La leggenda della rosa sul cuore
(segnalazione di merito al Premio Letterario "Il Paese che non c'è", sezione narrativa, edizione 2002)


C’era una volta, tanto tempo fa, in uno sperduto villaggio piccolo piccolo, un uomo che aveva deciso di voler bene a tutto il mondo. Sentiva dentro di sé la necessità d’amare tutto ciò che aveva intorno e tutti quelli che venivano in contatto con lui. Amava perché era buono e voleva dare tutto ciò che aveva di bello e di buono al suo prossimo, senza ritegno e senza paure.

Era sincero nel darsi completamente agli altri, ma la forza del suo amore gli si ritorceva sempre contro. Più s’impegnava per gli altri, meno il suo amore veniva accettato. Anzi, più la gente lo prendeva in odio e lo teneva a distanza.

Passò molto tempo prima che quell’uomo si rendesse conto di quanto inutile fosse il suo darsi agli altri, e quando ciò accadde sprofondò in un terribile stato di prostrazione e di sconforto. Non poteva credere che per eccesso d’amore e d’attenzioni si potesse creare odio e diffidenza; e la realtà dei fatti lo affliggeva immensamente. Incapace di limitarsi, finì con il chiudersi in sé stesso per paura di far male e d’essere nocivo agli altri.

Così finì con il passare per burbero e scontroso. Ma ormai aveva perso fiducia nelle persone e non gl’importava più nulla di quello che gli altri pensavano di lui. Tutto il mondo gli era crollato addosso e non voleva nemmeno più tentare di rialzarsi in piedi.

Un giorno arrivò nel villaggio una giovane, fresco fiore della vita, che con la sua innocente semplicità sconvolse l’atmosfera tranquilla ed un poco artefatta del villaggio. La giovane era in visita da parenti, e poco alla volta fece conoscenza con tutti gli abitanti. Le capitò d’incontrare anche il povero sfortunato che si era isolato ai margini del villaggio e cominciò a punzecchiarlo ed a prenderlo in giro bonariamente. Dal principio l’uomo rispose scontroso e schivo, ma poco alla volta si sciolse e tornò ad emergere in lui l’antico amore per la vita e per le creature. Per la prima volta da lungo tempo quell’uomo sorrise e si diede ad organizzare giochi e scherzi simpatici, tanto che la gente del luogo credeva fosse capitato un miracolo, tale era il cambiamento avvenuto.

Quell’uomo, però, non aveva dimenticato il suo dolore e le ferite che gli erano state inferte per la sua estrema sincerità. Così mantenne sempre un po’ di distacco dalle persone, e nonostante all’apparenza sembrasse felice e sereno, dentro di sé provava un forte dolore sordo, nascosto e proprio per questo ancora più intenso.

Solo con la giovane quell’uomo si sentiva davvero sé stesso, almeno fino al giorno in cui ella, senza nemmeno accomiatarsi, se ne tornò da dove era venuta.

Prima della sua partenza quell’uomo avrebbe voluto salutarla, ma ella, presa da mille faccende, s’era dimenticata di lui e partì senza nemmeno un cenno d’addio, senza una parola di commiato.

L’uomo si sentì ancora una volta tradito, ma subito si disse che non doveva pensare male: la giovane era nel fior fiore della sua esistenza, e lui era ormai adulto, seppur non ancora anziano.

Ella aveva mille pensieri per la mente, e perché mai si sarebbe dovuta ricordare di lui? tanto poi sarebbe comunque partita e lui non l’avrebbe mai più rivista; per sempre.

Man mano che il tempo passava, l’allegria di quell’uomo s’affievolì e divenne ben presto malinconia. Tutti gli abitanti del villaggio s’accorsero che stava cambiando di nuovo umore, e tornarono ad isolarlo credendolo ancor di più pazzo. Solo qualcuno collegò la rinnovata tristezza di quell’uomo alla recente partenza dell’esuberante ragazza che aveva ravvivato per un poco la vita di quel monotono villaggio. Ma ben presto anche costoro dimenticarono la fanciulla, la sua spontanea vivacità, e tornarono ad essere quelli di sempre: tristi uomini grigi, nell’animo e nel cuore.

Ma lui no! più il tempo passava, più il ricordo della fanciulla s’insinuava nel suo cuore. Quell’uomo si rese conto, finalmente, d’aver amato quella fanciulla d’un amore nobile e sublime, capace di farlo uscire dal proprio torpore e dalla mediocrità nella quale era sprofondato. Aveva ricevuto un dono dalla Provvidenza e non se n’era nemmeno accorto.

La fanciulla gli mancava, ed anche se sapeva che non poteva che essere così, loro due lontani e separati per sempre, si crucciava del fatto che nulla potesse per cambiare il destino delle cose.

Fu proprio mentre pensava a lei che vide per la prima volta nel suo giardino la rosa. Non l’aveva piantata lui; era nata spontaneamente, quasi un monito a ricordare quel tenero fiore d’umanità che lo aveva risvegliato alla vita.

Ogni mattina, appena sveglio, si recava in giardino e controllava la sua rosa, accudendola come s’accudisce u vero tesoro; come s’alleva un figlio. Quella rosa era per lui la speranza ed il ricordo.

Quando sbocciò il primo fiore fu come se gli fosse nato un figlio, e dinnanzi a quel miracolo della natura promise a sé stesso che non avrebbe sprecato altro tempo in rimpianti e lamenti, ma avrebbe cercato di dare il meglio di sé agli altri, evitando di strafare e d’urtare gli altrui sentimenti.

Da quel giorno quell’uomo divenne un esempio di virtù e di moderazione. Era impegnato in opere di bene e di carità, assisteva malati ed infermi, si preoccupava di chi viveva nell’indigenza ed era solito visitare le persone sole. Ma lo faceva con deferenza, quasi con distacco.

Non che non provasse gioia ed affetto per quello che faceva, ma non voleva che tutto ciò venisse a danno dell’opera compiuta.

Le persone erano perplessse di fronte al suo comportamento: chi diceva fosse una specie di santo, chi invece un ipocrita. Ma tutti lo rispettavano per il lavoro compiuto: sempre meritevole e discreto.

Passarono gli anni e l’uomo pian piano invecchiò. Finché ne fu capace continuò le sue opere di bene, e quando le forze cominciarono a venirgli meno si ritrovò tutto solo, nella sua casa ai margini del villaggio. Poche persone lo andavano a trovare, ed i più si limitavano ad additare la sua casa, facendo evidenti segni con il capo ad indicare che non era affatto normale. Infatto da molto tempo le persone avevano notato che ogni volta che compariva quell’uomo, pochi attimi prima un intenso profumo di rosa si spandeva nell’aria. Era come se fosse la sua persona ad emanare quel profumo, ma nessuno riusciva a capire da dove arrivasse.

Un inverno più rigido del comune colse quell’uomo ormai malato e prossimo alla fine. Ogni giorno peggiorava e solo pochissime persone si ricordavano di lui. Una volta la settimana il dottore del villaggio si recava da lui a visitarlo ed uscendo dalla sua dimora scrollava il capo mormorando fra sé che quell’uomo doveva avere un gran valido motivo per continuare a vivere, dato che nelle sue condizioni chiunque altro sarebbe ormai spirato.

Resistette sino all’arrivo della primavera, e quando finalmente il sole tornò a scaldare la terra si fece forza ed uscì in giardino. La rosa, nata spontaneamente molti anni addietro, lo accolse con un’improvvisa fioritura anticipata.

Lo trovarono agonizzante la sera stessa, quando il dottore s’era recato da lui per la consueta visita settimanale. Giaceva svenuto in giardino, con un immenso sorriso sulle labbra e gli occhi rivolti al cielo infinito. Lo deposero in casa e lì il dottore cercò di rianimarlo. Nel fare ciò gli slacciò la camicia e scoprì che sul petto, all’altezza del cuore, era posata una delicata rosa bianca, con tanto di stelo provvisto di spine.

Quella rosa gli si era conficcata nella pelle, quasi avesso messo le radici nel corpo di quell’uomo. Ma era fresca, come appena sbocciata, mentre lo stelo era legnoso e duro.

Verso l’alba l’uomo rinvenne e sorrise al dottore ed a quei pochi ch’erano rimasti a vegliarlo. Senza riuscire a parlare l’uomo indicò una cassapanca con gli occhi ed il dottore vi trovò un piccolo diario scritto a mano, fitto fitto.

Fece per darlo al moribondo, ma questi indicò chiaramente che voleva lo tenesse il dottore. Poi sorrise a tutti gli astanti e spirò nel modo più dolce possibile.

Il vecchio venne sepolto in giardino, proprio accanto alla rosa cresciuta spontaneamente. Sopra la semplice bara di legno versarono un’infinità di petali di rosa, a ricordare l’amore di quell’uomo per il fiore simbolo dell’amore. Poi il silenzio scese su quell’angolo di mondo.

IL dottore conservò con cura il diario, e poco alla volta prese a leggerlo con reliogiosa attenzione. Apprese così dell’amore di quell’uomo per la fanciulla e della scoperta della rosa. Nonché di quando, raccolto il primo fiore sbocciato imporovvisamente, l’uomo se lo portò al petto e da lì non riuscì più a staccarlo. Da allora l’aveva sempre tenuto sotto la camicia, ed era per questo che ogni volta che compariva quell’uomo, prima era sempre preceduto da un intenso profumo di rosa.

Quel fiore, colto moltissimi anni addietro, non era mai appassito, ed anzi pareva rinnovarsi ogni giorno, come fosse appena sbocciato.

Il dottore apprese anche della tremenda solitudine patita da quello sventurato, solitudine acuita dal suo ingente bisogno d’amare, di donarsi al mondo senza riserve, proprio a quel mondo che non lo aveva mai compreso ed anzi lo aveva spesso osteggiato.

Terminato di leggere il diario, il dottore volle recarsi a pregare sulla tomba di quello strano uomo, e lì trovo la più mirabile delle sorprese: proprio sopra la fossa, un numero incredibile di piccole roselline era cresciuto spontaneamente, formando un delicato intreccio di fiori, che visti da lontano parevano raffigurare delle mani tese verso il villaggio. Il dottore si commosse a tal punto che preso il diario dalla tasca ove l’aveva riposto lo depose proprio in mezzo alle rose e lì ve lo lasciò.

La leggenda narra che andando in quel luogo ancora oggi si possono ammirare quelle stupende roselline, che non crescono mai, ma ogni giorno paiono appena sbocciate, e sempre raffigurano due mani tese verso il villaggio. E proprio in mezzo alle rose c’è ancora quel piccolo diario scritto a mano, e nonostante sia passato molto tempo da quando il dottore lo pose là, e siano trascorse stagioni con pioggia, neve, vento e calura, quel diario pare intatto come il primo giorno; e nessuno s’azzarda a toccarlo.

E chi s’è recato a visitare quel luogo, unanimamente racconta che tornando a casa ha provato tanti piccoli dolori al cuore, come piccole stilettate inferte all’organo vitale. Alcuni, forse tra i più suggestionabili, raccontano d’aver provato un dolore come se qualcuno schiacciasse una rosa con le spine contro il petto, e dentro di sé un intenso profumo di rosa ad inebriare i sensi.




Se desideri lasciare anche tu un commento sul racconto che hai appena letto clicca sul pulsante a destra, indica il titolo del racconto che vuoi recensire eppoi scrivi ciò che desideri.