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Nato ad Orange County, California, nel 1966, figlio del grande Tim Buckley, morto di overdose nel 1975, Jeff fece i suoi esordi nella scena Newyorkese, nei primissimi anni '90. Fu presto notato grazie grazie alle sue enormi doti naturali, e presto ottenne di poter registrare il suo primo lavoro discografico: Live at sin'è, pubblicato dalla Columbia nel Dicembre del 1993. L'Ep riprendeva Jeff dal vivo in uno dei club di New York dove più spesso aveva suonato nei suoi anni di gavetta, nell'interpretazione di "Je N'en Connais Pas Le Fin", un pezzo di Edith Piaf, di "The Way Young Lovers Do" di Van Morrison, e di due pezzi originali: "Mojo Pin" ed "Eternal Life". La promozione di Live at sin'è lo spinse ad un lungo tour in Europa e in Nord America. Durante l'autunno dello stesso 1993, però, Jeff Buckley entra negli studi di registrazione per il suo primo album: quel "Grace" che resterà per sempre tra i grandi capolavori degli anni '90, che porterà a Jeff i favori del pubblico e della critica di tutto il mondo. L'album, oltre a sette pezzi originali, comprendeva tre cover, tra cui probabilmente spicca la meravigliosa "Hallelujah", di Leonard Cohen. Alla pubblicazione dell'album seguirono oltre due anni che Jeff passò in tour con la sua band, in giro per il mondo. Nei primi mesi del 1996, al termine di una serie di show in Australia, il batterista Matt Johnson lasciò la band. Sempre più spesso, nei mesi successivi, Jeff suonò da solo, in spettacoli a volte improvvisati, neanche annunciati ai fan, a volte. Sempre più evidente si fa la voglia di sfuggire ai meccanismi dello show business, a quel senso di oppressione rappresentato anche dall'ombra del padre, quel padre che Jeff disse di avere incontrato un paio di volte al massimo, di non aver mai conosciuto davvero. Nel 1997 Jeff ritorna negli studi di registrazione, per un nuovo album che avrebbe dovuto chiamarsi "My sweetheart the drunk". Delle canzoni registrate in quelle sessioni Jeff non fu mai contento, tanto che, quando queste furono pubblicate presero il nome di "Sketches for my sweetheart the drunk", un album nel quale molti pezzi suonano ancora degli incompiuti, mentre solo alcuni possono essere considerati dei veri capolavori. Jeff Buckley non portò, quindi, mai a termine il suo secondo album: Giovedì 29 Maggio 1997 mentre era sulle rive di un canale, a mezzo miglio dal Mississippi, entrò in acqua, completamente vestito, per fare il bagno. L'ultima persona a vederlo vivo fu l'amico Keith Foti, lo vide nuotare sulla schiena, e cantare, prima che le onde causate dal passaggio di una barca, lo portassero via. Al passaggio dell'imbarcazione, Foti si girò per mettere lo stereo portatile che avevano con loro al riparo dalle ondate, ma quando riportò gli occhi sulla superficie dell'acqua, Jeff Buckley già non si vedeva più. Vane le ricerche. Il corpo di Jeff verrà avvistato tre giorni dopo, ancora vestito come poche sere prima. Gli esami tossicologici evidenziarono che Jeff Buckley non aveva bevuto, quella sera, e né, tantomeno aveva fatto uso di droghe.
La morte di Jeff restò priva di spiegazione, incomprensibile, come tutte le grandi tragedie che colpiscono senza avere un perchè, e che per questo motivo fanno ancora più male.
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