Lettere dall'Asia - Birmania - da Peacereporter: "Fughe incrociate" di Francesca Lancini (novembre 2003)

Lettere dall'Asia - Birmania (Myanmar)


Lettere dall'Asia - Birmania: Peacereporter - Fughe incrociate di Francesca Lancini (novembre 2003)

Myanmar, fughe incrociate Un milione di birmani sono emigranti nei paesi più ricchi dell'Asia, alla ricerca di un futuro. Ma non sempre il sogno si avvera

Birmania - Corrono lungo la Thai Road, la strada birmana che porta oltre il confine thailandese, stretti in un camion.
Mancano un centinaio di metri per abbandonare il Myanmar (ex Birmania) e costruirsi un futuro in Thailandia. Sognano un lavoro nella capitale, Bangkog, anche sotto pagato: non hanno studiato la lingua e, soprattutto, non hanno un passaporto. Sono nove: cinque uomini e quattro donne. Improvvisamente, il conducente del camion accellera e perde il controllo del veicolo. Muoiono tutti, in un giorno di fine ottobre, investendo il check point birmano al confine. Avevano pagato dai 7 ai 10 mila bath ( dai 150 ai 200 euro circa) per questo viaggio.

Sono un milione i lavoratori illegali birmani fuggiti in Thailandia e molti di più quelli sparsi nei paesi ricchi del Sud Est Asiatico, come Malesia, Singapore e Giappone. Tra questi, c’è anche chi non deve nascondersi, perché ha ottenuto un passaporto. Come un gruppo di giovani che, qualche settimana prima dell’incidente sulla Thai Road, viaggiava su un comodo autobus lungo la costa malese.

“Scherzano e ridono come degli scolari in gita. Sfogliano un dizionario per imparare un po' di bahasa malaysia (la lingua ufficiale malesiana) e osservano curiosi il mio passaporto, con dignità, perché siamo alla pari e anch’io sto osservando il loro. E ce l’hanno fatta: le loro famiglie presto riceveranno i primi interessi sul capitale investito”, racconta Fabio Pulito, collaboratore di PeaceReporter che vive da anni in Asia.
Il capitale di cui parla Fabio è il risultato di anni di sacrifici: “per pagare un mediatore che si occupa di oliare tutti gli ingranaggi della macchina burocratica e di far saltar fuori l’impiego all’estero. Lavori umili, nelle imprese di costruzione, in qualche fabbrica, i più fortunati in un ristorante”. L’autista, un cinese di Kuala Lumpur, spiega a Fabio che i giovani birmani stanno andando a nord-est, nell’antico stato malese di Terengganu, dove li attende un lavoro. Per l’occasione - continua Fabio - “i ragazzi, appena arrivati dalla capitale birmana, Yangon, indossano camicia e cravatta, forse annodata dalla madre all’alba prima di partire. E sul petto portano un tesserino identificativo”.

La scelta di lasciare casa per questi ragazzi è quasi obbligata. Dal 1948 l’ex Birmania è oppressa dalla dittatura di un gruppo di anziani militari e dalla guerra del governo contro le minoranze etniche e contro le guerriglie indipendentiste.
Mezzo secolo di isolamento e povertà per un paese ricchissimo di risorse, come quelle che vengono dalle foreste tropicali di tek. La maggioranza dei birmani vive abbandonata nelle zone rurali, beve acqua piovana, si nutre col riso che coltiva, non ha accesso a cure mediche e non sopravvive ai 60 anni.

Durante il viaggio di Fabio lungo la costa orientale malesiana, l’unico ragazzo birmano che conosce un po' d’inglese (la giunta al potere nel Myanmar non è favorevole allo studio delle lingue straniere) gli mostra orgogliosamente un foglio con appuntato l’indirizzo della sorella che vive in California. “Poi - racconta Fabio - mi porge il suo passaporto e mi chiede se posso mostrargli il mio. Viaggiando in un comodo autobus su questa autostrada, i drammi dei popoli più vicini sembrano problemi di un altro continente. Questo incontro ha cambiato il sapore della mia comodità e mi ha distolto dall’illusione ovattata dello sviluppo tecnologico e sociale di queste zone”.

Francesca Lancini

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