La storia della mia vita

  La Nascita

Le origini della mia vita si perdono nelle infinite distese del deserto di El Hamza, ad Agrabah, perla d'Oriente, città del mistero e degli incantesimi, nonché di ricchi mercati, meta fissa di tutti i nomadi della regione.
Primogenita del Sultano Tuareg e di un’elfa proveniente dalle non lontane terre di Lot,crebbi insieme a mio fratello gemello, Silmur, all’interno della prestigiosa città.
Grande guerriero era mio padre, figlio del vento e delle stelle, capo del popolo Tuareg, popolo nomade, signori incontrastati del deserto, unici capaci ad adattarsi alle proibitive condizioni ambientali dell’immenso “mare senz’acqua”. Interminabili cavalcate su dromedari, e viaggi faticosi sotto il sole cocente trasportando oro, sale, spezie, stoffe e avorio, alla perenne ricerca di sorgenti e corsi d’acqua. La città di Agrabah, fondata da mio padre, costituiva il loro quartier generale, da qui gestivano la distribuzione delle loro mercanzie. Viva nella mia mente l’immagine di lui, elfo alto e possente dal tipico incarnato blu del suo antico popolo,dai lunghi capelli neri sempre annodati in una lunga treccia, avvolto negli scuri abiti e nell’inseparabile turbante che solo gli occhi lasciava scoperti, profondi e scuri che sembravano in un sol sguardo poter penetrare i pensieri più nascosti di chi li incrociava. Al fianco la scimitarra dall’aurea impugnatura che assieme a lui molte battaglie aveva combattuto. Imperturbabile ed estremamente dolce ma duro nella gestione della nostra istruzione e nell’insegnamento dei valori che il suo popolo tramanda: forza, onore, lealtà, fedeltà, ma soprattutto libertà. Affiancato da colei che come un’ombra lo seguiva, come il più fidato dei segretari lo consigliava e come la più dolce delle donne lo amava, mia madre, giovane elfa proveniente dalle terre di Lot a occidente del deserto. Bellissima e delicata, chiara come la pallida luna nel pieno del suo splendore, argentei i lunghi capelli, violacei gli occhi ed infinitamente dolci. Ci iniziava ai culti pagani, donandoci infinito amore. Ci parlava della Madre Luna e del Padre Sole e della Natura tutta, che ci avvolge accompagnando il nostro cammino al limitar dei secoli, di come vada difesa e venerata. Elfa Edhel diceva di essere, portava tatuata sul polso destro una falce di luna che sovente mi fermavo ad ammirare ascoltando gli infiniti racconti sulla sua terra, loco dove tutte le razze esistenti convivevano in pace, in armonia..e io mi domandavo come ciò fosse possibile e non di rado, di notte alzando gli occhi al cielo stellato e alla candida luna fantasticavo su quel Granducato avvolto da mistero.
Io e mio fratello nascemmo dunque sotto il segno della luna, che sempre accompagnò in seguito i nostri passi, guidando le nostre scelte. La vita nel deserto trascorreva felice, lenta, meravigliosa..il significato di parole come dolore, sofferenza, malattia, morte non ci sfiorava neppure..vivevamo in un autentico paradiso, finchè un giorno…

  L'Attacco

Era l’ora in cui il sole raggiunge il suo apice massimo, il caldo si faceva soffocante, impedendoci di uscire, l’acqua scarseggiava, quando d’improvviso dalle dune circostanti, un’orda di razziatori, popolo insediatore fino ad allora sconosciuto, aggredì la città mettendola a ferro e fuoco. Poco potè fare per difesa della splendida oasi il popolo Tuareg, in breve Agrabah cadde rovinosamente, innondata dal sangue dei nobili e valorosi guerrieri che sacrificarono la loro vita nel tentativo di metter in salvo donne e bambini. La città fu straziata, chiunque ucciso, al calar della sera della perla d’Oriente non rimaneva che un cumulo di macerie. Riuscii miracolosamente a fuggire dopo aver assistito all’assassinio dei miei genitori ma durante l’ottenebrata fuga persi le tracce di mio fratello.
Annientata dal dolore, facendo leva su tutto ciò che i miei genitori mi insegnarono, trovai il coraggio e la forza di andare avanti. Subito decisi di raggiungere le terre che mia madre tanto declamava nei suoi racconti, il Granducato di Lot, ma i confini a occidente erano purtroppo bloccati da continue scorribande fin troppo pericolose per una giovane e sola elfa che per la prima volta si affacciava al mondo al di fuori delle rassicuranti mura di Agrabah. Raggiunsi la costa, a sud e da li mi imbarcai alla volta dell’isola di Sole. Volevo far passare del tempo prima di allontanarmi ancora, cercavo notizie sulla mia terra nell’illusione che non tutto fosse perduto. Trascorse una stagione ma nulla seppi se non che il popolo Tuareg era stato sterminato, la magnifica Agrabah rasa al suolo. Si mormorava che nessuno fosse scampato allo scempio..ma io sapevo che così non era. Di notte strani sogni turbavano i miei sonni, di giorno sensazioni e presagi..sentivo che mio fratello non era morto, era vivo disperso chissà dove, ascoltavo dentro di me il suo respiro. Rimasi per un anno intero nella gioviale isola che mi accolse a braccia aperte seppur alcuni diffidavano del mio aspetto, del mistero che aleggiava attorno al mio arrivo e attorno al mio passato avvolto da fitta nebbia. Entrai a lavorare presso una bottega d’arte per fuorviare i sospetti che sempre più si attanagliavano su di me. Dipingevo il mare, l’infinita distesa d’acqua, che mai prima avevo visto e che tanta impressione mi fece. Strinsi amicizia con dei marinai, elfi grezzi ma di gran cuore che mi aprirono gli occhi sui molti orrori che da lì a venire avrei incontrato.
Trascorso quel tempo, decisi di riprendere il viaggio, dovevo raggiungere il mio obiettivo, al granducato avrei potuto iniziare una nuova vita, ricercare le mie origini materne..il deserto era ormai per me un ricordo lontano, una terra che mi aveva donato i migliori natali ma da cui ora ero bandita.
Dall’isola di Sole di nuovo attraversai l’oceano per raggiungere i Colli di mezzo,nuove avventure mi attendevano, nuovi pericoli, ma anche nuovi incontri..
Il viaggio fu duro ed estenuante, lungo tempo trascorse prima di arrivare presso i confini del Granducato. Durante le impervie vie degli alti e innevati monti conobbi al fame, la sete, vidi la povertà e le ingiustizie, le violenze di cui son capaci le umane genti..il bene e il male si alternavano davanti ai miei occhi mettendomi di volta in volta di fronte a scelte da compiere, scelte non sempre facili..l’Equilibirio a mia insaputa gettava in me il suo seme.
Al termine del viaggio, che finalmente giunse all’inizio dell’estate, mi ritrovai ai confini delle terre di Lot cresciuta, mutata non solo nell’aspetto ma anche nell’indole, temprata dall’esperienza, salda e forte più che mai dei valori Tuareg tramandatimi dal mio ormai defunto padre; attraversai i confini nel ricordo dei racconti di mia madre, speranzosa di trovare asilo nella cosmopolita cittadina.