Sono le dodici e mezza di una schifosa, umida e afosa notte di giugno; sono solo, come al solito, con i miei pensieri, la mia tastiera, una tazza di caffè nero appena finito; una giornata di merda alle spalle.
Non c'è un filo di vento e prevedo di essere spolpato vivo dalle zanzare, stanotte. Non ho proprio un cazzo di voglia di mettermi a letto sotto la mia tenda da savana e aspettare che il sonno venga.

Forse è venuto il momento di fare un piccolo punto nella mia vita. Mentre ero ad aspettare mio fratello, stasera in macchina, per accompagnarlo a casa, non ho potuto fare a meno di accostarmi allo strano silenzio che accompagna i momenti di depressione più nera, guardarmi negli occhi nel tergicristallo sporco, e dirmi che proprio non è una gran vita la mia.

Ma non mi va di piangermi addosso: è solo triste scoprirsi così solo, nonostante le tante conoscenze le tante facce che ogni giorno mi passano innanzi.

Allora che posso fare, oltre accendermi una candela Zen, con un accendino residuo delle mie velleità di fumatore, prendere sulle ginocchia il mio piccolo baule blu e ricostruire un passato che ormai non so nemmeno più ricordare. Voglio rivivermi, e in questo rivivermi potrò forse sognare di aver avuto un minuto di pace; e forse immaginare che un lieto fine si delinei all'orizzonte.

venerdì 9 giugno 2000















Un'alba d'ombre

Il sole batte in lunghe
Ombre la terra riarsa
Di brine impalpabili.
E la lontana finestra
Socchiusa biancheggia
D'una chiostra di tenda.
I rami, lunghe dita
Stese all'impalpabile,
salutano la terra fumante
e un uomo cammina
abbracciando la terra,
la verde scorza degli olmi,
e una finestra, lontana,
che si sbatte ala vento
immobile di un mattino.





















Io aspetto,
aspetto la realtà
che non aspetta
e che se ne fugge
bugiarda, dietro
alle menzogne
di un alto parlante
di una stazione
di periferia.



Smetti di chiedere
Cosa sarà il domani,
forse che migliorerà
sapere che il domani
chiederà al dopodomani
lo steso incongruo interrogativo?




















Sud

La stanchezza
La noia,
il dolore,
l'amarezza
del vivere è sempre qui
con me come
le zanzare,
l'afa torrida.
Gli stridori,
le urla insensate.
Come una rondine
vorrei vedere i
miei deserti,
al Sud.
























E volerò lontano

È così facile raggiungere
il limite della disperazione.
È così naturale il desiderio
Di fuggire ad Oriente dell'Oriente.
Tutto è sempre così difficile;
troppi problemi sulla via.
Datemi un biglietto e volerò
Lontano; lontano da tutto:
da questi problemi e da questi
pianti che mi bagnano gli occhi
- qui - senza speranza.


























Aspirazione

Hai visto un cielo al tramonto
Rossastro calare sopra le coscienze?
Hai visto la vecchiaia assalire
Grigia di fumo le anime giovani?
Hai visto al centro della città
Milioni di volti vuoti e agonizzanti?
Hai visto un cielo stellato
Sopra la tua vita che si smarrisce?
Hai visto la pioggia calda d'estate
Bagnare il selciato davanti a te?
Hai visto le finzioni di uno sguardo
E l'illusione incarnarsi?
Hai visto la bellezza riflessa di
Un libro che sfogli?
Hai visto che non tutto
È chiaro come la roccia?

















Ritorni

Ritornano, le stesse cose
Ritornano, imperturbabilmente
Sulla china del tempo.

Lo dicevano gli antichi ,
lo dicono i moderni.

Ritorna il dolore
Di un cuore spezzato
di una bocca che ha fame
di una mano abbandonata.

Ritorna il sangue,
iniettato negli occhi di un nemico,
sparso su una strada assolata
o su un vetro di grattacielo.






















San Giminiano

Alza gli occhi
Un momento non
Lasciare che il pensiero
Sugga così lontano,
verso esotiche mete,
verso desideri irrealizzabili.
Perché no alzi gli occhi?
C'è uno splendido cielo,
stasera: c'è un mondo
che sussurra e richiama
stasera.
Non vedi fra le torri, illuminate
Che brillano dietro a questi
Alberi tetri
Le stelle?
Le Orse, Andromeda, i Gemelli.
Alza gli occhi:
e guarda i miei.
Cosa vedi?
Chi può dirlo: tu
Non guardi. Ti perdi e sei sola
Come me fra questi
Ruderi rabberciati,
di città medioevale.













Smettete



C'è un cielo sporco, assetato
Di carcasse, di sacrifici,
di morte.

Smettete di volare lontano
Come i fumi dai comignoli
Anneriti.

La stagione dei papaveri
È finita e non tornerà
Poi tanto presto.




















La casa del canonico

Una sciabola nel cortile
Trovarono i nonni
Sotto l'ombra dei cachi, un autunno.
Era una sciabola tutta arrugginita,
e la misero in un armadio vecchio
come lei.
Era la sciabola di un soldato
Che si era pentito e s'era stancato
D'un generale che prometteva
solo vittorie.
Voleva un generale che sapesse
dargli di più.
Diventò il canonico di
una piccola parrocchia
ed abitò la casa che
io abito: le sue ossa
riposano qui, di fronte
sul sagrato della vecchia
chiesa da lui amata.
Se mi concentro posso quasi
Udirlo, voce fra le mille
Voci che hanno abitato
Questa casa: lo schiamazzo
dei bambini, l'eloquio
di un sindaco di un comune
che non esiste più.
Ora sento i miei genitori,
che hanno fermato la vecchia
pendola che segnava la vita
dei loro.
Vedrà i miei figli?
E sentirà il riso della
Mia sposa?
La sciabola è stata rubata
E i pensieri vagano
Fra ricordi non miei.

Notturno

Un bagno di luna
Ogni notte io faccio.
Sottile la pallida luce
Scorre sopra le coperte,
più silenziosa del
più silenzioso
fiume sotterraneo.
E corre, con le sue pallide
Vacue ombre. E con
La sua corsa corrono
I miei pensieri in veglia
E i miei pochi sogni
Scordati: un momento
Di riposo, e lei mi tiene
La mano, perfida amica.
Ora basta, il buio mi
Attende.


















Salus Mea

Ciò che io provo
è nascosto nel cuore
dei secoli, nei
pomeriggi assolati
senza ragione, nei
ricordi inventati,
nei monumenti divelti.
































Mi vida

Riprendimi, o sonno, nel tuo abbraccio!
Via, pensieri miei!
Non lottate per tormentarmi.
Via illusioni inutili,
non uccidete il mio cuore!
Via sozzure e immondizie!
Nient'altro che lenzuola candide.



























Nuvole

Il vento ha soffiato via
Le nuvole dal cielo;
ed è venuto l'inverno.
Mi è entrato come
Mille altre volte
Nelle ossa e ho tremato,
ho tremato temendo
l'oscurità di una stagione senza fine.
Ma nella solitudine
Di un'infinita moltitudine
In una chiesa barocca
Ho visto il cielo
Dei miei giorni felici.
Il freddo distillava i sentimenti
E i pensieri e la realtà
Sembrava solo una splendida montagna
Da scalare.





















Cono d'ombra

Un bolla di luce
mi avvolge soave:
pochi fuggevoli
istanti di smarrimento.
E sono lassù nel cielo
La stella che accompagna
Il cammino per il mondo
Dei sogni.
Sono il torrido sole
di un'estate indiana;
e le trame di mille
tappeti
intessute a doppio nodo.

Sono il colpo
Di brezza che riempie
La vela: la nave
Si impenna, pare che voli;
poi cala lenta
nell'onda che viene
e si addormenta in un
cuscino di spume.














I girasoli

I girasoli che ho
Negli occhi sono
i fiori degli anni
lontani.
I petali della mia
Infanzia,
sprazzi di luce intensa
che emergono
da un oscuro e anonimo
mare smeraldo.
Ora i girasoli sono
Appassiti e Clizia,
colei che ornava i
miei giorni è
lontana,
in Polonia.



















Il mio sogno di pace
È poter contemplare
In un caldo mattino
In un vento azzurro
Che scuote le infinite
Coltri di una stanza
Ad Oriente, il corpo
Sommerso dalla notte
Di colei che amerò.
E la mia mano che
Scorre sul velluto della
Sua pelle, leggera.
E l'incomparabile diafano
di lei, mi ripagherà.

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