TESTIMONIANZA DI UN MANIFESTANTE PRESENTE A GENOVA IN QUEI GIORNI
Per noi genovesi laici e democratici corso gastaldi ha un
significato particolare.
durante il ventennio fascista la casa dello studente di corso
gastaldi era stato trasformato nel centro di tortura della
gestapo e dei fascisti.
Io non ero ancora nato all'epoca ma, credetemi, mi riesce
difficile passare davanti alla casa dello studente (ripristinata
oggi nel suo ruolo di casa di accoglienza di studenti non
abbienti) senza provare un groppo alla gola, senza ripensare ai
racconti dei vecchi delle urla che si sentivano provenire
dall'interno.
Certe cose neanche i mattini possono dimenticarle.
Lo stesso groppo l'ho provato oggi al vedere una decina di
celerini bardati di tutto punto manganellare selvaggiamente tre
ragazzi con l'unico torto di essere rimasti isolati dal resto del
corteo.
È accaduto oggi in via Montevideo, a cento metri dalla casa
dello studente.
io e mia madre ci stavamo dirigendo in direzione di corso
Gastaldi, muovendoci tra una carica dei carabinieri ed un lancio
di lacrimogeni, verso il centro di una delle manifestazioni; in
fondo alla strada , in alto, era schierato un gruppo di
poliziotti in tenuta antisommossa.
La strada era praticamente deserta a parte noi due. Un gruppo di
tre ragazzi sulla nostra sinistra camminava nella stessa
direzione, altri tre dall'altra parte della strada.
Avvicinandoci allo schieramento di polizia uno dei tre sulla
destra, un ragazzo in jeans e a torso nudi, a mani nude come
tutti noi altri ha cominciato a gridare "assassini"
alla volta dei poliziotti (si era appena sparsa la voce
dell'omicidio del ragazzo nella poco distante piazza Tommaseo).
È cominciato uno scambio di battute a distanza di una trentina
di metri tra questo ragazzo ed i poliziotti. i poliziotti
gridavano "vieni, vieni qua" ed il ragazzo gridava
"assassini venite voi ma con la pistola altrimenti come fate
ad ammazzarmi". ho sentito distintamente i tre ragazzi sulla
mia sinistra che commentavano "senti questo come grida,
adesso come facciamo a passare?", ed un altro "noi che
c'entriamo, passiamo tranquilli e non succederà niente".
È stato un attimo. Ho compreso la trappola quando ho sentito il
rombare del motore, troppo tardi. Mentre il cordone fingeva di
mantenere la calma in cima alla salita hanno fatto aggirare il
palazzo da un autoblindo che è sbucato alle nostre spalle a
tutta velocità. Ha inchiodato in mezzo alla strada semi deserta
bloccandoci tra loro ed lo schieramento di polizia. Una decina di
celerini sono balzati dall'autoblindo quasi ancora in corsa ed
hanno cominciato a massacrare a terra i ragazzi con i manganelli.
Io e mia madre che ci trovavamo una decina di metri indietro ci
siamo rifugiati in un portone semi aperto insieme ad un signore
sulla sessantina sbucato da non so dove. la vetrata interna era
chiusa e noi siamo rimasti bloccati tra la vetrata e l'anta del
portone. Ho sentito mia madre singhiozzare e l'ho abbracciata per
rincuorarla cercando di tranquillizzarla, di non avere paura.
Da fuori venivano altissime le grida dei ragazzi disarmati sotto
i manganelli dei celerini. Ho pensato che fosse terrorizzata
sapendo che quando si fossero stancati di sfogarsi con loro ci
sarebbero venuti a cercare nel portone e mi si è rotto il cuore
sentendola dire tra i singhiozzi "non ho paura, questi li
ammazzano, dobbiamo fare qualcosa".
E qualcosa è successo. come per miracolo abbiamo cominciato a
sentire delle voci gridare "basta! vergogna!".
Sono uscito dal portone e quello che ho visto non lo dimenticherò
mai. i miei concittadini affacciati alle finestre, ai balconi,
padri, madri, nonni, prima due poi cinque, poi dieci gridavano
alla volta dei poliziotti, e non erano frasi ingiuriose ma frasi
sdegnate, frasi di cittadini offesi e feriti dal comportamento
squadrista e vigliacco, della furia cieca e immotivata di un
gruppo di tutori dell'ordine trasformatosi in un branco di belve
impazzite. "basta! vergogna! lasciateli! fascisti!
Ho cominciato ad avanzare insieme al signore sessantanne, urlando.
Ho cominciato a sentire altre voci di giovani che gridavano alle
mie spalle.
Il branco si è reso conto che i testimoni stavano diventando
troppi, ha caricato i tre, quello che aveva urlato "assassini"
alla volta dei poliziotti - se questo può giustificare un
pestaggio squadrista e non, al limite, un regolare fermo di
polizia - e gli altri due che avevano avuto il solo torto di
trovarsi come noi per strada e non impegnati ad autoconvincersi
di poter vedere la realtà oggettiva dei fatti attraverso i
filtri patinati delle loro belle televisioni.
Li hanno caricati sull'autoblindo che è ripartita ed hanno preso
ad indietreggiare, fianco a fianco, brandendo i loro manganelli,
di colpo spaventati da una folla di venti cittadini inermi alle
finestre, armati solo della forza della ragione di fronte
all'ottusità brutale dei loro manganelli. Hanno preso ad
indietreggiare intimoriti, con l'espressione di bambini
spaventati, colti dai genitori con le dita nella marmellata .
Un'immagine grottescamente comica persino nella situazione,
oggettivamente drammatica.
Qualche minuto dopo alcune piccole radio indipendenti hanno
raccolto la nostra deposizione. Ho sentito il signore sessantenne
dire "mi spiace solo che non mi faranno testimoniare perché
sono un militare".
Ed insieme ai miei concittadini alle finestre io ho amato questo
signore.
In una giornata in cui appare in tutta la sua mostruosa evidenza
la violenza di questo governo fascista e delle sue televisioni
bugiarde, di un vicepresidente del consiglio che pensa di potersi
già sostituire alla magistratura dichiarando un atto di
legittima difesa l'uso delle armi contro i manifestanti, senza
attendere democraticamente l'esito di un processo, lanciando alle
sue forze di polizia il messaggio "sparate pure ai
manifestanti - tanto che è legittima difesa lo stabiliamo noi
tramite le nostre televisioni e non i giudici", in questa
giornata di lutto e dolore per la nostra fragile democrazia
persone come mia madre, quei cittadini alla finestra, questo
anziano militare mi danno ancora la forza di credere e lottare
ancora per un mondo migliore, di continuare a sperare.
La mia testimonianza è a disposizione di chiunque ne vorrà fare
l'uso nelle sedi più opportune al fine del perseguimento della
giustizia e della verità.