Notturno di mare


La notte era calda e nessuna stella rischiarava i suoi passi sull’asfalto. Solo la luce al neon del camping illuminava fiocamente il mare, la cui presenza sentiva alla sua destra, oltre la barriera di scogli artificiali.
Ne percepiva l’odore, intenso, profondo, carico d’emozione. Ne sentiva lo sciabordio delle piccole onde, la cui spuma bianca riluceva fra le pietre. Da lontano giungevano echi di risate smorzate, di parole lasciate a mezz’aria come se qualcuno si fosse stancato di terminare la frase.
Una torcia elettrica di tanto in tanto lampeggiava lungo il bordo del campeggio, illuminando a tratti un fazzoletto di mare, scuro come la pece.

Dalla sinistra il rumore del silenzio era rotto soltanto da qualche tonfo leggero in acqua. Di sicuro qualcuno stava lavorando agli ormeggi delle barche nel centro velico.

Lui l’aveva visitato il giorno precedente, camminando sulle banchine e salendo i caratteristici ponti in legno che collegano i vari canali d’ormeggio. Si era persino seduto su una panchina, sotto un albero, piegato dalla forza del vento e degli anni, ad osservare il vecchio ristorante in legno chiuso da termpo ormai. Gliene avevano parlato come di un luogo da favola, e sebbene l’usura delle stagioni non l’aveva di certo risparmiato, s’intuiva quanto dovesse essere stato splendido una volta.

Aveva piovuto quel giorno, ma era pioggerellina e non s’era preoccupato di ripararsi. Aveva sostato a lungo in quell’angolo di mondo, osservando con attenzione yacht miliardari e piccole imbarcazioni da diporto. Quante volte il pensiero di prendere il mare, di fuggire lontano da tutto lo aveva attraversato.

Ci vuole coraggio a partire, ricordava in quel momento mentre passeggiava lentamente lungo la strada, ma ci vuole ancora più coraggio a restare.

Di colpo decise che il campeggio era troppo vivo per lui. Si voltò e tornò in direzione del parcheggio ove aveva lasciato in sosta l’auto.
L’odore del mare in quel punto diventava puzzo di canale, rancida acqua lasciata a marcire tranquillamente; come le vecchie barche adagiate sulle rive, troppo povere per trovare riparo in un lussuoso centro velico.
Dall’altra parte del canale i casoni dei pescatori, così malfermi sulle loro pertiche, così brutti da vedersi in una notte senza luna; mostri spavaldi che ostacolavano la vista del mare.

Decise di aggirarli, e di dirigersi verso il mare aperto. Ne sentiva il soffio della brezza serale lambirgli la faccia, accaldata dall’insolita temperatura elevata per la stagione e dall’emozione di trovarsi in quel luogo, tutto solo.
Il ghiaietto scricchiolava sotto i suoi piedi, ed una triste rete arancione delimitava una zona della riva. Di giorno quello era un cantiere, per chissà quali migliorie, ma di notte pareva un epitaffio alla bellezza del mare.

Proseguì oltre.

In fondo alla spiaggia un cuneo di massi gettati dall’uomo si protendeva verso il mare aperto, indicando come fosse un dito umano le spiaggie di Duino e Sistiana. Più in là forse s’indovinava Grignano, e dietro, la sagoma immaginata del castello di Miramare.

Con precauzione si mise a camminare sui massi, attento a non scivolare e finire in nell'acqua troppo scura quella notte.
A metà di quel promontorio artificiale si fermò e sedette su un masso leggermente più rialzato degli altri. Attese che il suo corpo potesse trovare la giusta posizione e si mise in ascolto del mare.
Lo sentì da subito, sussurargli le stesse parole di sempre. Il mare parla a chi lo sa ascoltare. Il mare ascolta chi gli vuole parlare.

E lui parlò al mare, gli disse tutto di sé, della propria vita, delle proprie gioie e delle proprie pene. Il mare si fece attento. Le onde rallentarono il loro ritmico sbattere contro gli scogli, come rispettassero la confessione di quell’uomo in una notte così particolare.

Persino il chiacchiericcio dal campeggio sembrava essersi fermato. Si potevano ancora vedere luci fiammeggiare fra le siepi di recinzione, ma tutto era come ovattato e silenzioso.

Egli finì il suo racconto e rimase in silenzio. Il mare pure stette in silenzio, per lungo tempo.

Poi s’alzò una folata di vento, improvvisa. Lui ebbe un fremito, un brivido di freddo gli percorse la schiena.
Il masso su cui s’era seduto era umido degli spruzzi delle onde ed ora aveva il fondo dei pantaloni bagnato a ricordargli che tanto tempo era trascorso da quando s’era seduto in quella posizione.

S’alzò e con fare cauto tornò verso la spiaggia. Lì trasse un profondo respiro e s’incamminò verso l’auto lasciata nel parcheggio.

Al di là della strada le luci del centro velico illuminavano un silenzio spettrale. Lui era sicuro che prima ci fossero almeno un paio di coppie appartate nella zona verde verso la strada. Ne aveva sentito i respiri amplificati dalla notte e dal suo stato di estrema attenzione a ciò che gli succedeva intorno.

Ora non c’era più nessuno e la notte era ormai avanti nel suo corso.

Salì in auto e mise in moto piano, quasi a non voler disturbare quella quiete che lui era venuto in qualche modo a cercare. Percorse a passo d’uomo la strada dissestata fiancheggiando il canale.

Tra le canne spuntavano sprazzi di luce riflessi dall’acqua. Il fanale sinistro dell’auto era fuori allineamento si ritrovò a pensare.

Al semaforo del ponte attese che la luce rossa lasciasse il posto al verde prima di mettere la freccia a sinistra e percorrere il breve tratto di strada che l’avrebbe condotto a Marina Julia.

Lì c’era stato più volte in passato. E ricordava bene quella spiaggia tutt’altro che invitante, senza sabbia e tutta ghiaietto, con quel mare piatto, quasi distratto, e quei tremendi edifici che ne coronavano l’interno, compreso quello che gli abitanti del luogo chiamavano "la nave".

Parcheggiò proprio ai piedi della scalinata e vi si issò con fare deciso. La notte era ormai nel suo punto più profondo e lui sapeva di dover dormire un poco prima che iniziasse il giorno.

Ma voleva anche essere lì quella notte, a respirare l’aria di quel mare, affinché gli restasse dentro per tutta la vita.

Giunto in cima qualcosa attirò la sua attenzione. Fu un movimento, rapido e fulmineo, poi tutto tornò quieto come doveva essere a quell’ora.

Rimase bloccato, con il piede sinistro leggermente sollevato da terra nell’atto di fare il passo successivo. Ogni senso all’erta, pronto a confrontarsi con chissà quale pericolo.

Poi lo vide. Schiacciato contro il terreno stava un piccolo rospo, tremante di paura per l’inaspettato incontro notturno con il gigante uomo.

I due si fissarono con sorpresa e spavento. Ben presto l’uomo sorrise di quell’incontro, mentre il rospo palpitava violentemente dal timore d’essere attaccato. L’uomo s’accasciò pian piano, per ridurre le distanze dal mondo animale, continuando ad osservare l’inaspettato compagno di vagabondaggi notturni.

Il rospo si calmò poco alla volta, mentre l’uomo lo osservava curioso e paziente.

Come avrebbe voluto essere lui un rospo in quel momento, dimentico di tutto ed attento solo a non farsi calpestare dagli umani. Ma lui era uomo e tale doveva restare.

Decise di attendere. Fece una scommessa con il rospo. Glielo disse, anche se al rospo sembrava non piacere quel suo linguaggio. L’uomo disse al piccolo anfibio che non si sarebbe mosso di lì finché l’altro fosse rimasto immobile.

Il rospo rimase in ascolto, e sembrò capire il messaggio perché s’immobilizzò ancor di più; se possibile. Nessuno dei due muoveva un muscolo.

Passarono i minuti e l’uomo cominciò a sentire i crampi alle gambe, ancora accucciate in una posizione innaturale per un bipede mammifero. Ma fu il rospo quello che perse la pazienza per primo. Con un salto si nascose dietro un sasso e l’uomo lo perse di vista.

Allora anche l’uomo fece un salto nella stessa direzione e tutto tornò a tacere.
Il rospo era sicuramente ancora immobile da qualche parte, fuori dalla portata dell’ultima lampada. Ma l’uomo ebbe il tempo di abituarsi a quell’ocurità e pian piano riconobbe ogni singolo dettaglio di quel terreno accidentato.
Poi lo scoprì. Di fianco ad un sasso, quasi confuso con esso, stava immobile paziente, in attesa di poter saltar via un’altra volta.

L’uomo lo fissò e gli disse quache parola gentile. Il rospo sembrava ignorare ogni cosa.

Poi l’umano s’alzò platealmente, e salutò il suo piccolo amico augurandogli buonanotte. Lentamente, intorpidito nelle gambe, l’uomo si diresse verso il mare ed il rospo rimase a fissarlo finché non fu certo che se n’era andato davvero. Poi scomparve nella notte.




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