ITALA MELA
Festa di S. Luca
Evangelista, 1936
INDICE Gloria
Tibi Trinitas 1. Il Peccato 2. La Preghiera 3. Il Raccoglimento 4. Il Silenzio 5. La S.Messa 6. La S.Comunione 7. L'Ufficio Divino 8. L'Orazione 9. La Carità 10. L'Umiltà 11.L'Abbandono 12.Le Virtù Religiose 13.La Mortificazione e il Dolore Preghiera alla SS.Trinità "Gloria
Tibi, Trinitas" Vivere l'Inabitazione è vivere il proprio Battesimo. Sarebbe un grave
errore credere che il richiamare le anime a nutrire di questo mistero
adorabile la loro vita, sia il richiamarle ad una "devozione" speciale:
è piuttosto un invitarle a vivere della grazia che il Battesimo ha loro
donato, a penetrare la realtà divina promessaci da Gesù: Veniemus et apud eum mansionem faciemus (2). Noi dimentichiamo troppo
che Gesù stesso ci ha lasciato questo insegnamento ed ha istruito i discepoli
su questo mistero prima di lasciarli (3): non dimentichiamo che la grande
"istruzione" religiosa lasciata dagli Apostoli ai primi cristiani
consisteva in un richiamo incessante a questo dono divino che col Battesimo
avevano ricevuto (4). L'attingere nel seno della Trinità augusta la luce che
ci illumina nell'ascesi non è cosa nuova; anche in questo possiamo dire di
Gesù: exemplum dedit nobis (5).
Sarebbe interessante ricercare nel Vangelo tutti i passi che ci tramandano
l'insegnamento "trinitario" del Maestro; ma basterà ricordare che,
quando Gesù volle esortare gli Apostoli alla perfetta carità, quando volle
ottenere a loro la grazia, attinse nel seno della Trinità SS. l'esempio: ut unum sint, sicut ego et tu, Pater (6). S. Paolo ripeteva
incessantemente ai suoi discepoli il suo mirabile templum Dei estis (7) e lo commentava nelle sue Epistole, senza
temere di illuminare le anime ‑pur indotte, appena "iniziate"
‑ sul dogma più dolce, il possesso del Signore, uno e trino, nel loro
santuario spirituale. Il tono delle nostre istruzioni religiose s'è di molto
abbassato, in genere: si ha paura, si direbbe, a ricordare alle anime il loro
dono, e spesso si preferisce deviarle verso devozioni che, pur essendo buone,
non sono essenziali. Capita così che molti religiosi stessi, molte persone
piissime e starei per dire molti sacerdoti ignorino praticamente l'Inabitazione. La loro conoscenza dei dogma è
puramente teologica ed astratta: non ignorano che Dio è in loro, con una
presenza spirituale perenne (finché possiedono la grazia), ma non pensano
minimamente a mettere a frutto nel loro sforzo ascetico questa ricchezza. La
loro "strategia" spirituale è spesso complicata; ma, mentre
compiono tante opere meritorie, dimenticano di rivolgere un semplice sguardo
di riconoscente amore a colui che della loro anima ha fatto il suo santuario
(8). Dio ha voluto vivere nella intimità più stretta con
noi. Non si è accontentato di lasciarci nell'Eucarestia la possibilità di
ricevere per pochi istanti nel nostro cuore il Verbo umanato, ma ha voluto
che, scomparsa la presenza "fisica" del Cristo (9), l'anima non
restasse vuota o sola, ma godesse della presenza delle tre Persone senza
interruzione. E mentre Dio ci elargisce questa intimità, noi ci rifiutiamo a
gioirne, ad attingere in essa quei doni di luce e santità che essa invece è
destinata a portarci. Illuminare
le anime su questo grande mistero, renderlo loro "sensibile" per
così dire, è una grande opera. E' il continuare e il commentare l'o
(2) Giov. 14, 23. (3) Nell'ultima Cena. Cfr. Giov. cc. 14‑17 (4)Rom.
5, 5; 8, 9‑27; 1 Cor. 2, 3; 3, 16 s.; 6, 19; 2 Cor. 1, 22; 5,
5; Gal. 4, 6; (5) "ci ha dato l'esempio‑ Cfr. Giov. 13, 15. (6) Giov. 17, 21. (7)"Siete tempio di Dio" Cfr. 1 Cor.
3, 16 s.; 6, 19; 2 Cor. 6, 16; ecc. (8) Itala
fa qui, più che un rimprovero, una costatazione amara. Ella aveva fatto, agli
inizi della sua vita spirituale, la triste esperienza di S.Teresa d'Avila.
Racconta la Santa (Autobiografia c. 18, n. 15) di essersi presentata ad un
teologo per esporre il "senso" di una presenza di Dio in sé, onde
avere consigli sul modo di comportarsi. Quel teologo ("medio
letrado", semidotto) sentenziò che Dio "non stava nell'anima se non
per mezzo della Grazia", e cioè che nell'anima c'era solo un effetto
dell'azione di Dio (la Grazia, appunto), non Dio personalmente. S.Teresa
commenta: "Io non lo potevo credere, perché mi sembrava che Dio fosse
veramente presente, e ne sentivo pena. Finalmente un gran teologo dell'Ordine
glorioso di S.Domenico mi tolse da questo dubbio, dicendomi che Dio è
effettivamente presente, e spiegandomi come si comunica a noi. E ne rimasi
consolata". (9)"Presenza fisica", "Presenza
spirituale": entrambe sono presenze reali e personali, ma qui, per
presenza "fisica" Itala intende presenza anche del corpo,
dell'umanità, di Cristo, presenza del Verbo Incarnato, in contrapposizione
alla presenza, reale anch'essa, della sola divinità quale si ha nell'Inabitazione. E' chiaro che qui Itala non usa una terminologia tecnica
scolastica, ma adopera la parola della lingua italiana secondo l'uso corrente
per indicare un fatto: la presenza reale del Corpo di Cristo nell'Eucarestia,
che viene a cessare con la corruzione delle specie del pane, mentre la reale
presenza delle tre Persone divine in forza dell'Inabitazione rimane (cfr. il
periodo seguente e in seguito, al n.
3 Il Raccoglimento: per troppo poco
tempo possiamo adorare presente in noi il Verbo fatto carne, mentre sempre
possiarno adorare in noi presente il Verbo nella sua unità col Padre e con lo
Spirito Santo). (10) S.Paolo
concepisce il Battesimo come una specie di innesto che ci unisce vitalmente a
Cristo, in modo da fare scorrere in noi la "1infa" della vita
divina (Cfr. Rom. 6, 5; 11, 17-24). (11) Giov.
14, 23. L'anima che ha compreso di portare in sé un dono
ineffabile nel Dio uno e trino, giunge spontaneamente, non più per timore, ma
per amore, all'odio della colpa. Il peccato grave le appare come una orribile
profanazione del templum Dei vivi (12).
Se la profanazione del tabernacolo, in cui Gesù riposa, le si presenta
come una spaventosa follia, non meno grave le sembra lo strappare a se
stessa, perdendo la grazia, l'Ospite divino. Che la Trinità si ritiri da lei,
che un abisso si frapponga fra se stessa e colui che a lei s'è donato, e di lei
ha fatto il suo abitacolo, le appare una mostruosa ipotesi. L'anima comprende
che è più comprensibile sacrificare ogni desiderio umano, ogni affetto, ogni
cosa più cara, piuttosto che sacrificare il possesso di colui che la
divinizza. Il "piuttosto la morte che il peccato mortale" non le
appare più come una frase retorica e troppo facile a essere ripetuta senza
convinzione, ma come l'espressione di un convincimento profondo, d'una
volontà incrollabile. Nelle prove e nelle tentazioni l'anima si stringe a Dio,
fa del suo centro la sua roccaforte, cerca di penetrare nel mistero
trinitario il segreto dell'amore che l'ha redenta e che la vuole glorificata
nei cieli e attinge in questo contatto col segreto di Dio la forza per
resistere al nemico. Essa contempla il Padre che l'ha creata e l'ha donata al
Figlio perché la redimesse; contempla il Verbo che perpetua nel seno della
Trinità la sua offerta al Padre per la salvezza degli uomini; contempla lo
Spirito Santo che la santifica, che l'ha precedentemente arricchita del sacro In questa luce lo stesso peccato
veniale e l'imperfezione avvertita (15) le appaiono molto più gravi di
quello che prima pensava. Anche un piccolo "no" all'amato,
posseduto in ogni istante,le sembra ben triste cosa. Per
quanto i piccoli "no" non privino
l'anima dell'Ospite divino, la privano tuttavia d'un possesso più intimo di lui e del suo amore, e risuonano come una
voce irriverente nelle profondità santificate dal Quanto più l'anima penetra il suo dono, tanto più è
trascinata non solo a disubbidire in nulla a Dio, ma ad essere docile ad ogni ispirazione. La voce dello Spirito Santo le si fa
sentire di più in più: lo Spirito dell'amore
le chiede le opere dell'amore. Piccole o grandi, non importa: esse
hanno un valore infinito (16) in quanto le sono suggerite da lui, e il più piccolo "sì" dell'anima è un'offerta
celeste in sinu Trinitatis. L'anima
lo pronuncia stretta al Verbo negli ardori dello Spirito Santo; e allora il piccolo "sì"si
perde nell` "Amen " perenne che a nome di tutti i redenti il Verbo
fa risalire al Padre. Il "si" diventa degno di essere
presentato al Padre stesso: il Padre si curva con amore immenso sull'anima
che ha voluto così testimoniargli la sua fedeltà, secondo le sue piccole
forze. E perché ogni si per quanto minimo, aumenta per l'anima la donazione
della carità divina, stabilisce fra lei e la Trinità rapporti più stretti
d'amore e d'ineffabile intimità. (12) 2 Cor. 6, 26. (13) Il "sacro settenario" (cfr. il testo latino della Sequenza di Pentecoste, strofa 9), è costituito dai sette "doni dello Spirito Santo", i quali sono disposizioni soprannaturali che lo Spirito Santo, donandosi a noi nell'Inabitazione, infonde in noi, ci dona, perché noi possiamo accogliere, senza resistenze, la sua azione santificatrice. Sono in realtà il risultato di un profondo amore per Dio, infuso e accresciuto da Dio stesso, che ci mette in "sintonia" con l'Amore infinito che è lo Spirito Santo, e ci rende docili alle sue ispirazioni e mozioni, al di là delle intuizioni e motivazioni puramente umane. In Itala questa realtà dei "doni" dello Spirito Santo sembra trasparire nel suo atteggiamento e nel suo comportamento costante, specialmente negli ultimi anni (cfr. "amore Supernae Caritatis inclusa",pp.234-240). (14) V. nota 9. (15) L'imperfezione morale avvertita è l'omissione di un bene migliore che percepiamo come tale, per noi, ora, mentre preferiamo scegliere un bene minore. Nel dialogo d'amore tra Dio e noi, l'imperfezione è, in fondo, il rifiuto di un dono più grande che il Signore ci offre, per sceglierne uno minore, ma secondo il nostro gusto, è l'espressione della nostra volontaria non disponibilità totale alle altezze divine. (16) Itala
stessa spiega il significato di quello che chiama "Valore
infinito": non siamo certo noi a conferire questo valore alle nostre
azioni, ma lo Spirito che è in noi. In forza dello Spirito Santo che ci anima
la nostra vita, anche nelle più umili manifestazioni, diventa
"spirituale", e partecipa della
dignità, certamente infinita, dello Spirito Santo, che la introduce così nella vita trinitaria. 2. La Preghiera. 3. Il Raccoglimento (18) Cfr.
nota 9. 4. Il Silenzio Sono queste le ore in cui l'anima può più liberamente
prendere contatto col Signore e abbandonarsi alla gioia dell'intimità con
lui, gioia non sempre sentita, ma sempre voluta dall'anima
consapevole del suo dono. Silentium
tibi laus (19). La fedeltà a tale mortificazione può portare
all'anima insospettate donazioni d'unione. E' possibile chiedere l'e S.Benedetto considera il silenzio non solo come mezzo
d'unione, ma come espressione dei gradi supremi di umiltà (e quindi di perfezione) raggiunti dal monaco (20). Il
grande contemplativo non ignorava che il contatto con
il Signore riduce l'anima al silenzio. Se essa si pone accanto a
lui, istintivamente è portata a moderare " la espressione di se
stessa". Questa forma di abnegazione dell'io sarà da principio solo
esteriore, mentre l'anima parlerà ancora a Dio. Ma
grado a grado il silenzio l'avvolgerà, procedendo dall'esterno all'interno,
fino all'età in cui la sua orazione stessa non sarà che un silenzio profondo.
Allora dall'anima salirà a Dio il maximum della
lode: essa vivrà nella pienezza il
"silentium tibi laus". Sarà questa l'età beata in cui,
notiamolo bene, il contatto con la Trinità inabitante avrà raggiunto
l'intensità massima, l'età in cui l'anima potrà non solo cercare Dio in sé
con uno sforzo attivo di raccoglimento, ma contemplarlo in sé, per una
particolare manifestazione concessale dal suo amore. (19) "Per
te il silenzio è lode" o, come traduce liberamente Itala (cfr. lettera a
P.P. in Lucciardi, Itala Mela, Roma
1963 p. 234) "è il silenzio la nostra lode". Qui Itala parla del
silenzio come esercizio ascetico. Non si tratta ovviamente di rifiuto di
comunicare col prossimo, ma di un esercizio di umiltà, frutto e coefficiente
di raccoglimento, alimento della vita interiore, e, in ultima analisi,
condizione per una maggiore disponibilità a Dio e ai fratelli. Ma Itala va
oltre questa dimensione ascetica del silenzio per coglierne la dimensione
mistica: il "vuoto"che Dio stesso opera nell'anima per aprirla alla
sua invasione, cfr. S. Gregorio di Nissa e la sua "lode silenziosa"
(Hom. VII, P. G. 44, 728). 5. La S. Messa. Non
si può trattare della grande liturgia eucaristica, senza aver prima accennato
all'atmosfera del silenzio che l'anima deve formarsi per vivere l'Inabitazione. Si può presumere che nessuna anima potrebbe penetrare nella
luce trinitaria con la sua preghiera liturgica, se non avesse prima cercato
di cogliere, fra i mille echi della vita quotidiana che la pervadono, l'eco
della lode divina che in lei Dio eleva a se stesso. L'anima
comprenderà in qualche modo l'amore infinito che stringe il Padre
all'Unigenito oblato alla sua gloria usque
ad mortem e le sarà dato anche di comprendere che tale amore è anche sua
eredità, suo possesso, perché il Padre la considera nell'unità col Capo del
Corpo mistico: tanto più quanto più generosamente essa si sarà identificata a
questo Capo divino attraverso l'amore e il dolore. (21)
Cfr. Ebr. 10, 9. 6. La S. Comunione Una
tale pietà è eminentemente "sacerdotale". Chi mai, più dei suoi
sacerdoti, Gesù desidera introdurre nel mistero della vita divina? A chi più
verrà rivelato tale mistero che a coloro che lo rappresentano presso ì
fratelli? Alter Christus! Se
un sacerdote deve ricopiare in sé quanto è possibile il Maestro, non dovrà
forse penetrare in lui, il Verbo, nel santuario celeste, per prendere parte,
per così dire, alla sua vita in sinu Trinitatis? Tale
vita non offre meno della vita "umana" di Gesù materia di
meditazione. Il solo pensiero dell'annientamento (23) che la vita umana
rappresenta per il Verbo e dell'amore da cui ha avuto origine basterebbe a
nutrire di carità divina, di zelo e di sacrificio una intera vita sacerdotale. In sinu Trinitatis il sacerdote si lascerà avvampare della
carità che è Dio, sì lascerà compenetrare della azione illuminante e
consumante dello Spirito Santo, per comunicare ai fedeli i suoi lumi e i suoi
ardori In sinu Trinitatis, stretto al
Verbo, implorerà dal Padre il perdono per i peccatori, il dono di una grazia
crescente per i giusti: in sinu Trinitatis contemplerà
l'opera della Redenzione, di cui è stato eletto dispensatore e ministro. In
questo abisso comprenderà che una sola cosa La sua vocazione gli sembrerà veramente celeste, simile a quella che il Verbo fece sua per ricondurre al Padre l'umanità. Di più in più il sacerdote vorrà diventare unum col Cristo per la gloria dei Padre e la salvezza dei suoi fratelli. E quanto più questo unum diverrà realtà, tanto più Cristo rivelerà al suo sacerdote il mistero della sua vita divina, della sua unità col Padre e con lo Spirito Santo. (22) Giov. 14, 9. (23)
Cfr. Fil. 2, 6-8.
7.
L'Ufficio Divino. Nei salmi, nelle orazioni, nelle lezioni l'anima coglierà lo splendore delle verità eterne e delle perenni aspirazioni degli uomini. In essi ora sentirà l'eco delle offerte e delle impetrazioni del Verbo, ora l'eco delle promesse e della volontà del Padre. Il Gloria ripetuto ad ogni passo richiamerà l'orante al pensiero del Gloria eterno che risuona nei cieli e che Dio eleva a se stesso nell'anima sua. L'Ufficio non è più allora un peso grave e sgradito, un compito da sbrigare al più presto, ma il centro della propria pietà, il mezzo per unirsi alla lode che tacitamente si perpetua negli abissi dell'anima santificata dalla grazia. Il fedele sente, allora, che, se non sempre questa lode può risuonare nel tempio materiale, sempre può effondersi nel tempio mistico della sua anima per avvolgere come di un'incensazione spirituale il tre volte Santo. Il fedele anelerà ripetere questo Sanctus mirabile che è l'Ufficio divino nel profondo del suo cuore, come i Beati e i Cori angelici lo ripetono nell'alto dei cieli (24). Lo ripeterà non solo a nome suo, ma a nome di tutti i fratelli, cercando di immedesimare questo piccolo Sanctus umano al vero Sanctus, quello che la Trinità ripete a se stessa, l'unico degno di esserle presentato. (24) Cfr. Isaia 6, 2-3. 8. L'Orazione (25) Ci sono stati dati e perciò sono divenuti nostri, ne possiamo disporre secondo la loro intrinseca finalità, che è quella di renderci sempre più docili alla azione dello Spirito, più disponibili alle sue esigenze di santità. (cfr. nota 13). 9. La Carità. Considerando
il mistero della vita trinitaria, l'anima non può più dubitare d'essere amata
e non può più esitare a contraccambiare l'amore con l'amore. Abyssus Abyssum invocat (26): essa si
stringerà con tenerezza filiale al Padre, con riconoscenza inesprimibile al
Verbo, con devozione profonda allo Spirito Santo. A un amore senza misura
vorrà rispondere con l'amore più grande di cui sia capace un piccolo cuore
umano. Questa carità porterà, come ho detto, all'odio del peccato, alla
docilità delle ispirazioni, all'offerta generosa di sé, alla gloria di Dio.
Il Verbo sarà in quest'ultima cosa il supremo Maestro. Questa carità
traboccherà dall'anima sui fratelli come dalla
Trinità stessa sul mondo. Noi ameremo
col Padre i suoi figli, i redenti di Gesù; con Gesù vorremo conoscere le
dedizioni più generose al Corpo mistico; con lo Spirito Santo vorremo
illuminare, confortare, irrobustire i fratelli. Saranno le tre Persone che
agiranno nell'Apostolo che vuole far sua,quanto è possibile, la loro vita;
sarà particolarmente il Cristo che sceglierà fra gli eletti coloro che vuole
specialmente deputati a "prolungare" la sua umanità e a continuare
la sua opera di Salvatore nella predicazione e nel sacrificio. Quante
durezze, quante ingenerosità, quante pigrizie cadrebbero se pensassimo a far
nostra la vita divina che è in noi, ed imparassimo, dal Signore uno e trino,
ad amare senza tregua, senza limiti, senza condizioni, a donarci anche se
incompresi e misconosciuti, come colui che è tanto misconosciuto, a perdonare
e a ridonarci senza Non bisogna dimenticare che Gesù considerava un errore in loro l'amarlo e il pensarlo in sé, come avulso dal Padre celeste; e Gesù cercò di correggere tale concezione errata, richiamando i discepoli a vederlo nella sua unità, e nei suoi rapporti col Padre e con lo Spirito Santo. Chi ama lui ama anche il Padre, chi ha visto lui ha visto anche il Padre: al Padre nella preghiera suprema affida i redenti; è necessario che egli sia glorificato nei cieli perché discenda il Paraclito: e la promessa più grande per i discepoli è la venuta delle tre Persone nel loro cuore: Veniemus (27). E' Gesù stesso che ci ha invitati ad attingere nella Trinità il modello della carità: "Padre, che essi siano uno come io e te siamo Uno" (28). Prima di lasciare gli Apostoli Gesù li ha invitati a levare i loro occhi più in alto che non fossero nella considerazione di lui nella sua umanità. Li ha condotti a fissarli nel mistero della sua vita divina perché dalla sua unità col Padre imparassero ad essere una sola cosa nella consumazione della carità. Questo è stato il testamento del Maestro a coloro che per primi avrebbero dovuto amare i fratelli fino alla morte subita per predicare loro la Verità. Uno dei più grandi alunni del Cristo, S.Paolo, apprese mirabilmente la lezione del Maestro e tradusse con linguaggio divino questa "unità" fra le membra del Corpo mistico, che ha il suo esempio nella Trinità stessa. "Chi è ammalato che io non sia infermo? Chi è arso che io non bruci? Gaudere cum gaudentibus, flere cum flentibus" (29). 1 fedeli sono un unico corpo; il dolore di uno è il dolore di tutti, il merito di uno a tutti appartiene. Ciascuno di noi non è isolato, ciascuno deve pregare, amare, soffrire a nome di tutti i fratelli, perché il Signore ama considerarci nell'unità, la perfezione dell'amore. (26) Salmo 42, 8. L'espressione: "un abisso chiama l'abisso" nel salmo fa parte di una poetica descrizione del luogo dell'esilio, che coi suoi torrenti in piena e colle sue cascate, accresce la tristezza del fedele costretto lontano dal Santuario di Dio e dalle feste che vi radunano il popolo. Ma, divenuta proverbiale, l'espressione può significare l'efficace richiamo dell'amore (come qui) oppure anche il pericolo della sdrucciolevole china del vizio. Itala, citandola, intende dire che l'infinito amore di Dio sollecita la nostra risposta di un amore totale. (29) Rom. 12, 15: "Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto". La dottrina del "Corpo mistico", per cui la Chiesa è come un soprannaturale organismo dove i fedeli sono intimamente e vitalmente uniti a Cristo e tra loro, dove il principio unificante e vivificante è lo Spirito Santo, è fondamentale in tutto l'insegnamento paolino: cfr. p. e. 1 Cor. 10, 16 s.; 12, 12-30; Ef. 1, 22 s.; 2, 14-16; 5, 23-30; Col. 1, 18-24; 2, 19; Rom. 12, 4 ss. ecc. Vedi anche Pio XII, Mystici Corporis; Vat. Il, Lumen Gentium n. 7. 10. L'Umiltà. La
virtù esterna non è che una conseguenza di questo atto indispensabile di
rinuncia interiore. Noi non ci esalteremo di fronte ai fratelli se avremo
riconosciuto l'infermità del nostro io e la necessità di sacrificarlo al
Signore perché non lo offenda. Ogni esaltazione sarebbe una menzogna e un
rinnegamento della verità che vive in noi. (L'umiltà è verità non solo
perché, come si dice abitualmente, è il riconoscere la nostra vera debolezza,
ma anche perché è il nostro perderci in
seno a colui che è il vero stesso; è il nutrirci di
tale vero nel pensiero, nella volontà, negli affetti, fino a immedesimarci a
lui, fino a vivere di lui in lui nell'unità perfetta e nel sacrificio completo dell'io). Solo
chi, avendo riconosciuto la miseria della propria natura, ha abbandonato a
Dio l'io nell'umiltà della verità; solo chi riconosce tra i fratelli questa
sua povertà e insieme la ricchezza
divina che può provenirgli da tale abdicazione, può giungere a una
unità "sensibile" con la Trinità SS. Quanto più questo
"riconoscimento" è profondo e "convinto", tanto più la Trinità si manifesta all'anima perché l'anima
è più unita alla verità. L'orgoglio pone un velo fitto fra l'anima e il
Signore, anche se non è così grave da separarli decisamente; perché
l'orgoglio è opposto al vero e lo rinnega. "Se non diventerete come
fanciulli non entrerete nel regno dei cieli" (31): non solo nel regno
che è il Paradiso, ma nella sua anticipazione
che è l'intimità col Signore su questa terra. Ma quando l'anima, riconoscendo il suo nulla, la sua cecità, la sua inclinazione al male, avrà chiesto a Dio di invaderla e di comunicarle le sue perfezioni, quando avrà imparato a volere essere l'ultima dei suoi fratelli, come il Figlio Prodigo, allora il Signore la introdurrà nel suo regno, manifestandosi a lei nel profondo e rivelandole i più sublimi misteri della sua vita. (31) Mt. 18, 3. 11. L'Abbandono. La
"santità" non è forse nel suo significato fondamentale il possesso
della Trinità SS. nella grazia? Dio
tutto vuole o permette perché l'anima
gli sia sempre più unita, perché sia sempre più sua. Egli non desidera che
comunicarsi di più in più alla sua creatura, in questa donazione intima il cui
valore comprenderemo solo in cielo. Omnia
cooperantur. Nei momenti difficili della vita non cerchiamo sterili
compatimenti e non perdiamoci d'animo. Il Padre dei cieli è in noi: in noi è
il Verbo che nella sua vita terrena ci ha preceduti nella via del dolore, in
noi è lo spirito di fortezza e di consiglio. Stretti al Verbo, sotto
l'impulso di questo Spirito d'amore, ripetiamo al Padre; "in capite libri scriptum est de me ut facerem voluntatem tuam:
Deus meus, volui" (33)"Omniapossum in eo qui me confortat"
(34)."In eo qui me (33) Salmo 39 della vulgata, 40 dei testo Massoretico; cfr. Ebr. 10, 5-9. (34) Fil. 4, 13: "Tutto posso in colui che mi dà la forza". (35) Giov.
30, 29. (36) Versetto liturgico
che si recitava, prima della riforma, p. e. a terza e a nona dell'Ufficio,
delle Vergini: "Dio l'aiuterà colla sua presenza", "mostrando
il suo volto". Riecheggia il Salmo 46 (Vulgata 45), 6. 12. Le Virtù Religiose (37). L'esercizio dei voti religiosi può divenire molto più luminoso se considerato nella realtà della grazia. Non vi è bisogno di fermarsi sull'esercizio della purezza alla luce dell'Inabitazione, sulla necessità di conservare la "consacrazione" battesimale del templum Dei. Ogni profanazione di un tempio è sacrilegio. Forse molte anime giovanili non conoscerebbero certe cadute, se fossero illuminate convenientemente sulla ricchezza che il Battesimo ha deposto in loro; non bisogna avere paura di predicare ai giovani e al popolo le verità dogmatiche più grandi; non bisogna immiserire il dogma. L'esperienza prova che anche i bambini, istruiti in forma elementare sul dono che possiedono nell'Inabitazione, acquistano il senso della gravità di ogni profanazione del templum Dei. S.Paolo non ammoniva altrimenti i primi cristiani, e per sanarli dalle passioni depravanti, da cui alcuni non riuscivano a liberarsi, li metteva a contatto con la realtà divina della grazia, che il Battesimo aveva loro donato. Noi abbiamo immiserito la nostra pedagogia; e dobbiamo accorgerci con spavento che gli appelli al rispetto della natura, alla conservazione della salute, all'ubbidienza a un Dio così poco "nostro" in certe predicazioni non scuotono più le anime. Ma a parte l'esercizio della purezza, senza il quale non vi è grazia e quindi Inabitazione, l'amore della castità si sviluppa alla luce della Inabitazione. E' il conservare tutto per Dio il nostro essere fisico e spirituale, è il voler conoscere solo il suo amore perché più profonda sia l'unione, più grande e tranquilla l'intimità. L'obbedienza ha il suo grande esempio nel Verbo, disceso dal seno della Trinità SS. a prendere la nostra carne per compiere la volontà del Padre. Nessuna anima che sia perduta nella contemplazione di questo annientamento, sentirà come sgradito e irragionevole il giogo dell'ubbidienza. Dalla contemplazione della Trinità ogni monaco si sentirà sorretto nelle prove più dure che l'obbedienza monastica può riserbargli. All'ecce venio del Verbo farà eco l'ecce venio dell'anima dinanzi a coloro cha rappresentano il Padre celeste: omnis paternitas a Deo (38). E' ancora lo Spirito Santo che suggerisce all'anima questo "sì" perenne ad ogni ordine: perché il "si" deve scaturire da uno spirito di amore e non di timore. Sarà lui che renderà l'anima assetata di ubbidienza, perché è un unico spirito che fa risalire il Verbo al Padre in un'incessante oblazione, e col Verbo tutti coloro che a lui vogliono essere stretti. Unus Spiritus, unum Baptisma (39). Ogni esitazione svanisce, ogni ribellione si spegne, ogni timore scompare, se il monaco riflette che il Padre celeste ha comunicato la sua paternità a chi lo rappresenta e che come il Verbo si dona al Padre perennemente e si é donato fino all'Incarnazione e alla morte; il religioso deve abbandonare la sua volontà e tutta la sua vita nelle mani dei rappresentanti di Dio, sotto l'impulso dello Spirito d'amore. Abbandonarsi ad ogni esigenza, ad ogni contraddizione, ad ogni incomprensione. L'ubbidienza può
stritolare un'anima. Ma nessun annientamento sarà paragonabile a quello
non accettato, ma voluto dal Verbo
nell'ardore dello Spirito Santo. c. La Povertà Bisogna elevare di tono anche l'esercizio della
povertà. Diamo alle anime la coscienza della ricchezza divina che possiedono,
la coscienza piena e pratica: immediatamente
le cose materiali verranno svalutate ai loro occhi. Quando si sa di possedere
in noi Dio uno e trino, il Creatore, il Redentore, il Santificatore; quando
lo si sa, non per una conoscenza astratta, ma per una prolungata meditazione
su questa realtà ineffabile, è difficile potersi attaccare tenacemente alle cose terrene: rimarrà
una sensibilità per esse, certo; ma sarà facile sacrificarle, per non
sacrificare a loro un'intimità più grande con Dio (intimità, ricordiamolo, inconciliabile
con ogni attaccamento). Molte religiose non si smarrirebbero per
l'affetto irriducibile alle loro piccole cose, se riflettessero che
possiedono nel loro cuore il Creatore di tutte le cose: se comprendessero che
tali affetti pongono un velo fra loro e il Signore e che per rinunciare al
possesso o al desiderio di oggetti caduchi, rinunciano ad attingere più
largamente al tesoro divino che la grazia pone non accanto a loro, ma in loro. Ma
deve pur ricordarsi che l'intimità col Signore distacca dal creato e pur insegna l'amore del creato. L'anima
che vive a contatto con Dio sente il "culto" di tutto ciò che la
circonda, perché tutto gli appartiene, tutto è reso sacro da questa
appartenenza. Ma questo amore, questo rispetto, questa cura di ogni
cosa sono del tutto soprannaturali. Il monaco che ha reciso ogni legame fra
il suo cuore e le cose create (40) ha
stretto legami ineffabili fra il suo cuore e il Creatore, il quale, nella sua
liberalità divina, restituisce tutto al suo amore: un amore celeste, che non
è più separazione, ma unità con l'amore essenziale. (37) Nei tre paragrafi seguenti Itala si rivolge ai monaci e ai religiosi, per mostrare come nella realtà dell'Inabitazione sia più facile vivere i loro voti specifici, ma quel che dice Itala può avere una utilità spirituale anche per i laici: la castità, l'obbedienza, e la povertà sono virtù cristiane, prima di essere oggetto di un particolare impegno religioso. (38) Cfr. Ef. 3, 15, e Rom. 13, 1 (qui: potestas invece di paternitas): "ogni paternità è da Dio". (39) "Un solo Spirito, un solo battesimo" (cfr. 4, 4 e 5). 13. La Mortificazione
e il Dolore. Ma
proprio questo bisogna insegnare alle anime: a portare nel seno della Trinità
il loro sacrificio. Là esse impareranno a consumarlo dinanzi al Padre, sotto
l'impulso dello Spirito Santo, in unione al Verbo; là impareranno a conoscere
il segreto di una gioiosa immolazione. Poiché in seno alla Trinità non vi è
dolore: la vita divina è pace inalterabile, è gaudio perenne, è lode di
gloria, laus gloriae. In questi abissi
il dolore, pure restando sensibile alla creatura, che altrimenti non sarebbe
più tale, diventa lode. L'anima
non lo subisce più, anelando ad esserne liberata, ma lo ama, lo vuole, perché è l'eredità che il Verbo le
ha lasciato ascendendo al cielo. Noi
prendiamo questo dono supremo del Maestro e a lui lo riportiamo nel seno
della Trinità, a lui, il Verbo del Padre, uno con lui e con lo Spirito Santo:
perché questo dono non resti infruttuoso, ma per lui possa essere presentato
al Padre e divenga prezioso ai suoi occhi. Allora il dolore di una piccola
anima diventa ancora il dolore di Cristo, del Verbo umanato, e si trasforma
in sorgente di grazia. Per esso molti peccati vengono cancellati, molte
donazioni di luce concesse. L'anima che ha fatto dell'Inabitazione il centro
della sua vita, ottiene a mille altre anime la grazia suprema e il possesso e
l'intimità col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo. Per questo il dolore
si trasforma nella lode ed è una espressione della laus perennis, che risuona in seno a Dio. Esso non interrompe, ma
perfeziona il canto dell'anima che, perdendosi nella Trinità SS., ha
trasformato la sua vita in una perenne liturgia eucaristica: Eucarestia
significa, ricordiamolo, rendimento di
grazie. (40) Il
distacco della povertà non è disprezzo o disinteresse per le realtà terrene,
non è egoistica evasione, ma un collocare ogni cosa e ogni valore al loro
posto. (41) Cfr. Ebr. 7, 25: "essendo Egli sempre vivo per intercedere a loro favore". Itala cita la vulgata: "per intercedere a nostro favore". (42) "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo" (Col. 1,2 24). Non si tratta di aggiungere qualcosa al valore redentivo della Passione di Cristo, ma di associarsi all'opera redentiva di Cristo per cooperare alla attuazione del disegno divino di salvezza, nel posto e nella misura prevista da Dio stesso. (43) Giov. 17, 10. Va Sottolineato come Itala riesca a trasfigurare la stessa sofferenza che diviene "l'eredità" lasciataci da Cristo, "il nostro orgoglio e la nostra ricchezza", il "manto regale" che riveste la povertà della nostra natura umana. Cristo non ha eliminato il dolore quaggiù; ha fatto molto di più: lo ha piegato a servire alla salvezza e ci ha dato la facoltà e la capacità di fare altrettanto.
(1)Itala scrisse questa "preghiera - offerta" il giorno di S.Pietro 1941. Il 21 aprile precedente Mons. A. Bernareggi, in udienza privata presso il S. Padre, presentava 9 Memoriale di Itala che abbiamo pubblicato nel Quaderno n. 5. Il 29 aprile, solo otto giorni dopo, il Papa, attraverso il Card. Maglione, Segretario di Stato, inviava a Itala una lettera di approvazione e di benedizione. La "preghiera - offerta" che pubblichiamo voleva essere un'implorazionedi luce per coloro che, su invito di Pio XII, si sarebbero impegnati in un movimento di studi trinitari, onde preparare un Documento che il Papa aveva fatto sperare a Mons. Bernareggi. Ci furono infatti diversi scritti sull'argomento: sulla Civiltà Cattolica" (P. Filograssi S. I.), su "Vita Cristiana (P. Garrigou - Lagrange 0. P.), su "Vita Spirituale" (P. Teresio e P. Gabriele di S. M. Maddalena 0. Carm.).Il documento pontificio venne, e precisamente due anni dopo, anche se non si limitò alla Inabitazione Trinitaria, ma ne inquadrò la realtà nel contesto della dottrina sul Corpo Mistico (cfr. Pio XII, Mystici corporis 29 giugno 1943).
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