Tratto da "Il Manifesto" del 11 Aprile 2004
DOMENICO STARNONE
Andiamoci cauti con l'aggettivo
possessivo «nostro». Facciamone un uso parco e oculato, perché di là, per quella
parolina, stanno passando e passeranno misfatti sempre più numerosi contro il
genere umano. Troppe cose vengono spacciate per nostre: la nostra civiltà, la
nostra religione, le nostre radici, il nostro paese, la nostra patria, il nostro
stato, il nostro governo, i nostri soldati. Impariamo a rigettare l'aggettivo.
Addestriamoci a chiederci: nostre di chi, di quale noi? Per allenarci cominciamo
dalla pasqua. Questa è una pasqua di morte violenta, senza nemmeno l'ombra della
resurrezione. La resurrezione anzi è così sbiadita che stenta a funzionare
persino come metafora. L'Africa non accenna a risorgere, non risorge l'Iraq .
Della pasqua perdura solo la sua premessa funerea: la vita aggredita, costretta
nelle galere, umiliata, torturata, distrattamente o calcolatamente tolta.
Perdura lo sterminio degli agnelli, il sangue a rivoli degli indifesi. Perdurano
festevolmente i cesari d'ogni risma, le loro corti grasse, i loro centurioni, le
soldatesche. Ma resurrezione niente, liberazione niente. Dai cieli chiusi e
sorvegliati ci si aspetta al peggio un aereo kamikaze da turismo.
E' questa la nostra pasqua? Se la città santa è blindata, se persino la metafora
della resurrezione è strozzata dalla militarizzazione, perché prenderci in giro?
La festa del tempo nuovo, della forza vitale e primaverile, è ormai come
intasata dalla morte. S'è persa la speranza di resurrezione, si macella e basta.
Ricordiamoci allora che non c'è pace pasquale se non nella finzione della tv,
che il governo della macelleria non è nostro, che i soldati che macellano non
sono i nostri, che non è nostro né il comando né l'obbedienza. Sscegliamoceli, i
nostri, non li subiamo per pigrizia, per persuasione occulta, per autorità. Il
comando è di Bush, di Berlusconi, di Blair, di tutti quelli che, assiepati
dietro una potenza di fuoco capace di annientare il pianeta, per dare una
lezione ai califfi in pectore hanno dissennatamente deciso di moltiplicarne il
seguito invadendo paesi e massacrando gli inermi, i disperati mal nutriti, male
armati. L'obbedienza è dei soldati che, partiti liberatori o pacificatori in
divisa e armi e il miraggio di qualche soldo in più, si sono trovati inchiodati
alla loro funzione primaria, buscarsi la paga uccidendo, versare sangue in modo
che poi il sangue ricada su tutti noi e per reazione ci imbesti più di quanto
non siamo già imbestiati, in un movimento all'infinito.
Altro che pasqua, dunque, altro che civiltà del Dio biblico, del Cristo. Il
meglio di quella festa e di quella tradizione è disperso, ridotto a favola di
gioia e di liberazione per i bambini e gli ingenui, i primi a essere massacrati.
La pasqua non è più passaggio, ma permanenza nell'orrore. E' ridotta allo
spettacolo adrenalinico e molto redditizio della carne martoriata, come in
Passion di Mel Gibson, film che non poteva essere pensato che oggi: torture,
sangue e, per finale, non il trionfo del buon pastore ma di un buon barbiere.
Il nostro tempo è questo? Noi apparteniamo a questa necessità di assassinio che
dà allo stomaco, siamo i mandanti, siamo i complici, siamo i finanziatori?
No. Certamente questi aspiranti governatori mondiali, alleati o in rissa tra
loro, non sono nostri. Sicuramente non sono nostri nemmeno questi soldati. Non è
nostro un mondo permanentemente in emergenza, votatato all'apocalisse
purificatrice. Ciò che è nostro, invece, non fa rumore e salva. Nostri sono
quelli che attraversano le strade insanguinate di Falluja a rischio della vita
per portare medicinali. Nostri sono quelli che ogni giorno subiscono o
fronteggiano gli effetti della smania di distruzione. Nostri sono gli ingenui
che credono alla confederazione di tutti gli esseri umani contro chi fa sonni
satolli e tranquilli di strapotere sopra arsenali da non dormirci la notte.
Quelli sono i nostri