Il Darby della pace
Decine di migliaia in corteo fino alla base Usa: pacifisti vecchi e nuovi,
movimento e sindacato. E la bandiera arcobaleno supera la recinzione
LORIS CAMPETTI
INVIATO PISA
Di qua una rete di donne e di uomini, di ragazzini e ragazzine di tutti i colori
con un'idea fissa in testa che uguale per tutti: No alla guerra. Di là una rete
di metallo grigia, che circonda il buco nero della democrazia toscana: Camp
Darby. La rete grigia protegge un carico non simbolico ma concreto di morte da
centomila portatori di vita, oltre la rete ci sono i nostri poliziotti e
carabinieri che a loro volta proteggono i padroni a stelle e strisce innervositi
dai troppi ritardi, quelli dell'Onu ma anche quelli provocati dai portuali
livornesi che non caricano sulle navi le armi per uccidere il nemico iracheno, e
dei macchinisti che non vogliono trasportare merce bellica, e dei disobbedienti
che fermano i treni, di un opinione pubblica che della religione di Bush non ne
vuole sapere. A Livorno come in tutto il mondo. Alle 12 i prati di San Piero a
Grado già brulicano di gente imbandierata con i colori dell'arcobaleno. Si
mescolano generazioni diverse, ma sono i giovanissimi a tenere la piazza, pardon
i prati. Sono cattolici e non cattolici, sono americani «not in our name»
avvolti in bandiere statunitensi e «antiamericani» che cantano «Yankee go home»,
ci sono persino due gay che hanno il cartello che fa ridere americani e
antiamericani, recita così: «Yankee go home, restino solo quelli bonazzi e
disarmati». Ridono anche i dissacratori toscani con lo striscione «Yankee
levatevi di `ulo senza se e senza ma». Sono palestinesi e sono «ebrei contro
l'occupazione», sono kurdi di quelli turchi che le bombe in testa le prendono da
tutti e da tutte le direzioni. Sono persino rom che ancora ricordano le bombe
umanitarie del predecessore di Bush e dei suoi alleati, per fare un nome Massimo
D'Alema.
Alle 13 lo stradone e i prati sono pieni, si potrebbe già partire per andare a
circondare la base da buttare a mare ma da Pisa ancora arrivano autobus che
scaricano il popolo della pace proveniente dalla stazione, mentre i pullman da
Roma, da Brescia, dal Veneto ancora viaggiano in autostrada. Dalla Puglia non
arriveranno, «i compagni sono rimasti giù a fermare altri treni carichi di
morte». I Cobas prima vogliono buttare «a mare le basi» americane naturalmente,
ma «quando poi le camionette hanno fatto i caroselli / le compagne hanno
impugnato i bastoni dei cartelli». Bastoni in realtà non se ne vedono, tranne un
cordone più patetico che spaventoso di ragazzi duri con il casco giallo da
siderurgico in testa. I disobbedienti tra i fumogeni procedono in fretta, «curre
curre guaglio'». Procedono finalmente, perché alle 14 in punto si parte,
obiettivo Camp Darby. Tante le donne, in testa e in una coda che non s'è ancora
finita di formare, è la loro testa come ricordano slogan e cespugli di mimose o
cordoni soft di «donne in nero». C'è un corteo ufficiale, allegro ma incolonnato
e ci sono altri due cortei ufficiosi di ragazzi e meno ragazzi che sciamano
paralleli per i campi. Centri sociali tanti, social forum da tutta la Toscana ma
anche dalla valle Pellice, Pinerolo e Genova. Antagonisti pure, ci sono.
Ambientalisti molti, Verdi anche, comunisti da vendere, cattolici a loro agio
perché sono a casa loro. Escono fuori persino sigle e preistoriche che solo i
più vecchi ricordano. Un esempio? I «situazionisti» che ci fanno con Rete
Lilliput e Marx-leninisti? Rispuntano identità dimenticate, forse solo perché
hanno trovato un luogo e dei simboli in cui sciogliersi di nuovo: la pace, le
mille e mille bandiere e striscioni e collari e cavigliere d'arcobaleno.
E alla fine una bandiera della pace entrerà in qualche modo nella base
americana, portata da un velocissimo ragazzo forse passato da quel buco nella
rete ora protetto da militanti di varia natura, prima ancora che dalla polizia.
A volte le manifestazioni riescono col buco, come le ciambelle. Si parlano e si
accordano dirigenti della Cgil e dei Cobas e di Emergency (con tanti straccetti
bianchi che poi finiranno per addobbare la rete che protegge le vergogne
italo-americane), delle Rdb e della Rete Lilliput. Ci sono i mitici portuali di
Livorno, ma anche le non meno mitiche Rsu della Piaggio. E' straordinaria la
normalità con cui culture diverse si mescolano, senza ipocrisie, ma camminano
insieme. Oggi contro la guerra, domani per i diritti sociali e sindacali (la
Fiom non dimentica di ricordare che fra un po' ci sarà un referendum sull'Art.
18 in cui ci giochiamo molto). Sta diventando un'abitudine, ci si sopporta
perché ci si capisce tra diversi e diverse. Chi pensa che se nonostante il popò
di casino che si sta mettendo insieme la guerra ci sarà lo stesso allora sarà
stato tutto inutile, è un cretino. Il movimento sta facendo strada, sta
seminando come fanno gli agricoltori del «Foro contadino» che oltre a sparare
coriandoli multicolori getta semi di pace nel campo della guerra. Semina, questo
movimento, tra la gente normale più ancora che nelle organizzazioni. Per questo
chi dice «Fate l'amore non la guerra» si trova naturalmente a camminare con
disobbedienti e zapatisti e giovani comunisti e quant'altro. Ci sono anime
settantasettine, sessantottine (meno), c'è chi gioca con le parole: «No a Camp
Darby, si a campi d'erba».
Quanti siamo? Chi lo sa e chi se ne frega. Più di ieri meno di domani come sta
scritto sui baci perugina. I parlamentari amici (per fare due nomi, Cento e
Russo Spena) raccontano la loro visita alla base Ghedi, del «munizionamento
termonucleare» e dei tornado. Si va avanti fino al cancello d'ingresso della
base, i più giovani e con le scarpe più comode vanno ancora avanti, verso altri
chilometri, verso l'Aurelia e verso il canale Navicelli, la ruota di scorta del
sistema di trasporto bellico via mare con le gomme a terra, ma forse verrà
bucata anche la ruota di scorta. Dalle banchine di Livorno non si passa, forse
neanche da questo canale. Oggi tutto è pacifico, non si muove una foglia ma da
domani non si dovrà muovere un treno, una nave. Davanti all'ingresso della base
brucia un fantoccio con la divisa a stelle e strisce, gli americani con lo
striscione «Not in our name» non se ne hanno a male, loro sono i benvenuti e
tutti li applaudono. Si divertono persino due bambine in costume, qui in Toscana
il rispetto per la Quaresima è limitato, sembra carnevale. Si può essere
allegri, sereni e incazzati insieme? Si può, qui tutti hanno questi stessi
sentimenti addosso che si mescolano come le tante identità, anche quelle più
improbabili, sotto le stesse bandiere. Domani è sicuramente un altro giorno, nel
senso che il movimento avrà fatto un altro pezzo di strada.