizione cattolica il comunismo è sempre
stato violentemente soffocato?
Prima di proseguire ricordiamo che non è la forza del clero ad
indebolire il
comunismo, perché abbiamo già visto che dove il clero ha un ruolo
marginale,
come nei paesi protestanti, il comunismo non si sviluppa. Per avere un
comunismo forte ci vuole una cultura di tipo feudale, con un clero
forte. Il
comunismo ed il clero si contrappongo sempre come due "chiese", o come
clericalismo ed anticlericalismo. Ma se non c'è un sostrato culturale
adatto
al clero non c'è nemmeno un sostrato culturale adatto al comunismo, e
viceversa.
Dunque:
clero forte = comunismo forte,
ma
clero cattolico = comunismo soffocato nel sangue.
E' questo "sistema di equazioni" che dobbiamo cercare di risolvere.
Perché le cose andarono in quel modo? Forse perché la chiesa cattolica è
più
"cattiva", o è più "potente"?
A me questa sembra una spiegazione molto semplicistica, troppo.
Ci sono infatti una serie di avvenimenti storici dai quali si trae quasi
il
sospetto che il "comunismo cattolico" (che, chiaramente, non è la stessa
cosa di "cattocomunismo", anche se si potrebbe mostrare che sono parenti
stretti) abbia una forte componente, come dire, "masochistica".
Più precisamente, nella storia dei movimenti di sinistra c'è tutta una
serie
di episodi quasi "imbarazzanti", situazioni in cui per una serie di
contingenze storiche le sinistre si sono ritrovate a prendere, o poter
prendere, il potere in modo relativamente "pacifico", dopodichè hanno
cominciato a compiere una serie di "inspiegabili errori madornali",
costringendo un paese o un intero continente ad una brusca e violenta
virata
"a destra".
Una minuziosa dimostrazione del fatto che certi atti del movimento
comunista
siano stati dei clamorosi "autogol" richiederebbe una analisi
dettagliata di
tutta la storia del XX secolo. Non solo, ma poiché spesso ad una azione
segue una immediata reazione, si finisce per discutere all'infinito su
chi
abbia "iniziato prima", quale sia stata l'azione e quale la reazione.
Per
non parlare della storia fatta con i "se", che è una impresa improba,
soprattutto quando c'è da stabilire se certe dinamiche si potevano
evitare,
eccetera.
Tuttavia qualche elemento notevole possiamo cercare di individuarlo.
In genere, si sa, uno degli stratagemmi più utilizzati da chi vuole
perdere
una partita è quello di chiedere "tutto o subito", o anche quello di
"giocare al rilancio". Nella storia dei movimenti politici questo
atteggiamento è stato spesso definito "massimalismo".
Senza voler entrare nei dettagli, possiamo dire che i "casi sospetti"
sono i
seguenti:
1) Il ruolo del massimalismo comunista in Italia nel rafforzamento della
reazione conservatrice a discapito del riformismo socialista. Basti
considerare che quando nel 1920 ci fu la grande occupazione delle
fabbriche
da parte dei lavoratori, e si avviò quasi immediatamente la reazione dei
conservatori e degli industriali, anziché sfruttare il fatto di avere
già un
governo socialista al potere, nel 1921 i comunisti si separarono dal
partito
socialista, avviando una serie di scontri che portarono l'Italia all'
anticamera della guerra civile ed indebolirono irrimediabilmente il
governo
di sinistra, che nelle elezioni di quello stesso anni perse la
maggioranza.
2) La trasformazione dello scontro politico in una guerra ideologica da
parte dei partiti di sinistra spagnoli nel periodo fra le due guerre. Un
esempio per tutti: nel 1936 le sinistre spagnole si alleano in un Fronte
Popolare e vincono le elezioni; pochi mesi dopo, il 18 luglio, inizia la
rivolta di alcuni militari, che però è circoscritta, sennonché in un
clima
di massima tensione, il cui il governo ha bisogno di tutte le energie
per
sedare la rivolta, esattamente dieci giorni dopo esso dichiara
confiscate
tutte le proprietà della Chiesa, facendo esplodere la rivolta e
precipitando
il paese in una guerra civile ideologica e causando l'intervento di
altre
forze conservatrici europee.
3) In Portogallo alla fine della prima guerra mondiale si era instaurato
un
governo democratico. Non è facile stabilire il peso delle responsabilità
delle sinistre nella instabilità dei primi governi, che ebbero una
durata
media di quattro mesi e che provocò negli anni successivi una serie di
tentativi di colpi di stato che culminarono nel 1926 in quello militare
diretto dal generale Gomez da Costa e che poi mise al potere il
"cattolicissimo" Salazar. Sta di fatto che quando alla fine della
seconda
guerra mondiale, nel 1945, Salazar fu costretto dalla situazione
politica
internazionale ad indire le prime elezioni generali dopo vent'anni di
dittatura, l'opposizione boicottò le elezioni per le solite "questioni
di
principio", concedendo così un'ampia vittoria al partito dell'unione
nazionale, ed a quello che alcuni storici hanno definito «il regime
paternalista di Salazar».
4) La questione delle dittature militari sudamericane, essendo più
recente,
è più controversa. Tuttavia, proprio perché più recenti, i partiti
comunisti
di quel continente avrebbero dovuto imparare dalla lezione europea che
il
massimalismo non può che produrre un tragico indebolimento delle
sinistre ed
un rafforzamento e incrudelimento della reazione. Ciò nonostante, tanto
per
fare un esempio, Allende già pochi mesi dopo la sua nomina a presidente
del
Cile nazionalizzò le miniere di rame, e per la solita "ironia della
sorte"
lo sciopero dei "liberati" minatori del rame del giugno del 1973 fu uno
degli ultimi atti di una tragica escalation di proteste popolari che un
paio
di mesi dopo scatenerà la reazione militare e la presa del potere da
parte
di Pinochet.
5) Un altro caso emblematico è la rivoluzione messicana passata alla
storia
come "zapatista". Nel 1911 Madero, che era l'ideologo della rivoluzione,
andò al potere grazie all'aiuto "militare" di Villa e Zapata. Egli si
trovò
ad affrontare una situazione economica tragica e la corruzione dilagante
dei
funzionari, sicché nei primi mesi non fu in grado di mettere in atto
nessuna
delle riforme previste. Villa e Zapata però volevano "tutto e subito" ed
insorsero contro Madero, che nel frattempo doveva vedersela con l'
insurrezione reazionaria capeggiata dal nipote di Diaz. A questo punto
Madero non ebbe scampo: fu sconfitto da Diaz ed il governo tornò nelle
mani
dei reazionari, che eseguirono le loro violente rappresaglie sulla
popolazione.
6) Anche la storia italiana recente fornisce dei fulgidi esempi di
"autogol", sebbene, per fortuna, molto meno drammatici di quelli
elencati
fino a qui. Più che dire che cosa hanno fatto D'alema, Bertinotti e
"compagni" per portare e riportare Berlusconi e Fini al governo, faremmo
prima a dire quelle poche cose che, forse per errore, si sono
dimenticati di
fare per favorire l'opposizione.
Tutto ciò ricorda tragicamente le "sindromi" di certe squadre di calcio,
che
quando vincono si fanno puntualmente rimontare e superare negli ultimi
cinque minuti, quando ormai la partita è vinta e basta "amministrare il
risultato".
Una delle ragioni per cui ho deciso di intervenire su questo NG è perché
vorrei avere un parere su questi episodi di presunto "masochismo".
Vi sembrano condivisibili le mie impressioni? Conoscete altri episodi di
questo genere, altrettanto o addirittura più "eclatanti"?
Grazie per l'attenzione e saluti a tutti,
D. P."
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