Ken Loach: li fermeremo
«Se non possiamo fermare la guerra con la protesta, dobbiamo fare in modo che i
guerrafondai paghino la loro politica, hanno perduto ogni credibilità, non
possono più governarci». Il regista inglese a Roma, per il lancio del suo ultimo
«Sweet Sixteen», conferma la dura critica a Blair. «Politici come lui hanno
ucciso la socialdemocrazia»
CRISTINA PICCINO
ROMA
Sweet sixteen, la dolcezza dei sedici anni, anche se lo Sweet sixteen che
racconta nel suo ultimo film Ken Loach di tenero ha molto poco: provincia dura,
disoccupazione, marginalità, no future per i giovani protagonisti (tutti attori
non professionisti, trovati sul luogo) nella Scozia di oggi - a Greenock, non
lontano da Glasgow - che Loach e il suo sceneggiatore Paul Laverty hanno già
esplorato in My name is Joe, una delle zone più depresse della Gran Bretagna
dove si paga duramente l'alto prezzo della politica «sociale» di Blair. Famiglie
distrutte, ragazzini che finiscono nell'ingranaggio della delinquenza prima
ancora di rendersene conto, droga, madri poco più che bambine, violenze
casalinghe, nessuna istruzione, nessuna prospettiva per loro come è già stato
per padri e nonni. Unico pensiero fisso, fare soldi in ogni modo che tanto a
sedici anni sei già vecchio... Sarà questo che ha dato fastidio ai censori
inglesi? Sweet sixteen (esce il 21) infatti si è preso il divieto ai minori di
diciotto anni, la colpa una parola, «cunt» (traducibile in italiano con «testa
di cazzo») , «aggettivo che si addice così bene al nostro primo ministro»
sorride Loach nei saloni del British council di Roma, dove lo incontriamo. «Non
so se questo è il luogo giusto per dirlo» aggiunge. Il fatto è che nel film lo
dice un ragazzo che ha meno di sedici anni, la legge deve tutelarlo. «Tutto ciò
è un eccellente esempio dell'ipocrisia inglese, che poi in televisione gli
adolescenti hanno davanti agli occhi ogni violenza» ironizza ancora il regista.
Ipocrisia che lui, Loach, che da ragazzo sognava di essere attore per
rivoluzionare il teatro inglese, combatte da sempre in prima persona nei
fotogrammi spietati dei suoi film, dove si parla di working class e delle sue
trasformazioni in una Inghilterra che le affinità con gli Stati uniti le gioca a
cominciare dalla forbice sempre più netta tra povertà e ricchezza. Sabato scorso
Loach era in piazza a gridare il suo no alla guerra, una manifestazione di cui è
felice e che ha sostenuto con forza. «Per la Gran Bretagna è stato un evento
senza precedenti e il fatto che così tanti siano scesi in piazza ovunque mostra
in modo chiaro come la gente sia contro questa guerra. Che è illegale, immorale,
sporca perché non è stata provocata, e dunque i leader politici che gli daranno
sostegno non ci rappresentano più».
Bush, nonostante la manifestazione di sabato, non mostra di cambiare direzione e
con lui quei governi che si sono schierati a suo fianco.
I milioni di persone che hanno manifestato in tutto il mondo sono la prova
evidente che la stragrande maggioranza dei cittadini di tutti i paesi sono
contro questa guerra. Sappiamo che molto probabilmente ci sarà lo stesso, ma il
risultato ottenuto va analizzato in una prospettiva più ampia. Se non possiamo
fermare la guerra dobbiamo fare in modo che i guerrafondai paghino per la loro
politica, che alle elezioni vengano sconfitti. Ed è importante che per questo si
formi una coalizione ampia. Penso che siamo tutti consapevoli del loro cinismo
che si non preoccupa dei reali desideri espressi dai loro paesi. Ma a questo
punto non hanno più alcuna credibilità. Prendiamo la Turchia: è così evidente
che non aspetta altro che farsi riempire le tasche dai soldi americani. Si parla
molto delle decisioni dell'Onu, del consiglio di sicurezza e della seconda
risoluzione, ma un atto del genere può avere valore soltanto se non è frutto di
ricatti degli Stati uniti che già minacciano di ritirare gli aiuti o di
sanzionare quei paesi più deboli economicamente che si oppongano alla loro
guerra. Il consiglio di sicurezza dell'Onu non è al di sopra del diritto
internazionale, non ne rappresenta l'incarnazione, è soggetto anch'esso a questo
diritto. L'Iraq non ha dichiarato guerra o minacciato attacchi a qualche altro
paese, neppure Bush o Blair sono in grado di farci credere che stia preparando
un'invasione. Tutti noi sappiamo che questa guerra riguarda il petrolio e la
supremazia degli Stati uniti nella regione.
A questo proposito, crede che anche Blair come Bush utilizzi la guerra per
nascondere i problemi politici e economici del paese?
Mi piacerebbe pensarlo ma so che non è così, perché Blair a livello nazionale ha
un controllo completo, e non ha bisogno di «distrarre» l'opinione pubblica. Ci
sono due questioni più importanti, intanto gli Stati uniti sono dalla seconda
guerra mondiale il punto di riferimento politico per l'Inghilterra, e per quanto
riguarda Blair credo che anche lui come tutti i socialdemocratici ha deciso di
legare il futuro e la prosperità del paese al successo delle multinazionali:
fanno quello che vogliono, si sono messi al loro servizio. Mi sembra che questa
scelta abbia segnato la fine di un progetto capitalistico a vantaggio della
gente, come poteva essere appunto la socialdemocrazia. L'immagine della sua
morte la vedi nella collusione tra Blair, Aznar, Berlusconi e Bush.
A marciare per la pace, almeno a Roma, c'era un movimento con anime molto
diverse. E' anche la caratteristica dei Social forum, dove forse il punto in
comune è un'alterità rispetto alle forme tradizionali della politica.
Credo che siamo in un momento cruciale, tutto dipende dalla leadership che
questi movimenti riusciranno a esprimere. Il rischio è che diventino solo delle
manifestazioni dopo le quali si va tutti a casa. Può sembrare paradossale ma
grazie a questa destra, a Bush, Blair o Berlusconi la rabbia e la rivolta contro
la guerra hanno dato vita a qualcosa di grandioso e di straordinario. Penso che
sia fondamentale che le opposizioni riescano a unire le voci diverse espresse in
questi movimenti, chi combatte il potere delle multinazionali o la
privatizzazione, chi rivendica una politica sociale più solida, chi chiede un
salario più giusto per i dipendenti pubblici, chi lotta per l'ambiente, e
sarebbe tragico se così non fosse.
Cioè?
Non si deve lasciare spazio alle divisioni, non deve prendere il sopravvento la
frammentarietà di coloro che vogliono restare arroccati nei piccoli schieramenti
politici. E' invece fondamentale creare una base ampia di coalizione conto
questa destra. I movimenti contro la guerra e contro la globalizzazione portano
in strada sempre più persone, ma come ho detto siamo a un punto cruciale, in cui
devono svilupparsi e diventare anche qualcos'altro.
In «Sweet sixteen» la classe operaia di altri suoi film è scomparsa. I ragazzini
che racconta mostrano un'emarginazione che quasi non ha possibilità di rivolta.
E' il riflesso del suo paese oggi?
Mi viene in mente un ragazzo, lo abbiamo incontrato mentre facevamo il casting
per il film in una scuola. Gli ho chiesto `cosa speri di fare quando uscirai di
qui?. E lui mi ha guardato stupito dicendomi: `speranza?', questa parola nel suo
vocabolario non esiste. E' vero che il divario tra poveri e ricchi sta
diventando nel mio paese sempre più grande, come è anche vero che i problemi di
oggi hanno radici antiche, sono vent'anni almeno che il tasso di disoccupazione
non si abbassa anche se poi i nostri politici minimizzano. Diciamo allora che i
problemi si sono radicalizzati, è chiaro, una disoccupazione che dura da
venticinque anni coinvolge diverse generazioni. Nel film vediamo il ragazzo, il
patrigno e il nonno che vivono la stessa condizione. Il governo propone i corsi
di formazione, che sono sono un'altra forma di ipocrisia perché danno una falsa
speranza. La cosa più importante invece è far crescere una visione realistica
delle cose dove la speranza non è formare dei bravissimi falegnami che poi non
hanno possibilità di lavorare ma sono investimenti pianificati, è la possibilità
di restituire dignità a quei gruppi sociali più depressi... Ma il nostro governo
come credo il vostro sono incapaci di farlo.
C'è anche tra questi ragazzini la mancanza di una reazione politica, la loro
rabbia o la loro frustrazione non riescono a diventare altro.
Penso che in luoghi così impoveriti, e da tanto tempo, sia molto difficile
coinvolgere le persone in una qualsiasi attività politica. Prima c'erano le
vecchie industrie, i cantieri navali, poi li hanno chiusi e pian piano anche la
consapevolezza di una resistenza si è persa nel cinismo e nella disperazione. Il
fatto è che tutti quei ragazzi non riescono neppure più a immaginare percorsi
come trovare un lavoro, avere una casa, una famiglia... Ed è un peccato che
siano lasciati da soli perché poi hanno un'immaginazione meravigliosa, è davvero
criminale distruggerla per farne degli alienati.