Paradossi

Di tutte le persone che ho conosciuto finora non ho ancora incontrato qualcuno la cui età anagrafica corrispondesse all'età psicologica. Chi è vecchio si sente giovane e chi è giovane si atteggia ad essere più grande oppure è più o meno maturo rispetto la sua età anagrafica.

Chi stabilisce che debba esserci un nesso fra la maturità mentale e l'età effettiva? Solo la legge, che dice che si raggiunge la maggiore età a 18 anni.

Secondo la legge a 18 anni l'uomo diventa capace di intendere e di volere e diventa responsabile davanti a i suoi simili di tutto quello che compie.

Forse è giusto dare un limite, ma perché non a 14 o a 24 anni?

Che differenza c'è fra una persona di 14 anni e una di 18?

Perché un tempo la maggiore età si raggiungeva a 21 anni?

Con quale criterio una persona di 25 anni è più matura di una di 18?

E le persone anziane?

C'è qualcosa negli anziani che riconduce ai giovani, qualche carenza fisica, il non voler sentire, la limitazione della memoria, il camminare insicuri sulle due gambe e i desideri irrealizzati che ritornano in mente.

Un anziano che è costantemente a contatto con i giovani difficilmente diventa vecchio, perché l'esperienza che può dare è di grande forgia, quando la cultura e il costante interesse per la vita perdurano in esso.

Vedo anziani stare brillantemente al passo con il progresso e ne vedo altrettanti soffocarsi nell'abbandono.

Vedo giovani invecchiare precocemente, per voler fare gli adulti al più presto e ne vedo altri stimolati nel partecipare creativamente alla vita della società.

Poi ci sono le persone che hanno dai 30 ai 60 anni.

Sono giovani o vecchi?

Anche qui ci sono le solite distinzioni, sono i managers della vita economica, dovrebbero essere coloro che portano avanti la baracca del mondo, ma quanti di essi sono già superati e altrettanti non sono ascoltati o rimangono nell'ombra per la paura di emergere o di non essere all'altezza delle situazioni.

Rimane il fatto che l'età psicologica di ogni persona è relativa alla propria mappa del mondo, alle persone che si frequentano, al comportamento assunto nella quotidianità.

Bisogna mantenere la mente agile e si impara a non "ingrassare" adagiandosi nella preoccupazione di avere uno stile adeguato all'età...

Il tempo, nostro nemico, sarà nostro complice, se abbiamo intenzione di arrivare dove ci siamo prefissi e possiamo imparare a sfruttarlo a nostro favore in ogni momento.

Per questo bisogna suddividere la giornata in momenti di responsabilità e momenti di svago, è importante trovare tempo per se stessi. Al mattino, appena alzati, si compiono delle azioni di routine che servono a mettere in moto l'organismo per affrontare il nuovo giorno e sono questi i momenti da rendere piacevoli per noi stessi.

Spesso, al suono sveglia, o si è in ritardo o si fa fatica a risvegliarsi in modo adeguato ed anche il tempo metereologico influenza lo stato d'animo.

Un'idea è: prima di lasciare il letto, stiracchiarsi dicendo: "oggi sarà una bellissima giornata, qualunque cosa accada!", fare tre respiri profondi e poi mettere i piedi per terra.

Quando andate in bagno guardatevi, per prima cosa, nello specchio e fatevi una grossa risata in faccia. Le prime volte costerà fatica, ma sentire il buonumore durante tutto il giorno e vi accorgerete, successivamente, di riuscire a ridere spontaneamente appena vi guarderete allo specchio.

Sicuramente con i problemi che occupano la mente questa idea può apparire strana e inutile, ma è meglio provare, qualunque sia lo stato d'animo del risveglio. Il ridersi in faccia predispone all'allegria e al sano umorismo.

Ci sono dei momenti in cui e ci sono dei momenti dove....

E’ sottile la differenza che distingue gli uni dagli altri, ma siccome, sia gli "uni" che gli "altri" sono numerosi, diventa difficile decidere "quale" momento e "dove" inventare il momento che... qualunque sia, va bene lo stesso, senza spiegazioni o emozioni.

L’importante non è vivere, ma respirare la vita come si presenta all’olfatto, alla vista, al tatto e all’udito, perché il gusto arriva sempre per ultimo!

Amico mio, è lento il tempo passato bene quando si sa come apprezzarlo e valorizzarlo e non si perde mai se nel ricordo rimane un sapore saporito....

Quando non si avverte che il tempo passa vuol dire che lo si sta utilizzando al meglio, ma soprattutto si è sereni, si è trovato un equilibrio interiore.

Quando si è giovani il tempo non passa mai, perché si vorrebbe diventare grandi in fretta e quando si è grandi sembra sempre che il tempo sfugga di mano.

Per far si che il tempo sia nostro amico bisogna viverlo in modo da non perderne dietro pensieri effimeri e illusori, ciò vuol dire vivere l'età, ogni età per quella che è senza sottovalutare i problemi che ogni età ci propone.

Spesso gli adulti denigrano i problemi dei ragazzi dicendo: "Che problemi vuoi avere tu che non hai altro da fare che andare a scuola?"

Ebbene, la scuola è un problema dell'età giovanile.

Perché no? Ci siamo passati tutti, ma spesso dimentichiamo l'ansia del giorno precedente l'interrogazione, la malavoglia di impegnarsi talvolta.

Qui occorre inserire uno scritto sul fattore età ed evoluzione della persona per capire che ogni età ha la sua difficoltà e in ogni età rimane un pizzico di ingenuità e di autenticità.

 

Alcuni Momenti della Vita

Facciamo una considerazione: quanti momenti importanti ci sono nella vita di ogni uomo?

Troppi.

Il primo è quando si nasce: ti danno un nome, ti nutrono, ti vestono.

In seguito cresci e ti mandano a scuola, a scuola ti chiamano per cognome e i compagni ti danno un soprannome.

Il secondo è quando diventi maggiorenne: io a 21 anni, i miei figli a 18.

Adesso hai imparato a nutrirti da solo, a vestirti da solo e devi cominciare a camminare da solo, così prendi la patente......

Il terzo è quando ti sposi.

Non lo sai ma passerai da una schiavitù ad un’altra, magari più piacevole, ma sempre con delle responsabilità, questa volta proprio scelti da te.

Il quarto è mettere al mondo dei figli, per decisione o a sorpresa.

Se sei giovane: sei incosciente, se sei vecchio.... i figli vengono male.

Adesso sei un genitore e lo sarai per tutta la vita, così come sei già per tutta la vita: figlio.

Chi insegna a fare il genitore? Si impara e non sempre ... bene.

Chi insegna a fare il figlio? Tu stesso, quando diventi genitore, perché cambi atteggiamento verso i tuoi genitori, e diventi il figlio modello, adesso che non ti serve più.

Solo quando sei genitore impari a essere anche figlio, perché capisci, ma è troppo tardi per fare il figlio e cercherai di imparare da solo a fare il buon genitore.

Il quinto, optional, ti dividi dal marito e, anche se non vorresti, lo devi fare, perché così lui si rifà una vita...con l’altra, che ha già trovato e tu..... anche, a malincuore ti ritrovi a doverti rifare una vita.

Coraggio, non è mai troppo tardi!

Comunque ti brucia e, nella vita di ognuno di noi, c'è sempre qualche sprovveduto amico che perde l’occasione di stare zitto consolandoti con la fatidica frase: non è mai troppo tardi per rifarsi una vita, sei ancora giovane e piacente...

Così ti ritrovi a «solo» trentasette anni, nel mio caso, a dovermi rifare una vita.

Che allegria!

Inoltre devi continuare a fare il genitore, anche se ridiventi figlio, perché ricominci a frequentare la casa paterna o materna qual dir si voglia, in più devi lavorare su te stessa per cercare di ricostituire tutto quello che hai perso nel frattempo: uno stipendio adeguato e l’entusiasmo di andare avanti...... da sola.

Questo è il  momento in cui perdono importanza figli, genitori e amici; decidi che tu sei sola (capita, di pensarla così!).

Il tempo, però, il più grande medico esistente, ti fa trovare qualcuno che ti vorrebbe sposare.

Adesso sei ritornata ad essere davvero figlia, scopri di essere ancora piacente e ti senti giovane, così smetti del tutto di fare il genitore, diventi amica e consigliera dei tuoi figli, e la tua casa si trasforma in luogo d’appuntamento per amici e non, perché si è scatenato in te il desiderio di frequentare tutti e tutti insieme.

Hai finito di essere sola! Ma comunque non ti risposi.

Sei in uno stato euforico di ritrovamento di te stessa e ti predisponi all'attesa, questa volta felice e senza ansia.

Ma ... attesa di che cosa?

In attesa che l’amore sfiori il tuo cuore, perché l’amore ti arricchisce e anche se non mangi non muori di fame e non te ne accorgi, ma se non dai da mangiare ai figli te lo ricordano loro, e qui ritorni ad essere genitore, il genitore che non può avere vita privata, il genitore che non può innamorarsi più, perché è già stato sposato ed è già stato innamorato, le avventure sessuali sono molto malviste dai figli, che "giudicano" e allora ti chiedi:

"Ma quando diventerò grande io? Quando non avrò più vincoli o responsabilità verso qualcuno?"

Quando eri figlia volevi fare il genitore, quando sei diventata genitore hai cresciuto i figli, adesso che i figli se ne stanno andando per la loro strada, non hai più il marito, non hai più l’amante, non hai nemmeno un fidanzato, perché quello con cui stai probabilmente è già sposato, allora ti accorgi che sei troppo vecchia per ricominciare e la voglia d’amore rimane chiusa nel tuo cuore eternamente giovane in un corpo ormai provato, ma mai stanco di sperare.

Eppure, sai già, che qualcuno un giorno arriverà e allora non ci saranno più né genitori né figli a fermare il tuo cammino e il tempo non avrà età.

Questo sarà il tuo momento!

 

Questione di punti di vista.

Se succedesse anche a te?

Pensa quante volte crediamo che le cose debbano capitare solo agli altri e a noi mai.

Invece quando succedono anche a noi diciamo: "Perché proprio a me?"

E perché no?

Quando mio marito mi lasciò rimasi talmente frastornata, che non mi posi neppure la domanda.

Oggi mi sono innamorata, come al solito, di una persona.....sbagliata, e perché no?

Chi sono io o cos’ho di diverso dagli altri perché non mi debbano succedere le cose che succedono a tutti gli altri?

L’amore, si sa, è irrazionale, colpisce al buio, ma, quando colpisce, lo si sente bene e si vorrebbe dire a tutti che si è innamorati, ma, talvolta, non si dovrebbe nemmeno dire al diretto interessato.

Soprattutto quando l’interessato è proprio disinteressato del soggetto....senza complemento.

Ma in amore si potrebbero portare tanti e tali esempi da annoiarsi.

Faccio due esempi: ti innamori di uno, sei ricambiata, poi scopri che...., anzi te lo dice lui,..... è sposato.

A questo punto ti senti indignata e offesa, ma lui ti consola dicendo che ormai il rapporto fra lui e la moglie è finito, che non hanno più nulla da dirsi e che presto la lascerà per cominciare una nuova vita con te.

Passa il tempo, sei consolata, il vostro rapporto si consolida, ma lui non lascia la moglie e si giustifica dicendoti: "Le ho parlato, ed è entrata in crisi, sai, poverina, ha molto bisogno di me, ma non temere, tra noi può continuare così come adesso, sai che io ti amo ..." ecc. ecc. ecc.

Il gioco continua a tre, la moglie è sempre stata ignara e tu ti ritieni, ignara dell’ignaro, fortunata di aver trovato un uomo così onesto e sincero.

L’altro esempio: c’è il tipo che ti dice subito: "Io sono felicemente sposato e non lascerò mai mia moglie".

In tal caso scatta la molla della rivalità, prima o poi lo avrai tutto per te, magari sei più giovane, senz’altro più carina, tu sei indipendente.

Per il momento però ti va bene così, del resto non vorresti mai rovinare una famiglia, lui esce anche con te e tu ti accontenti.

In fondo al cuore speri sempre che lui la lasci e lotti con vigore, soffrendo dentro di te disperatamente, sopportando una relazione in cui lui ti parla sempre della sua famiglia, perché tu sei una donna che capisce e sei tutta d’un pezzo, hai il tuo lavoro, hai la tua indipendenza ed è per questo che sta con te.

Il poverino non saprà mai quanto ti senti "sfortunata", durante i week-end, che passi regolarmente «sola» continui a ripeterti "Ma perché proprio a me doveva capitare uno sposato... ...felicemente?

Quando è la donna invece a creare la formula "fortuna" o "sfortuna" o "proprio a me doveva capitare", la cosa cambia, innanzitutto, se la donna non è un manager o non è sufficientemente autonoma da gestire il suo tempo a dispetto o a favore del marito, diventa veramente problematico avere un amante e succede che la famiglia si sfascia quasi sempre.

Nel caso in cui c’è possibilità di avere un amante l’astuzia femminile raggiunge il massimo della perfezione.

La donna che tradisce è più scaltra dell’uomo e difficilmente si lascia scoprire, perché in casa è sempre allegra, sempre motivata a fare qualunque cosa per la famiglia e soprattutto sempre pronta a soddisfare le esigenze sessuali del compagno.

La donna che ha l’amante si sente sempre appagata, sicura di sè, non si cura molto se qualcuno soffre, mette sempre davanti il fatto di essere sposata.

Stiamo parlando di casi in cui non si pensa proprio a dividersi dal compagno scelto per la vita, si parla di casi in cui il diversivo diventa la scusa per ravvivare il rapporto di coppia.

In questi casi abbiamo l’uomo oggetto, l’uomo che non deve interferire nella vita privata della donna, ma se la situazione cambiasse per la coppia clandestina allora potrebbe essere il caso di asserire: "Proprio a noi doveva capitare?"

E perché no?

In questo caso la valutazione di cambiare partner diventa complicata, poiché le situazioni di convivenza dopo un po’ vengono a noia e con qualunque altra persona (dopo un periodo magico d’amore profondo e convinzione di aver finalmente incontrato la persona giusta) si ricreano l’abitudine, la quotidianità, la noia, allora si continua a cercare al di fuori quel qualcosa che possa dare vitalità rinnovata alla coppia, magari ricreando una situazione analoga col partner abbandonato.

E il cerchio non si chiude, ma viene in mente un’altra riflessione del tipo: "Chi me l’ha fatto fare di lasciare mio marito per questo qui?"

Dimostrazione che la "fortuna" o la "sfortuna" è solo frutto del nostro comportamento nei confronti degli altri e della considerazione che abbiamo di noi stessi.

In altre situazioni invece l’essere fortunati viene usato impropriamente.

Ospedale: malato con gamba in trazione, braccio ingessato, testa fasciata.

Entra l’amico: "Ciao, però sei stato fortunato", gli improperi dell’incidentato non si possono udire chiaramente perché la bocca è bloccata dall’ingessatura.

Sono punti di vista, lo so, in quell’incidentato avrebbe potuto anche rimanere ucciso, ma, siccome si è salvato, non l’ha pensata certo così.

E’ la stessa differenza del vedere un bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, l’ottimista lo vedrà sempre mezzo pieno.

Oppure quando sta per finire qualcosa di buono da mangiare, invece che è quasi finito, l’ottimista dirà: "Ce n’è ancora!"

Per non parlare poi dei "E’ capitato anche a me!".

In contrapposizione al primo tema abbiamo ore la consolazione o la seccatura di avere qualcun altro a cui è capitato quello che stiamo vivendo noi.

Siccome ognuno di noi ritiene di essere la persona più importante della terra e in ognuno di noi c’è questa sensazione di unicità, che io condivido perfettamente, dividere con qualcuno la pena o la gioia, perché è già successo anche a un altro è fastidioso.

Bisogna essere franchi ed asserire che ognuno di noi, anche nella disgrazia, vuole avere il privilegio dell’esclusiva ed essere consolati con la frase: "quando è successo a me, avrei voluto morire!", costui non sa che tu sei già morto e stai soffrendo molto più di lui.

Ti ritrovi così a dover ascoltare l’esperienza di chi ha già vissuto quello che stai passando tu, con la convinzione che questo non ha capito niente.

Esempio: dico a un’amica: "Ho subito un’operazione e la sfortuna ha voluto che....mi saltasse un punto, mi svegliassi durante l’anestesia, mi creasse scompensi ecc." Invece di ascoltare e basta o magari dire "Poverina, chissà come sei stata male!", no.

Nel migliore dei casi ti senti rispondere: "Ma dai, succede a tanti, abbi coraggio!", altrimenti dovrai ascoltare il racconto della sua di operazione e del consulto che hanno fatto i medici che l’hanno assistita, perché il suo era un caso veramente speciale e non c’era un infermiere che non fosse al corrente della sua situazione.

Così, tu che ti senti a pezzi, che hai voglia di essere, almeno per una volta, al centro dell’attenzione, ti ritrovi a doverti convincere che in fondo tu sei stata "fortunata" a riprenderti così in fretta.

Nei casi, invece, di una gioia o di un riconoscimento, dovrai sopportare i consigli di chi ha già avuto l’esperienza e ti insegna a non commettere errori, così tu, che stai vivendo un momento di gloria e avresti voglia di essere solo adulato, ti ritrovi a dover condividere il tuo merito con qualcun altro.

Infatti la storia vuole che i propri meriti debbano essere sempre e comunque da attribuirsi in parte a coloro che ci stanno vicini o ritengono di esserci stati vicini, si sentono quindi autorizzati a rispondere per noi, a raccontare i fatti nostri e soprattutto sono gli unici che "ci conoscono molto bene!", sicuramente molto di più di quanto noi possiamo conoscerci.

Questi scritti paradossali sviluppano il tema della "fortuna o sfortuna" (quindi il dare agli altri la colpa di quello che accade) e suggeriscono, sempre paradossalmente una conclusione: "Se ognuno si facesse i fatti suoi, una volta tanto, le cose andrebbero meglio per tutti!", ma vogliono anche far riflettere sul fatto che se ognuno prendesse la propria responsabilità di vita, in ogni momento della vita, si otterrebbe almeno un risultato: di essere grati a se stessi perché in grado di risolvere i propri problemi.

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