Articolo tratto da "Il Manifesto" del 21/6/2003
L'Iraq «americano», la galleria degli orrori
A tre mesi dall'instaurazione della pax Usa, un rapporto
di Amnesty rivela un quadro realistico, e quindi orrendo, della situazione. E
chiama in causa i mancati impegni delle potenze occupanti
EMANUELE GIORDANA *
«La famigerata prigione di Abu Ghraib, centro di tortura e
di esecuzioni di massa sotto il regime di Saddam, rimane ancora tagliata fuori
dal mondo. Il 13 giugno i detenuti hanno effettuato una protesta contro la
detenzione a tempo indeterminato e senza processo. Le truppe delle potenze
occupanti hanno reagito uccidendo una persona e ferendone altre sette». A
raccontarlo è Abdel Salam Sidahmed, vicedirettore del programma Medio Oriente di
Amnesty international , al rientro dalla sua missione in Iraq. E' una
delle tante violazioni delle regole del diritto dell'ultimo rapporto che
l'organizzazione umanitaria ha dedicato al paese. Nel suo rapporto («A vantaggio
di chi?» Diritti umani e ricostruzione in Iraq) Ai si concentra
sull'importanza di un reale processo di trasparenza nella ricostruzione del
paese, alla vigilia dell'appello che lunedì l'Onu lancerà per sostenere la
popolazione irachena. Ma prima di spiegare perché sia necessario rafforzare, tra
l'altro, un organismo autonomo di supervisione del Fondo di sviluppo istituito
dall'ultima risoluzione Onu, Amnesty fornisce altre notizie di violazioni
patenti. Si parla dell'uso delle cluster bomb (bombe a grappolo), che,
nel tempo, si trasformano in mine antiuomo. Ma anche di torture praticate dai
militari britannici che Ai ha denunciato al governo di Londra: dal 23
aprile scorso, inchieste a Bassora, Nassiriya, al-'Amara e Baghdad hanno
riportato testimonianze oculari di torture o maltrattamenti di detenuti. «In
alcuni casi - scrive il rapporto - l'uso eccessivo della forza a portato
all'uccisione di individui disarmati tra cui anche ragazzi». Inoltre, il fatto
che persone legate al Baath siano diventate una sorta di target
autorizzato, avrebbe portato a veri e propri omicidi per vendetta in tutto
l'Iraq. Centinaia sarebbero le vittime nel distretto a maggioranza sciita di
Baghdad, un tempo noto come Saddam City.
Il rapporto si concentra poi sui diritti economici degli iracheni: cioè sul
piano di ricostruzione ampiamente subappaltato ad aziende statunitensi di cui
viene fornita una lunga e accurata lista. Proprio su questo punto, il rapporto
solleva dubbi sulla mancanza di trasparenza nell'assegnazione degli appalti e
nella ricostruzione. Inoltre la mancanza di informazioni agli iracheni
negherebbe loro il diritto a prendere parte attiva al processo decisionale.
Quanto al Fondo Onu dove saranno versati i proventi derivanti dalla vendita del
petrolio, resta «sotto il chiaro controllo delle potenze occupanti». E persino
l'organismo «indipendente», che dovrebbe supervisionarne le spese, non è
chiamato direttamente a rispondere a livello internazionale. Poche garanzie
insomma: «Senza un meccanismo di controllo internazionale, non vi è alcuna
assicurazione che questi organismi garantiscanoo che i progetti di sviluppo non
finiscano per causare abusi dei diritti umani», aggiunge inoltre Umberto
Musumeci, della Sezione Italiana di Ai.
Il rapporto è solo una parte del lungo lavoro di Amnesty nel paese: una
delegazione appena rientrata ha riferito che le potenze occupanti non stanno
adempiendo alle loro responsabilità di assicurare sicurezza e benessere alla
popolazione, mentre continuerebbero ad essere agli arresti oltre 2000 iracheni,
trattenuti presso aeroporti e altri centri di custodia. A loro non sarebbe
consentito incontrare parenti e avvocati e di contestare sul piano giudiziario
la propria detenzione.
L'operazione di monitoraggio su quanto sta avvenendo sembra così sommarsi alla
raccolta di prove sui motivi veri che portarono in guerra Usa, Gran Bretagna e
alleati. E dopo che a Washington e a Londra si sono mosse le acque, con le
inchieste sulle armi di distruzione di massa mai ritrovate, qualcosa sembra
muoversi anche in Italia. Dopo che diversi parlamentari hanno subissato di
interrogazioni il governo, Pietro Folena ha avuto l'idea, assieme ad altri
deputati della sinistra, di presentare un disegno di legge per l'istituzione di
una commissione d'inchiesta. «Non solo lo hanno fatto Usa e Gb - dice Folena -
ma persino il parlamento spagnolo, non impegnato direttamente nel conflitto. Non
si capisce dunque perché anche in Italia non si debba sapere se il nostro
governo era effettivamente informato o se ha ingenuamente creduto alle bugie,
come appare siano state, fatte circolare da americani e britannici».
*Lettera 22