Bloody Sunday

Bloody Sunday, ovvero la "Domenica di Sangue", è un film uscito nel maggio dello scorso anno e quindi logicamente già ritirato dalla programmazione. Non è solo apparentemente il classico film d'autore o cult-movie che dir si voglia: nella sostanza si rivela anche un buon documento sociologico dei comportamenti collettivi oltre che delle tematiche relative ai diritti civili.
Premiato con l'Orso d'Oro al festival del cinema di Berlino (quindi da giurie di qualità, poco inclini a pellicole più commerciali), e diretto dall'inglese Paul Greengrass, è stato interpretato da molti attori non professionisti, persone di tutti i giorni che, in molti casi, hanno assistito o vissuto direttamente la "Bloody Sunday".
Colonna sonora inesistente, se si esclude la sigla finale, quella "Sunday Bloody Sunday" scritta dagli U2 (a ricordo degli stessi avvenimenti), e riprese effettuate senza particolari artifici od effetti speciali, conferiscono al tutto un tono decisamente poco cinematografico: scene brevi e spesso frammentate, interrotte da altre scene; dialoghi diretti, scarni ed essenziali come possono essere i dialoghi di persone anglosassoni comuni, che s'incrociano per la strada.
E l'effetto che se ne ottiene, più che di un film, è di un documentario, un reportage che riprende dal vivo gli eventi come se stessero accadendo ora e non in quel 30 gennaio del '72; il tutto sembra quasi girato in presa diretta, dove gli operatori addetti alle riprese devono svolgere un compito più simile a quello di cameramen di una troupe giornalistica che sta documentando una situazione di tensione sociale. Il set sembra non contenere la vicenda e, attori e comparse, sono letteralmente presi dai loro pensieri o dagli eventi che stanno precipitando; ed è così che la pellicola ci appare frammentaria, con gli attori che fuggono, i "cameramen", col fiatone, costretti ad inseguire eventi e persone con tutti gli inconvenienti di una situazione frenetica (obiettivi fuori campo, telecamere che cadono, ecc.)
Ma cosa racconta il film, o meglio cosa successe quel giorno?!
Il tutto si svolse a Derry, un popoloso centro (per quanto possano esserlo le città irlandesi) dell'Ulster; per quel giorno Ivan Cooper, un deputato inglese, rappresentante del moderato movimento per i diritti civili, aveva organizzato una manifestazione contro lo Special Powers Act (arresto senza garanzie o atti processuali per aderenti e fautori dell'indipendentismo cattolico): si trattava di una manifestazione pacifica, iniziata dopo la messa domenicale, come una passeggiata che si sarebbe poi dovuta concludere con un comizio di piazza. C'erano gruppi familiari, c'erano vecchi, donne e bambini, e c'erano anche le solite "teste più calde" che, fomentate dall'I.R.A., iniziarono a bersagliere con sassi il cordone di sicurezza costituito da militari. Questi, con il tacito, e forse compiacente assenso dei comandi, iniziarono a caricare la folla con i blindati e a sparare ad altezza d'uomo: ventisette morti irlandesi, ventisette morti!
Non doveva finire così anche se non poteva finire altrimenti.
Da quel giorno l'iniziativa democratico popolare del movimento pacifista per i diritti civili andò in minoranza, relegato nella coscienza idealistica di poche persone. Molti, soprattutto giovani, lesi nei fondamentali diritti, umiliati ed offesi in casa loro, si arruolarono nell' I.R.A., dando vita ad un'escalation di violenza e terrore, che solo oggi, con le nuove generazioni, sembra forse affievolirsi.
Nel film si sottolinea con forza l'operato dell'esercito schierato con equipaggiamento da guerra; il suo utilizzo, in un compito di controllo normalmente demandato a forze di polizia municipale, non poteva che portare a questo risultato: l'aperta provocazione per l'ala più insofferente dei manifestanti diventava così una situazione di pericolo o presunto tale e, dovendo reagire, i soldati non potevano che reagire con i mezzi a propria disposizione e nell'unico modo a cui erano stati preparati e addestrati.
Ma l'esercito è formato da uomini diversi, che reagiscono diversamente ad una stessa azione: chi liquidò il tutto, coscienza compresa, con il fatto di aver semplicemente eseguito ordini superiori; chi, pur rendendosi conto del precipitare degli eventi, e non potendo sfuggire ad un ruolo prestabilito, continuò a vivere nella consapevolezza di essere dalla parte sbagliata; chi, drogato di onnipotenza, si sentì in grado, con il suo fucile, di risanare una situazione sociale "inconcepibile".
Dopo l'azione di forza, forse rendendosi conto dell'accaduto, una sorta di panico pervase gli animi dei soldati; panico ben presto rimosso nella ricerca affannosa di non scoprirsi responsabili ("non abbiamo fatto niente...! Abbiamo solo eseguito gli ordini!"), cercando una scusa, spesso urlata ai compagni e a se stessi, che potesse esorcizzare eventuali sensi di colpa ("ci hanno sparato prima loro, li ho visti io").
E c'è anche la coscienza di un sistema, di una nazione che sobbalza; varie inchieste governative non hanno rilevato alcuna responsabilità: da una parte i soldati sono stati elogiati per aver riportato l'ordine pubblico ma, dall'altra, non si è potuto risalire a chi ha dato ordini poi persisi nei meandri della burocrazia.

Marco Cigliutti
redazionegp@yahoo.it