Una domenica sera di pioggia



Lei l'avevo conosciuta ad una festa tempo addietro. Era una di quelle feste tediose alle quali partecipavo più per spirito di cortesia, che per vero interesse gaudente.
Ci si trovava sempre alle ventuno in punto, per poi tirare le tre del mattino nel solito modo: un gruppetto (i soliti) da una parte a divertirsi non diciamo come, un altro che schiamazzava sull'improvvisata pista da ballo, ed il resto in giro per la casa, mangiando paste e dolciumi, bevendo birra e martini, scambiando opinioni su una festa già fallita ancor prima di cominciare.
Quella volta non ricordo chi e cosa si festeggiasse, ma son sicuro che fosse d'inverno; il freddo che ho preso fuori dalla porta, annoiato, ad osservare il cielo coperto di nubi cariche di neve, ancora oggi lo sento nelle ossa.
Il tempo trascorreva tra un bicchier di qualcosa, possibilmente alcoolico, ed una chiacchierata, possibilmente con una ragazza; e così per gran parte della serata. Quella volta mi capitò d’incontrare gente nuova, presentatami per puro spirito di cortesia. Tra i nuovi "acquisti" c'era anche lei.
Ancora oggi, dopo che è l'ho vista così tante volte, fatico a descriverla. Non saprei come definirla, e dire che non era nè alta nè bassa, nè grassa nè magra, nè brutta nè bella, non farei altro che dare la sua descrizione come ancor oggi la ricordo. Due soli particolari mi sono rimasti impressi: gli occhi ed il sorriso.
Spesso capita che Dio abbia pietà degli esseri umani che lui stesso ha creato. Così succede che creature, le quali nel complesso non hanno proprio nulla d’interessante da dire ai propri simili, ricevano il dono di un "qualche" particolare che le evidenzia sopra ed al di fuori della norma. Tutto ciò pare sia normale. Ma avere due particolari così importanti, con un corpo così mediocre non era da tutti: lei li aveva!
Rimasi subito affascinato da quello sguardo, e solo più tardi, quando riuscii a strapparle una risata soffocata, anche dal suo inimitabile sorriso. Eppure era distante dal mio ideale di ragazza perfetta. Sia fisicamente, sia come carattere, sia, ma questo ebbi modo di scoprirlo solo più tardi, come mentalità.

Quella sera dovette andare via presto. Alle ventitre e trenta suonava già la ritirata per lei e per la sua amica, e mia conoscente, che me l'aveva presentata. Il resto di quella festa fu tutto sommato poca cosa, come tutte le feste che l'avevano preceduta.

Mi capitò di rivederla solo dopo un mese (circa), in occasione di una festa in paese (anche qui non ricordo quale, ma probabilmente doveva essere il carnevale, dato che era ancora inverno).
Ebbi l'occasione di scambiare quattro chiacchiere con lei e durante quei lunghissimi minuti durante i quali riuscii a farla parlare non distolsi mai lo sguardo dal suo viso. Le sue parole per me erano niente; i suoi sguardi l'immenso; il suo sorridere a fatica, la gioia.
Angelica era il suo nome, e certo mai nome era stato più azzeccato di quello. Quel giorno la salutai strappandole la promessa di rivederla presto; e fui felice per tutta la settimana.

Fu di parola e ne fui felicissimo. La domenica successiva la incontrai sul sagrato della chiesa dopo la messa domenicale, ed ebbi modo di scambiarci ancora qualche battuta. E ciò accadde per le settimane seguenti, finché la giacca leggera che aveva già sostituito il giaccone pesante, non lasciò anch'essa il posto alle maniche corte delle magliette estive.
Era diventato ormai un rito. Alla domenica mattina le solite battutine lanciate e ricevute al suo indirizzo, e sempre quello sguardo immerso lontano; ogni tanto, ma sempre più spesso, il dolce sorriso di compiacenza.
Già da un po' gli altri avevano notato il mio interessamento e qualcuno osava lanciare frecciatine pungenti verso di me. Io incassavo con un sorriso sornione, e non dicevo nulla. Tenevo tutto dentro, per poi ripensarci con tutta la tranquillità data dall'essere soli nella propria dimora.
Anch'io avevo accarezzato l'idea di esser finalmente giunto al Nirvana della mia vita, ma l'avevo subito scartata; e non so ancora il perché. Sì, mi piaceva stare vicino a quella ragazza, parlarle, anche solo per darmi modo di continuare a fissarla, e mi piaceva pure che a lei non spiacesse di essere ammirata in continuazione; ma di stabilire un legame affettivo tra me e lei: neanche a parlarne. Eppure ciò che la coscienza e la mente lucida rifiutavano, l'inconscio e l'ineluttabile forza del sentimento cementavano nel mio cuore.

Arrivarono anche le ferie: le solite. Tutti che partivano per il mare, i monti, o se proprio andava male per i laghi. Io, come sempre a casa. Una domenica, di fine luglio, con il sol leone che bruciava sulla pelle e faceva evaporare le menti, mi accorsi che mancava qualcosa, anzi qualcuno: lei.
Con fare compito, per non dare nell'occhio (i pettegolezzi aumentavano a dismisura con il passare delle settimane) m’informai presso le persone giuste. Venni a sapere che era partita: tre settimane al mare con i suoi (genitori s'intende).
Io, come un albero sradicato dall'uragano, tornai alla mia solita ringhiera, che la domenica diventava seggiola e trono da cui dominare il mio piccolo mondo, e rimasi mortalmente ferito nell'orgoglio ancor prima che nel cuore. Ma il tempo, che essendo eterno non ha fretta di passare, mi fece soffrire ancor di più quei lunghi giorni estivi.
Ormai erano partiti tutti, ed i reduci rimasti a casa si ritrovavano all'ombra del campanile della chiesa, come in tutti i paesi cristiani di questo mondo.

In quei giorni meditai e conclusi che quando una persona ti sta sempre accanto non t’accorgi di quanto valga, almeno finché non te ne devi distaccare per un certo periodo. Ed io m’accorsi allora che forse un errore lo avevo commesso: lasciar passare troppo tempo prima di prendere la fatidica decisione. Quell’estate, che pure non è troppo lontana, la parte più nascosta di me prevalse su quella conscia, ed io mi trovai ad essere innamorato di una ragazza che avevo scartato in tal senso almeno sei mesi prima.
Dopo quella incredibile scoperta il tempo riprese a volare. In breve finirono anche le ferie, ed in poco tempo rientrarono tutti dalle vacanze estive. Un giorno, sul finire di agosto, anche lei fece la sua ricomparsa.
Era domenica mattina, e tutto sembrava essere tornato alla normalità. La salutai, e lei a fatica mi contraccambiò con un secco "ciao" e con lo sguardo puntato dritto alle mie spalle. Mi voltai di scatto ma non vidi nessuno; e l'angoscia s’impadronì di me. Cercai le solite persone bene informate, e chiesi loro delucidazione sul suo comportamento alquanto strano.
Mi spiegarono candidamente ciò che io avevo sempre sospettato ma che mi ero sempre rifiutato di accettare; naturalmente al mare aveva conosciuto qualcuno, qualche ragazzo interessante che le aveva fatto dimenticare quello stupido, impacciato, timido del sottoscritto. Ingoiai un'altra volta il rospo ed andai a meditare all'ombra del solito campanile.
Tutto ciò accadde due settimane or sono; ed ho usato sino ad ora il passato remoto perché ritengo che davvero quel passato sia remoto per la mia vita.

Stamattina è accaduto un fatto strano. Un’auto con targa da luogo di mare è arrivata nel nostro piccolo paesello. Ne sono scesi tre fusti da competizione, di quelli che per tutta estate danno bella mostra di sé sulle spiagge italiane. Si sono diretti verso un punto preciso, in direzione di una persona che negli ultimi mesi era stata il mio baricentro nella vita.
Lei li ha salutati ed assieme sono partiti per una scampagnata chissà dove. Il resto della mia giornata si riassume in breve: la solita noiosa domenica di sempre. Poi, verso sera ci siamo ritrovati tutti ad aspettar la luna sotto l'immancabile campanile, quand'ecco che la fatidica auto si ferma a poca distanza da noi.
Ne scendono quattro persone, che dopo qualche minuto di lento parlottio si salutano, si scambiano baci ed abbracci ed i tre fusti, ora ombre nella sera ormai sopraggiunta, se ne ripartono per un luogo che puzza di sale e di mare, e che non dista poi tanto da noi. Lei, Angelica, ora più che mai, si siede con noi sull'immancabile ringhiera e con fare innocente comincia a sospirare. Senza che nessuno glielo abbia chiesto si mette a raccontare della sua indimenticabile domenica e noi tutti intenti ad ascoltarla.
Curioso di verificar l'entità del mio dolore, la fisso negli occhi e riscopro in lei quello sguardo che definir magnifico troppo poco sarebbe, rivolto in una direzione che porta lontano, dove le onde s’infrangono sulla scogliera, e poco distante un ultimo gabbiano solitario s’innalza sul tramonto che ancora tenta di resistere all'orizzonte, sul mare.
Una lacrima mi cola veloce da un occhio e già sto per temere il peggio, quando il buon Dio, che sempre ha compassione delle sue anime più povere, mi viene incontro. Improvviso come solo d'estate sa esserlo, un temporale arriva veloce; due fulmini, ora anche il tuono, e le prime gocce cominciano a cadere. Subito lei si alza, ed ancora estasiata prende la via di casa con due amiche avide di notizie piccanti.
Con l'aumentare delle gocce di pioggia anche gli altri prendono la via di casa, lasciandomi a poco sempre più solo sotto quello che di lì a poco sarà un vero e proprio diluvio. Partiti, correndo, anche gli ultimi due amici, ormai l'acqua che cade dal cielo non si distingue più dal pianto feroce che uno stupido, sotto la pioggia incessante, non riesce più a trattenere a causa della propria idiozia e della propria timidezza.




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