Tratto da "il Manifesto" del 8/4/2003

 

Sull'orlo della catastrofe
Baghdad divisa dall'occupazione. Un missile fa una strage nel quartiere di Al Mansour. Situazione terribile negli ospedali senz'acqua e medicinali. La gente fugge ha paura e fugge, o si rifugia nelle moschee
GIULIANA SGRENA
INVIATA A BAGHDAD
Ibombardamenti ci hanno abituati a non dormire la notte e domenica sera i caccia che volavano bassi su di noi avevano anticipato l'allarme, ma quello che è scoppiato ieri mattina al termine di una notte tormentata anche da una tempesta di sabbia, poco prima delle 6, quando era ancora buio, è stato un vero inferno. I colpi di cannone, le bombe, il fuoco e il fumo che vedevamo sull'altra riva del Tigri, proprio dove il fiume fa un' insenatura, lasciavano intendere che la battaglia per la conquista di Baghdad era cominciata. Si sparava anche da questa parte del fiume e i colpi rimbombavano persino sulle nostre pareti. Dai piani alti si potevano vedere le sagome dei carri armati, due più un blindato. Erano gli operatori con le telecamere a scoprire che erano americani, che avanzavano sull'altra sponda del Tigri. Inseguivano gli irakeni, da qui se ne sono visti qualche decina, alcuni si arrendevano e, nonostante questo, secondo quanto mostrato da alcune riprese, due sono stati freddati. Un'altra inquadratura invece mostrava un irakeno fatto prigioniero. Altri sono scappati, alcuni buttandosi nel Tigri, mentre gli americani sparavano loro addosso, nell'acqua. Per coprirsi la fuga, gli irakeni - alcuni erano anche senza armi - hanno dato fuoco a un deposito di petrolio che ha immediatamente offuscato tutto lo scenario con una cortina di fumo che si è mischiata a una sorta di nebbia che era scesa sul Tigri (o forse era l'inquinamento degli aerei?), rendendo l'aria ancora più irrespirabile. Ieri, all'odore di petrolio si è aggiunto quello della polvere da sparo, effetto dei bombardamenti. Nel pomeriggio un cielo grigio, coperto da dense nubi, non permetteva nemmeno di vedere i caccia che sentivamo sfrecciare sopra di noi, numerosi.

Primo obiettivo degli americani: l'occupazione di uno dei palazzi di Saddam, Al Sarjut, quello che si trova sulla riva del Tigri di fronte al nostro albergo, e che ha su una delle porte di entrata una cupola d'oro. Ma il palazzo era, naturalmente, vuoto.

Un abitante del quartiere Al Dora, nella zona meridionale della città, ci ha raccontato di aver visto l'arrivo dei carri armati sulla strada di Kerbala: erano coperti nella loro avanzata da F-16, F-18 e Apache che hanno ingaggiato una feroce battaglia per sbaragliare le forze irakene così da permettere ai tank di procedere verso il ponte Al Jadria, passare vicino all'università di Baghdad e arrivare fino nel quartiere che ospita i ministeri, ora parzialmente occupato dalle truppe americane. Anche se da questa riva del fiume non si riesce a capire l'entità delle forze americane presenti, si vedono solo due carri armati che stazionano davanti al palazzo di Saddam. Il ministero dell'informazione che, secondo la tv del Qatar Al Jazeera, sarebbe stato occupato dagli americani, invece è ancora sotto il controllo irakeno. Almeno ieri mattina lo era. Per dimostrarlo, dopo che il ministro dell'informazione Mohammed Said Al Sahaf si era scagliato contro l'emittente del Golfo accusandola di essere al servizio degli americani, siamo stati portati sul posto dai funzionari del press center. Il ministero, così come la stazione degli autobus e dei taxi ad Al Alwia che portano fuori città, che pure ieri mattina veniva data da alcuni media internazionali - al seguito delle truppe alleate - nelle mani degli americani, invece non lo sono. Per verificarlo abbiamo dovuto attraversare il ponte Rashid e avvicinarci all'omonimo hotel, senza però riuscire a raggiungerlo, tutt'intorno abbiamo trovato i segni di una pesante battaglia. Che sarebbe ripresa nel pomeriggio, quando i militari hanno abbandonato le postazioni riconquistate la mattina.

A fine mattinata comunque giravano per la città strombazzando macchine della polizia con la bandiera irakena e il ritratto di Saddam. Arrivati davanti all'hotel Palestine, approfittando della presenza di centinaia di giornalisti, hanno cominciato a sparare in aria decine di proiettili per festeggiare la loro «vittoria», dicevano di aver danneggiato 14 carri armati americani e di aver combattuto senza nessuna protezione, mentre inneggiavano al rais: «Bush ascoltaci, noi amiamo Saddam», prima di concludere con un «Allah Akbar», Dio è grande.

La presenza americana - noi però gli americani non li abbiamo ancora visti in faccia, abbiamo solo osservato le loro sagome su scala ridottissima al di là del fiume - è ancora limitata e riguarda la riva destra del fiume. Dalla stessa parte in cui si trova anche il quartiere presidenziale Al Mansour dove ieri pomeriggio, sulla via principale, piena di negozi ora chiusi, è stato lanciato un missile contro un edificio. Quattro le case completamente distrutte, compreso il ristorante Assadaha, spesso frequentato anche dai giornalisti. Il missile ha lasciato un cratere enorme, profondo dieci metri. Le vittime rimaste sepolte sotto il cumulo di macerie sono almeno nove, diversi i feriti. E non si può certo parlare di un errore.

Non si tratta delle prime vittime civili provocate dall'invasione americana di Baghdad, di alcune abbiamo già parlato così come di altre abitazioni distrutte proprio nello stesso quartiere Al Mansour, particolarmente bersagliato. Altre vittime sono delle ultime ore, alcune sono ricoverate nell'ospedale Al Kindy. Militari e civili, il numero dei feriti è impressionante anche se è difficile avere delle cifre, nemmeno la Croce rossa riesce a tenere il conto. Ma le condizioni in cui versa l'ospedale sono «terribili», secondo la descrizione di alcuni rappresentanti del Comitato internazionale della Croce rossa che vi hanno avuto accesso. Medici e infermieri lavorano ininterrottamente da 24 ore e sono esausti. Manca peraltro materiale chirurgico e anestetici. Gli ospedali rischiano il collasso. La mancanza di elettricità e, di conseguenza, di acqua rende la situazione drammatica: finora si è supplito con l'utilizzo dei generatori, molti dei quali sono stati forniti proprio dalla Croce rossa. Mentre il «Ponte per Baghdad» ne ha forniti agli ospedali di Bassora. Ma se l'affluenza dovesse continuare a questi ritmi, ed è probabile che con la battaglia per l'occupazione di Baghdad sia destinata ad aumentare, e notevolmente, la catastrofe è assicurata.

Gli americani hanno messo piede a Baghdad anche se non è ancora chiaro se intendono rimanerci e avanzare oppure fermarsi e poi riprendere l'avanzata. Comunque la popolazione è spaventata. Ieri mattina la città sembrava tramortita: ancora più spettrale del solito, strade vuote, l'unica presenza era quella dei militari, dei miliziani del partito Baath e qualche giovane in borghese con kalashnikov. Per la strada autoambulanze, macchine della polizia e autobotti dei pompieri, gli autobus e le vetture sono sempre più rare e anche i taxi. Negozi tutti chiusi, non siamo riusciti nemmeno a trovare del pane, il forno era aperto ma il pane era andato a ruba. Anche le farmacie sono chiuse e comunque vendevano ormai solo Valium e altri tranquillanti, persino per i bambini. Ai distributori di benzina si formano le code per gli ultimi rifornimenti. La gente ha paura e scappa, con ogni mezzo, anche a piedi, con poche cose, spesso solo con un fagotto in testa. E chi non scappa si rifugia nelle moschee. Particolarmente affollata la più grande moschea sciita di Baghdad, quella di Al Khadimiya. «Allah Akbar», gridano tutti, fedeli e combattenti, che hanno optato per il Jihad, la guerra santa.

 

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