Mi ricordo benissimo. Era un sabato sera di qualche tempo
fa, ed avevo impancato una scombiccheratissima tresca che mi avrebbe permesso,
per un paio d'ore, di saziare la mia inesauribile sete di Sex. Passando
nottate insonni in chat-line, ero riuscito a procurarmi un abboccamento
con una sedicente quattordicenne che, mi assicurava, si era dedicata al
pompinaggio estremo fin da quando aveva avuto coscienza di se stessa. Io
mi ero spacciato per un musicista, per la precisione un bassista che suonava
con un tizio... Mi viene da ridere solo a pensarci, un tizio che aveva
avuto il coraggio di intitolare un album "Chiamale emozioni." E quella
scema ci aveva creduto! Insomma, quel sabato sera mi diressi verso l'Arca,
con tanto di pantalone di pelle attillato (l'esigeva lei per aumentare
l'appetibilità del pacco) ed occhiale scuro alla Fausto Papetti,
che spopola incredibilmente tra le pubescenti. La vedo sul marciapiede,
accompagnata dalla solita amica, con i soliti, vacuissimi ciuffetti fuxia
ai lati della testa. "Sai, scusa se c'è anche lei, ma quando esco
a far boccagli agli sconosciuti voglio star tranquilla, potrei sempre incontrare
un maniaco sessuale..." Si cominciava bene. Dopo che le due cimbraccole
mi ebbero scrutato un po', Misty, la 14enne, si convinse che non ero un
porco e montò in macchina. "Come ti dicevo, sono un musicista e..."
"Anch'io." "Ma davvero?" Mi sforzavo di essere gentile: il mio animo sensibile
me lo imponeva, ma sentivo già che qualcosa si era incrinato. "Sì,
suono il flauto. Di ciccia. Il tuo." Mi si spalancò automaticamente
la bocca dallo sconforto. "Che forza che sei!" Riuscii a bofonchiare a
fatica vincendo l'impulso di prenderla a scapaccioni. Passò altro
tempo in un silenzio imbarazzante. "Senti, ma allora si fa qualcosa subito
o fra cinque minuti?" "E Cristo, fra cinque minuti, no? Non voglio mica
passà da troia!" Fece lei molto risentita. "Ah... Ma... cioè,
ma bisogna per forza fissarsi con questi mugoloni, cioè, se te lo
buttassi in corpo?" "Ma sei fuori?! Voglio dire, il solo pensiero di incamerare
un batacchio nella mia cosina mi fa venire i brividi! Guarda, è
un'idea così mostruosa e innaturale, ed anzi ti dirò di più:
badiamo di tenere le mani a posto, ché anche sentirmi tocchicciare
mi mette tanto a disagio..." "Ah, sì..." La faccenda prometteva
merda da tutte le parti. Avevo sempre più netta l'impressione che
tra me e Misty non ci fosse comunicativa. "Ma... ma neanche un maneggino?
Così, come antipasto?" "Che palle! Quelli è specializzata
la mi' sorella piccina!" "Eh?!" "Vedessi, s'attacca al bompresso di babbo
sembra Kate Winslet ai relitti del Titanic!" Forse avrei dovuto complimentarmi
per l'audacia dell'immagine, se non avessi sentito fermentarmi nel petto
una salva di singhiozzi disperati. Fu, ricordo bene, il primo momento in
cui capii distintamente che ero stanco di quella vita. Mi fermai nel parcheggio
dietro al supermercato. Lei mi scardinò il fischio dei pantaloni
ed arraffò subito l'augello, con la stessa disgustosa ed automatica
perizia del rospo che cattura una zanzara con la lingua. No, no,
c'era qualcosa che non andava! Guardando dall'alto vedevo il mio cannello
che entrava e usciva ritmicamente, lucido di bava, da quella bocca impestata
di rossetto a poco prezzo profumato all'albicocca. Io assistevo alla scena,
ma era come se quella nerchia non fosse mia, anzi, come se sia lei sia
Misty fossero dentro il televisore e io li stessi contemplando strafatto
di LSD sdraiato sul divano di casa mia. Con un principio di nausea.
Qualche giorno dopo, quando entrai in terapia da Falco
Sorrenti, il luminare mi fece due domande fondamentali su quel momento-chiave
della mia vita: "Ma mentre la 14enne era lì che ti facéa
'l bocchino, te glieli tiravi gli sgassoni all'orecchi tipo Harley Davidson?
Brum brum! [mimava] E poi, te lo sei fatto fa' il golino col botto?" "Come
sarebbe?" "Eh, è quello quando lei te lo ciuccia talmente a fondo
che gli va i peli nel naso e starnutisce!" "Dottore... le devo dire la
verità? Dottore... per tutto il tempo che leilì ha trafficato
colla mi' natta... Io ho pianto!"
Sarò sempre grato a Falco Sorrenti. Le sue estenuanti
sedute di terapia, possibilmente in locali pubblici affollatissimi, purificarono
la mia anima corrotta. Le risate del pubblico ed i baioni che chiunque
si sentiva autorizzato a farmi mi condussero ad abbracciare la mia nuova
– e vincente – filosofia di vita. Perché quel pompino mi aveva
gettato in crisi di depressione? Ovviamente perché nel corso di
quello squallido episodio avevo sperimentato direttamente l'impotenza della
parola, la sua totale inadeguatezza nell'esprimere le sottilissime e meravigliose
sfumature del sentimento. Perché avevo inconsciamente capito che
quando un arcobaleno ti fiorisce nel cuore, è inutile cercare di
farne odorare il profumo alla donna che ami, se il tuo unico mezzo è
quel ridicolo barroccio del linguaggio verbale. Fu da allora che mi convertii
al mutismo e scelsi di parlare col corpo, di mimare quello che non avrei
nemmeno potuto immaginare di dire, di interfacciare direttamente i miei
pensieri con quelli dell'interlocutore senza passare per il lenocinio della
lingua e dei suoi miserabili accoliti, il palato, la chiostra dei denti
e soprattutto quelle ruffiane ribalde delle corde vocali. Tatiano ed i
Maracaibo mi hanno dato la capacità di far conoscere le mie qualità
al grande pubblico, ed è grazie ai miei mimi totali che i concetti
più profondi della teologia penetrano nell'animo delle ragazzine.
Ed ora, ora quando gallo con qualcuna mi sento spesso dire: "Se chiudo
gli occhi vedo un albero multicolore." Ed io mimo sorridendo: "Forse dev'essere
cascato un semino dall'arcobaleno."