Articolo tratto da "il manifesto" del 16/12/2003
Showdown sul Colle
Scontro tra Ciampi e Berlusconi alla vigilia del rinvio
della Gasparri. Il premier chiede inutilmente che l'annuncio del Quirinale
slitti di alcuni giorni, poi minaccia il presidente: «La maggioranza può
riproporre la legge senza modificare nulla»
ANDREA COLOMBO
ROMA
Neppure la consumata arte del cavaliere, stavolta, riesce a
mascherare la cruda realtà dei fatti. Quello che si è aperto ieri, col rinvio
alle camere della legge Gasparri, è un conflitto istituzionale di portata
inaudita, reso ancor più grave dall'argomento del contendere: il cuore stesso
del potere berlusconiano, del conflitto di interessi, dell'anomalia
rappresentata da Silvio Berlusconi. La pesantezza dello scontro si è rivelata
ieri per intero ben prima che la notizia del rinvio, che comunque già circolava
ovunque, venisse a tarda sera ufficializzata. Trapelava dallo sgarbo
istituzionale del premier, che è andato a un pelo dall'anticipare la notizia del
rinvio nel tentativo di bruciare Ciampi. «Oggi - dichiarava infatti Berlusconi
quando la decisione non era ancora ufficiale - ho parlato con Ciampi della
Gasparri. Per quanto mi riguarda, se venisse rinviata non ci sarebbe alcun
vulnus per il governo. Gasparri prenderà le sue decisioni. Io questa legge non
la ho voluta seguire, c'era di mezzo il conflitto di interessi, e di tante leggi
questa è quella che ho seguito di meno».
Ma soprattutto la durezza del confronto traspare nella minaccia secca di
ignorare come se nulla fosse gli appunti del capo dello stato. In caso di
rinvio, proseguiva infatti il cavaliere, «ci sarà la rivisitazione della legge
da parte del parlamento, che deciderà se introdurre le modifiche cui accennasse
il presidente o non introdurle. Dopo di che Ciampi firmerà comunque la legge».
La decisione del presidente della repubblica, ovviamente, non ha colto il capo
del governo e padrone di Mediaset alla sprovvista. Il Quirinale aveva fatto
conoscere la sua scelta con largo anticipo. C'era stato tempo per trattare
almeno sulla prima contromossa dell'esecutivo, il decreto governativo che
immancabilmente arriverà prima del 31 dicembre, in tempo per impedire
l'oscuramento di Rete4 che altrimenti scatterebbe automaticamente il
primo gennaio. La stessa improvvisa accelerazione della finanziaria, imposta per
la prima volta nella storia della repubblica con una raffica di voti di fiducia,
si spiega proprio con la necessità di sgombrare l'agenda in modo da poter varare
con certezza il decreto che salverà Fede dall'oscuramento.
Ma il Berlusconi che a fine mattinata arriva al Quirinale per affrontare la
questione direttamente col capo dello stato avanza un'ulteriore richiesta. Vuole
che la notizia slitti almeno di 48 ore, per poter chiudere a Strasburgo il
semestre di presidenza italiana senza dover affrontare la dolorosa faccenda, e
forse anche per sfruttare ancora il vantaggio propagandistico regalato
all'alleato di Bush dal colpaccio di Tikrit, la cattura di Saddam Hussein. Il
capo dello stato nega la dilazione, si dichiara pronto ad attendere la chiusura
dei mercati e il primo voto di fiducia sulla manovra, ma nulla di più. Il
braccio di ferro si rifletterà nella sarabanda di annunci ufficiosi e puntuali
smentite che si prolungano per ore nel pomeriggio.
Dopo il niet del presidente, la tensione latente diventa incontrollabile
e l'ira del premier nei confronti del capo dello stato non più controllabile.
Dicono che il colloquio abbia assunto a tratti toni assai duri. Ciampi non si
sarebbe limitato ad affrontare la Gasparri, avrebbe invece rimproverato al
premier le forzature a catena sulla finanziaria, lo svuotamento del ruolo del
parlamento, l'imposizione a colpi di fiducia.
Ma il conflitto più radicale, e per Berlusconi più preoccupante, non riguarda
certo i tempi dell'annuncio. Nei giorni scorsi i diplomatici di palazzo Chigi,
guidati da Gianni Letta, avevano cercato di mediare sulle motivazioni del
rinvio. Il Colle era sembrato disposto a spiegare la sua mossa in termini
essenzialmente tecnici, senza citare espressamente la posta reale, politica ed
economica, della partita in corso. Le cinque pagine di motivazioni stilate dal
Colle dimostrano che quell'impressione ottimisiticamente coltivata dai
plenipotenziari di Arcore era infondata. Ciampi smonta metodicamente, punto per
punto, la legge. E non si limita a un oscuro gergo tecnico. Afferma senza mezzi
termini che la legge è in contraddizione con le sentenze della Corte
costituzionale sul pluralismo dell'informazione, e che rende possibile la
costituzione di «posizioni dominanti».
La reazione del premier è drastica. Berlusconi prefigura lo showdown
istituzionale, ricatta il presidente minacciandolo di ripresentare la legge
senza modificare nulla, come la Costituzione gli consente di fare. Sarebbe una
beffa senza precedenti ai danni del guardiano della Costituzione, ma l'ipotesi è
davvero quella che tenta maggiormente il padrone della Mediaset. Gli ostacoli
non mancano. Il primo è la probabile reazione del Colle. Il secondo è la guerra
che inevitabilmente verrebbe scatenata dall'opposizione. Quello forse più temuto
è la resistenza di alcuni alleati, in particolare dei centristi, ad avallare il
colpo di mano, vanificando un anno di sforzi per svincolarsi dai diktat
del padrone della Cdl.