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Gli attori entrano in un'arena trafitta da lance come da altrettante banderillas. Lasciano sul bordo, al suo esterno, le loro scarpe, come entrando in un tempio, e iniziano a pregare in ebraico, in arabo, in latino. Le loro scarpe di foggia novecentesca, grosse, senza stringhe, appaiate con ordine al di fuori dell'arena, ricordano le scarpe della Shoah. Su quest'arena martoriata va a celebrare e consumare il sacrificio di se stesso un eroico condottiero la cui mente è stata resa cieca dal potere. Saul, il re d'Israele che si è allontanato da Dio e ha macchiato le sue mani di sangue sacerdotale. Prigioniero di una gabbia sferoidale di esile filo di ferro, metafora di un cranio vuoto e di una sfera armillare, che vede le fasi successive del suo delirio.
Gli attori entrano in un'arena trafitta da lance come da altrettante banderillas.
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