LA   PIEVE

           

 

Pur disponendo di pochissimi documenti relativi all'alto-Medioevo sammarinese, vi sono alcune testimonianze che ci permettono di credere che già prima dell'anno Mille sul monte Titano vi fosse una pieve, ovvero un edificio ecclesiastico adatto a recepire una comunità parrocchiale piuttosto consistente.

 Prima della pieve pare che sul Titano fosse stato eretto un monastero, di cui abbiamo qualche traccia documentale a partire dal VI secolo, da cui la pieve stessa sarebbe nel corso dei secoli derivata per il naturale incremento della popolazione locale.

Vi è stato anche qualche studioso che ha ipotizzato che questi tipici luoghi di culto cristiano fossero sorti su precedenti siti rituali pagani, come poteva essere per esempio un'ara sacrificale pre-cristiana. Questa deduzione può avere una sua logica in quanto in tante altre zone geografiche dell'Italia, anche del circondario sammarinese, vi è stata una simile sovrapposizione, ed anche perché vi sono tracce che ci permettono di capire che il monte Titano era abitato già molto prima del periodo cristiano.

Comunque sia, di una pieve sammarinese abbiamo la prima menzione in un documento del 26 settembre 951, confermata poi in un documento del 1125. In questi secoli la pieve svolgeva sia funzioni religiose, sia civili, perché era la sede dove si riuniva l'arengo, ovvero l'assemblea dei capifamiglia, organo politico principale della comunità.

A parte questi pochi e frammentari dati, dell'antica pieve non conosciamo altro, né sappiamo se l'edificio demolito nel 1825 per sostituirlo con quello attuale fosse quella originale, come in parecchi credono, o un edificio trasformato, ristrutturato o ricostruito successivamente.

Della vecchia pieve disponiamo di qualche reperto, di alcune piantine disegnate prima della sua demolizione, e di una sommaria descrizione tramandataci da un prete vissuto durante il secolo scorso. In base a questi documenti sappiamo che essa era molto assomigliante a quella di San Leo: l'ingresso era situato tra la chiesa e la canonica e immetteva sul lato di una delle navate laterali. L'interno dell'edificio, scarsamente illuminato da piccole finestre, era caratterizzato da grandi pilastri che reggevano le arcate di ripartizione delle tre navate. L'altare era sopraelevato e protetto da una balaustra.

La chiesa aveva una superficie di circa 250 mq. e poteva contenere fino a 600 persone; al suo esterno disponeva di un portico e di un cortile che insieme misuravano circa 120 mq. Rispetto all'attuale pieve, quella precedente aveva il suo ingresso principale che si apriva sull'attuale contrada Omagnano, quindi rivolto verso oriente, come era richiesto dalla primitiva liturgia cristiana, ovvero indirizzato verso il Palazzo Pubblico. In pratica quando venne ricostruita la nuova chiesa, la sua facciata principale fu fatta ruotare di 90 gradi per fornirle la prospettiva che conosciamo noi oggi.

Fin dalla fine del '700 disponiamo di testimonianze che ci attestano il desiderio che stava emergendo tra i governanti sammarinesi di voler ripristinare l'antica pieve ridotta in uno stato molto vergognoso, come si disse all'interno del Consiglio nel 1807. Negli anni successivi del problema ogni tanto si tornò a discutere, sia per individuare il modo con cui rimediare i soldi per un'opera così ingente, sia per capire se era meglio ristrutturare la vecchia pieve o rifarla completamente, sia per altro.

Nel 1811 furono esaminati anche alcuni progetti preliminari, presentati dall'architetto Zoli di Forlì e Ghinelli di Senigallia, in cui s'ipotizzava sia di restaurare la vecchia pieve, sia di ricostruirla interamente. Si optò per la proposta di Ghinelli, propenso a demolire la vecchia chiesa, e gli si fece elaborare un progetto dettagliato. L'anno successivo l'architetto presentò il suo progetto ed i disegni della nuova pieve dalla fisionomia neoclassica, tuttavia, per motivi che non sono del tutto noti, il progetto Ghinelli non fu appoggiato dal Consiglio, per cui si accantonò l'idea di riedificare la pieve.

Per vari anni non si parlò più dell'idea: solo nel 1818 si tornò a discuterne per dire che, se si voleva intraprendere tale lavoro, vi potevano essere vari sistemi per rimediare il denaro necessario. Passarono però ancora vari anni di discussioni prima di poter realmente impegnarsi per rifare la nuova pieve. Nell'aprile del 1825 in Consiglio si tornò a dire che la vecchia chiesa minacciava in diversi luoghi evidente pericolo di rovina, e che il problema non si poteva rimandare oltre.

Vennero presi contatti con un nuovo architetto, Antonio Serra di Bologna, il quale, dopo aver visitato la vecchia pieve, suggerì di demolire quella più antica per ricostruirne una nuova in stile neoclassico in base ad un disegno che avrebbe presentato, ruotando l'ingresso principale di 90 gradi, come già aveva proposto Ghinelli, ed abbassando di circa tre metri il piano del monte su cui sarebbe stata edificata.

Nel novembre del 1825 si iniziò a demolire il vecchio edificio, ed in seguito s'iniziò a costruire la nuova pieve spesso riutilizzando il materiale ricavato dalla demolizione del vecchio edificio per economizzare i costi. La preoccupazione di risparmiare sulla spesa per la nuova chiesa fu costante per tutto il periodo della sua costruzione. Tuttavia l'opera costò una cifra spropositata per le finanze sammarinesi, da sempre assai modeste e adatte ad una economia che mirava alla semplice sopravvivenza di un apparato statale familiare e poverissimo.

Si spesero 40.557 scudi, cifra elevatissima se si considera che gli stipendi più consistenti che la Repubblica pagava ai suoi impiegati più titolati, come poteva essere il chirurgo capo, ad esempio, o il commissario della legge, non superavano i 200 scudi annui, mentre gli operai percepivano paghe di molto inferiori.

La costruzione della nuova pieve richiese molti anni per poter essere ultimata: solo il 5 febbraio 1838, infatti, venne aperta al pubblico, ma i lavori di completamento proseguirono fino al 1855, anno in cui essa venne consacrata dal vescovo del Montefeltro.

 

 

 

 

 

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