Dire che dopo l'11 settembre nulla sarà più di prima è una banalità troppo evidente, quasi offensiva talmente usurata e lassista. Certo è stato un momento eccezionale che ha portato milioni di persone a guardare al di là del proprio orizzonte, a discutere, a preoccuparsi di una situazione intricata, difficilmente comunicabile, comprensibile nel suo orrore.

L'impatto emotivo è stato molto forte a differenza di molti drammi che si consumano nel silenzio, per lontananza o indifferenza, la tragedia di New York difficilmente potrà sbiadire nel ricordo collettivo.
Non è difficile elencare alcuni motivi lampanti, ma non è inutile rilevarne ragioni meno apparenti, più sfuggenti.

E' lampante la forza di un orrore che ci appare vicino, tangibile, inquietante. New York è il simbolo, nel bene e nel male, dell'Occidente. E le "Twin tower" del World trade center, erano il simbolo di un mondo operoso e moderno.Persone come noi facevano lavori comuni, in uffici comuni, con le nostre abitudini, persino coi nostri stessi orari. Possiamo quasi immaginare noi stessi, i nostri cari, i nostri amici, affrettarsi al lavoro un martedì fra i più normali. E' l'orrore di un colpo che ci viene inflitto alla luce del sole, senza telecamere, sorveglianti o sospettosi passanti che possano evitare la carneficina. Niente volti da fissare, mani che impugnano armi o fanno saltare bombe. Ma ali che guardiamo dalle nostre finestre con desiderio, di viaggio, di fuga o di una leggerezza perduta, trasformarsi in uno strumento di morte.
Sembrerebbero che di fronte all'ottimistica visione della Grande e operosa mela gli attentatori abbiano voluto usare l'arma del terrore per dare forma al monito roosveltiano: "L'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura".

Ma nello steso tempo è un orrore inverosimile, impensabile, cinematografico. Troppe persone accendendo la televisione avvertiti da amici hanno pensato ad una sequenza di qualche regista di Hollywood. Il piano dell'Oscuro Signore del Male, ordito in un rifugio imprendibile, porta morte e distruzione nel cuore dell'indifeso nemico. Potrebbe essere un copione eccessivamente abusato, da arricchire ad strabiliante effetti speciali.
E l'industria cinematografica con raro buon gusto non ha distribuito alcune pellicole che troppo da vicino richiamano questi dolorosi fatti.

Ed è un errore per eccellenza "mediatico". Non sono serviti alla CNN, permessi speciali per riprendere uno dei "landscape" più famosi e fotografati del mondo. Né un Peter Arnett o una Annampour a commentare quello che stava accadendo: annunci ripresi all'infinito, un clima di dubbio e di incertezza. E i tre schianti che cadono come lugubri tocchi di una campana a morte che non danno il tempo di riprendersi.

Ma ciò che più inquieta è vedere che come in un incubo ci appaiono immagini e sensazioni del passato. Per tutto il dopo guerra abbiamo vissuto in un pianeta diviso da una cortina non solo fisica ma assai di più fatta di strenua contrapposizione ideologica, incomunicabilità e, soprattutto, l'incubo di un conflitto terribile e senza frontiere. Armi ed un incomunicabilità profonda fra due mondi in tutto diversi. Il fatto che sia stato rievocato l'incubo nucleare non fa che sottolineare un'inquietante continuità.

Sembrerebbe facile anche questa volta individuare il Bene ed il Male. Così come fino all'inizio degli anni '90 si contrapponeva al nostro Occidente un impero sovietico liberticida, inefficiente, una vera propria ombra nera sul destino dell'umanità, così oggi si ripropone una nuova minaccia da Est.

Forse il problema, ed è un problema che ha messo e sta mettendo in grave crisi gli analisti è individuare questo nemico. Il fatto di definirlo terrorismi significa tutto e nulla; anche in Italia gran parte del terrorismo degli Anni di Piombo è ancora oggi di difficile collocazione ideologica. Che esso provenga da gruppi di fondamentalisti islamici in particolare è da tutti fuori di dubbio. Ma la gravità dei fatti e l'organizzazione complessa fanno escludere che possa essersi trattato solo di un atto folle di un gruppo di esaltati. Sempre più si parla sulla stampa di appoggi, se non di aperto fiancheggiamento, di stati interi, nonché di larghi settori della popolazione nei paesi islamici, e non solo, favorevoli se non fiancheggiatori di questi sovversivi.



Da una azione di polizia internazionale si è passati a definire la reazione una vera e propria guerra. Una guerra assai diversa dai conflitti regionali a cui siamo stati abituati dal Vietnam in poi. Il presidente Bush ha prefigurato uno scenario di lunga durata (non come le missioni lampo in Iraq e Serbia), un alto tributo di vite umane da pagare oltre che sacrifici per tutta la nazione.
Il segno di una situazione mutata dagli anni '90 è pure il fatto che questa volta gli Usa non agiscano nell'ambito delle Nazioni Unite, decretando la definitiva impotenza di un organismo fragile e gestito in maniera irresponsabile da una diplomazia che secondo il presidente Cossiga "non sa decidere". E' la fine dell'ordine mondiale che, come ricorda l'ambasciatore Sergio Romano, era stato salutato da Bush padre insieme a Margaret Thatcher in un importante convegno ad Aspen. Poco settimane dopo fu scatenata la guerra del Golfo, prima delle operazioni per "dare un esempio ed impedire che ogni potenza regionale ricorresse alla forza per soddisfare le proprie ambizioni".

Nemici, quindi, da definire. E certo nessuno è disposto a credere che il famigerato Bin Laden sia stato il solo deus ex machina di tutto questo.
Una parte dell'opinione pubblica mondiale di fronte a tale orrore ha identificato l'antagonista dell'occidente nell'Islam. In particolare in Italia, molti degli intellettuali che avevano firmato il manifesto "Non conformatevi! G8 e Anti G8. Da cristiani a cristiani. Contro il "pensiero unico"" hanno lanciato con diversi toni accuse ad una presunta "ideologia islamica". In particolare Don Baget Bozzo ha affermato che con questo atto "l'islam mostra la sua volontà di spazzare via il cristianesimo dalla storia". Una guerra di civiltà scatenata da una civiltà che "non distingue fra religione e politica". Antonio Socci cita, in un articolo intitolato "dedicato a chi non pensa che l'islam possa essere una minaccia" cita l'islamologo Del Valle per cui "gli intellettuali occidentali accecati dalla loro concezione della fede e dall'ignoranza si rifiutano di analizzare l'islamismo in termini di minaccia". Di conseguenza la nostra civiltà, portatrice dei valori "della tecnologia e del capitalismo" oltre che della illuministica libertà, dovrebbe combattere per imporre il proprio modello, già vincente grazie alla globalizzazione, a paesi in cui la libertà stessa e la democrazia, quando ci sono, "sono fiori rari e delicati" secondo le parole del politogo Robi Ronza.

Nemici che molti leader arabi, fra cui l'Emiro a capo di Hamas, Saddam Hussein, alcuni membri isolati della Chiesa cattolica come padre Grech, segretario generali dei vescovi cattolici delle regioni arabi, nonché a denti stretti molti degli intellettuali dell'estrema sinistra e del movimento no global, vanno individuati nella povertà, nell'imperialismo economico e culturale esportato dall'Occidente. Di fronte a questi fenomeni il terrorismo, secondo questa tesi sarebbe inevitabile. Una tesi che porta ad affermazioni inquietanti, come quella attribuita e poi smentita da Dario Fo: "cosa volete che siano poche migliaia di morti al confronto di milioni di morti per fame ogni anno nel mondo".


Per arginare posizioni estremistiche, che hanno già provocato morti e minacciano di essere un serio fardello per la futura convivenza, alcuni leader mondiali hanno avvertito che non si tratta di uno scontro di civiltà ma di una operazione per sradicare il terrorismo, fenomeno intollerabile e inumano. Salvo poi dividersi sui termini, questione non certo di scarso peso, posto che se fosse definita guerra gli Usa potrebbero trascinare nelle operazioni milatari tutti gli alleati della nato in virtù dell'articolo 5 del trattato dell'alleanza atlantica. Alleati, salvo gli inglesi tradizionali sparring patner degli Usa, disposti sì a fornire appoggi ma difficilmente contingenti, visto il pericolo diretto nonché quello di rappresaglie.


A questo proposito è interessante la posizione delle Chiesa Cattolica, "a fianco degli Usa nel condannare il terrorismo" secondo le parole del cardinal Ruini ma assolutamente contraria a un'escalation di violenza, di intolleranza e di chiusura ideologica. Gran parte delle diocesi italiane hanno convocato veglie di preghiera per le vittime, l'Azione Cattolica ha pubblicamente espresso costernazione. In tutto il mondo la Chiesa ha espresso condivisione col dolore del popolo americano, e, in piena sintonia con quanto affermato dal pontefice nel recente viaggio in Kazakhstan il rispetto verso l'Islam, a cui non può essere attribuita questa violenza, in pieno concordando in ciò le affermazioni del grande storico Franco Cardini, che definisce la vulgata dello "scontro tribale" fra civiltà "criminale".

Vi sono poi tutta una serie di paesi piuttosto agnostici, o peggio, sul terrorismo ma che hanno promesso appoggio in cambio di vantaggi commerciali e politici: la fine dell'embargo all'India, alla Libia ed al Pakistan, un ruolo internazionale per la Russia, il rispetto del la Carta di Kyoto per molti paesi europei, l'Arabia Saudita sviare alcuni sospetti sui finanziamenti di molti altri fenomeni estremistici, non ultimo la Cecenia...

Un fronte molto frammentato, prima di tutto culturalmente e metodologicamente si contrappone ad un nemico sfumato. Ed il disorientamento cresce...