L'arroganza del cavaliere
davanti al Quirinale
Il doppio strappo
di CURZIO MALTESE

ROMA - Un deserto istituzionale ha accolto ieri il messaggio del presidente Ciampi alle Camere sul tema dell'informazione, il cuore dell'anomalia italiana. La maggioranza, in larghissima parte, non si è presentata, lasciando l'onere degli interventi a pochi volonterosi peones. I banchi del governo erano vuoti. E' stato uno spettacolo avvilente, una risposta che non si può definire altrimenti che omertosa. E nello stesso giorno Silvio Berlusconi ha irriso i consigli del presidente della Repubblica, che lo invitava a trovare al più presto un titolare alla Farnesina. "Sono felicissimo di restare agli Esteri, nonostante i tuoi continui inviti", ha detto, arrivando addirittura a dare del "tu" al capo dello Stato, neanche fosse Galliani. E' un doppio strappo, il chiaro segnale di un'arroganza padronale che ormai non riconosce confini neanche nel Quirinale.

Dalla giornata di ieri emerge un silenzioso quanto esplicito contro-messaggio al capo dello Stato: di pluralismo nell'Italia di Berlusconi non si può e non si deve discutere. Neppure se a rilanciare la questione è il capo dello Stato con lo strumento solenne del messaggio alle Camere, usato una decina volte in tutta la storia della Repubblica. Si è trattato naturalmente anche dell'ennesima prova che Ciampi, parlando di questo tema, ha toccato il nervo scoperto del sistema politico. Come si era capito, del resto, fin dalle prime reazioni. Berlusconi che controfirma il messaggio prima ancora che sia reso pubblico, nel palese e maldestro tentativo di disinnescarlo. I media controllati dal Cavaliere che si sono mobilitati subito per manipolare i contenuti e far passare nei commenti l'idea vagamente diffamatoria che la levata di Ciampi fosse una semplice rappresaglia contro le mire quirinalizie di Berlusconi. Lo stesso premier che ha ritirato al volo il progetto presidenzialista, smentendo se stesso come ormai gli capita quasi ogni giorno.


Un frenetico balletto insomma, intorno a un concetto noto: chi in Italia tocca i fili della televisione, muore.

È una storia che si trascina da troppi anni, cominciata con la prima Repubblica e la decisione di Craxi (e del Caf) di affidare il monopolio della nascente tv privata all'imprenditore di fiducia. E di difendere questa scelta a tutti i costi, sfidando il mercato, le leggi europee e i fondamenti della democrazia. Una storia proseguita con l'approvazione della legge Mammì, in un'orgia di lobbies parlamentari, una legge pessima e pure poco applicata. Ed è sfociata come sappiamo nella discesa in campo di Berlusconi, in questo esperimento di telecrazia che ha posto al centro della scena un partito fondato come uno spot e ha ridotto l'intera politica a gioco mediatico.

Non si è trovata una soluzione neppure negli anni dei governi ulivisti, che non hanno sbagliato per ingenuità o buona fede a non fare una legge sul conflitto di interessi, come sostengono oggi alcuni leader pentiti. La verità è che non hanno voluto, fortissimamente, sciogliere il nodo televisivo, dopo aver trattato sui principi con l'avversario.

Per anni, l'argomento principale di questa vergognosa rimozione politica (e giornalistica) è stato che la questione non interessava alla gente, che c'erano temi ben più importanti e urgenti. Davvero non interessa? Secondo i sondaggi, due italiani su tre sono convinti che un vero pluralismo da noi non esista. Di conseguenza, seguendo il discorso di Ciampi, che non esista una vera democrazia. Un destino italiano, quello di non godere di una democrazia compiuta. Ma è un destino cui l'Italia del 2002, sempre dentro l'Europa, non sembra del tutto rassegnata. Ciampi ha avuto il merito e il torto di sollevare un tema che è percepito dall'opinione pubblica ma rimane un tabù per il ceto politico. Non c'è stata una forza politica, per quanto minoritaria, capace in questi anni di fare del pluralismo nell'informazione una grande battaglia. Non c'è stato nessuno, in questo paese di professionisti del digiuno politico, che consideri la proprietà del 90 per cento dei media da parte del capo del governo uno scandalo degno della rinuncia a un piatto di spaghetti. Ed è probabile che, anche questa volta, lo sforzo del Quirinale di riportare al centro del dibattito il tema della libertà di informazione si infranga contro un gigantesco muro di gomma. La settimana prossima il presidente Ciampi sarà chiamato a firmare una grottesca legge di abolizione del conflitto di interessi e tutto lascia pensare che lo farà senza fiatare.

È questo l'eterno paese dei Don Rodrigo, dove si confonde il governare con il comandare, è la terra degli Azzeccagarbugli pronti a giustificare ogni abuso del potere con dovizia di argomenti, dei Don Abbondio che il coraggio non riescono mai a darselo. E si capisce che l'ultimo slogan del Cavaliere sia [ab]dimenticare Manzoni[bb] .

corsi e ricorsi storici

 

per mia fortuna non ho vissuto il ventennio, ma ho subito i colpi di coda, però rileggendo qualche libro di storia (certamente non quelli che riscriveranno) mi sembra di rivedere lui con Vittorio Emanuele.

Un invito a Ciampi : non farti trattare come Vittorio Emanale, altrimenti i tuoi figli rischieranno di vivere in esilio (giustamente).


(26 luglio 2002)