(Dal quinto Capitolo). D’un tratto mi scuotono dei passi frettolosi sul marmo, entra nella cappella una suora e si siede un paio di banchi davanti a noi. Ho l’impressione che stia ascoltando i nostri discorsi e continuamente si gira a guardare la mia compagna, ha un’espressione viscida sul volto e labbra tumide che tiene socchiuse. Selvaggia le sorride ironica e sottovoce all’orecchio mi dice che suor Mariotta è innamorata pazza di lei, le ha confidato che porta addosso il cilicio per penitenza dei pensieri cattivi che le vengono. La suora trentenne torna a girarsi e Selvaggia per dispetto mi bacia a sorpresa la guancia. La religiosa raddrizza di scatto la testa e si genuflette in preghiera.

"Sorella - esordisco a voce alta -, Selvaggia vorrebbe vedere il tuo cilicio".

Selvaggia arrossisce come un peperone, la suora s’avvicina e si dice disposta a mostrarlo se chiudiamo a chiave la cappella. Quindi si toglie il velo e rimane nuda col cilicio, grossa corda ruvida e grezza che le cinge le anche cosparsa di nodi e punte di ferro, avanti le scende in mezzo alle cosce e la monaca si gira sui sandali per far vedere la corda che affonda nella fessura tra le natiche.

"Ci consenti, sorella, di accrescere la tua penitenza?" le chiedo.

"Come?"

La prendo per un braccio con violenza e la getto in terra a quattro zampe sul pavimento. Mi sfilo la cintura dalla tunica e inizio a schioccarle sonore frustate sulla schiena e sulle natiche. Tra i gemiti la monaca invoca il nome di Selvaggia e oscilla le anche, la corda ruvida si tende a sfregare la pelle e le punte di ferro s’introflettono a macerare la carne. Smetto, estraggo un grosso cero dal candeliere e con il pugnale ne incido tutt’intorno la base, che poi arrotondo in modo da scolpire un fallo. Rido soddisfatto della mia creazione, la suora si gira seduta e mi guarda terrorizzata.

"Umile! - le grido - Guarda il pavimento!".

Mi avvicino pugnale alla mano e col filo del rasoio le pizzico i capezzoli finché s’induriscono. Torno sui miei passi per raccogliere il cero ma Selvaggia mi ha anticipato: ha acceso il fallo posticcio e lo solleva in alto intagliando ombre profonde e sinuose sul corpo della monaca, il volto di Selvaggia è rischiarato da una luce calda e vibrante che assorbe la contemplazione estatica della penitente. Mariotta le si getta carponi, le bacia i piedi bagnandoli di lacrime e solleva appena la gonna per accarezzarle languida le caviglie. Selvaggia piega la candela e la cera cola bollente sulla schiena della monaca, le gocce ustionanti la costringono a torcersi su sé stessa dal dolore, la vittima ha uno sguardo implorante ma Selvaggia infierisce e le rovescia la cera sull’interno delle cosce facendola ballare dal bruciore. La monaca ora stringe i seni a due mani e li offre supplice a Selvaggia che ricopre ogni spazio di pelle con una pellicola di cera traslucida.

Dà una spinta alla suora e la rivolta prona al centro della cappella:

"Striscia! Devi mortificare la carne".

Poi si siede sui gradini dell’altare, i riccioli le avvinghiano il collo come vipere, solleva i panni lentamente e mostra la vulva tenendo le gambe bene spalancate.

La monaca avanza strisciando sul marmo.

Selvaggia le ordina: "Ripeti sono una peccatrice".

"Sono una peccatrice" con la voce rotta dall’emozione.

"Sono una sozza porcella".

"Sono una sozza" avvicinandosi sui gomiti e sulle ginocchia.

"Sozza porcella, ho detto".

"Sozza porcella".

Selvaggia oscilla il bacino e si accarezza il pelo:

"Giù con la testa! Tira fuori la lingua e lecca la polvere" le grida.

La monaca è a un palmo dall’inguine, mentre lecca il marmo davanti alla ragazzina le raggiunge la mano con le dita tremanti. Selvaggia, in quella posizione sacrilega, ha un aspetto terrificante ed i suoi capelli si agitano come serpenti dal sibilo assordante. Le chiude in faccia le ginocchia, abbassa i panni e ce ne andiamo. ENTRA