Il convegno di Loreto è stato sicuramente un momento
illuminante per comprendere molte dinamiche che agiscono sia nel
mondo universitario sia dell'associazionismo cattolico.
Il clima piuttosto disteso di quei -quasi- tre giorni mi ha
aiutato, nel ritrovare nuovi e vecchi amici, a vivere un momento
assai meno passivamente di quanto mi aspettassi e di permettermi
di articolare alcune riflessioni di cui avrei piacere conosceste.
Il convegno è stato in gran parte dominato dalla definitiva
approvazione della legge quadro sull'università: penso che sia
stato normale , quindi, sacrificare l'aspetto che forse tutti, o
almeno io, si aspettavano venisse sviscerato: quello dei nodi
irrisolti fra le varie realtà associative, magari con una chiara
presa di posizione della CEI sugli strumenti, nonché una
riflessione sull'essere universitari cattolici oggi, con una
definizione magari unitaria, non dico delle linee da seguire,
dati i diversi carismi che ci contraddistinguono, ma linee di
tendenza. Le parole di Mons. Singalini ( NB chi scrive non ha
alcuna memoria per nomi, date, e altri pilastri del pensiero:
abbiate pietà: interpretate!) che provocavano a trovare nuovi
mezzi di evangelizzazione (lui stesso ne ha fatto un accenno) mi
avevano lasciato immaginare in questo senso.
Orbene, la riforma universitaria mi ha lasciato piuttosto
perplesso: per le motivazioni innanzitutto. Riconosco che ci si
trovi a far fronte a problemi strutturali profondi, a situazioni
paradossali come un numero altissimo di fuori corso, a
inefficienze e sprechi che ci lasciano fuori dall'Europa.
MA non credo che sia corretto utilizzare il criterio ECONOMICISTA
della qualità, mostro sacro dell'imprenditoria degli anni '90,
vuoto simulacro, colmabile a piacimento. Avrei preferito si
parlasse di SOCIALITÀ: io penso che lo scopo dell'università
sia più che quello, importante e fondante senza dubbio, di dare
nozioni, abilità, capacità che permettano di essere competitivi
sul mondo del lavoro, di formare delle PERSONE capaci di essere
integrate in una società in mutamento, vivaci, libere, senza
schemi mentali angusti. Il mondo gira velocemente e soprattutto
in certi ambiti quel che si impara fra pochi anni sarà obsoleto.
A maggior ragione lo scopo di una trasmissione di un sapere
tecnico può essere svolto da corsi di abilitazione professionale
super concentrati( non anni ma mesi o settimane!).
L'università può e deve rimanere in piedi in quanto luogo in
cui si impara a convivere con gli altri, ad affrontare problemi,
a esigere e a dare rigore alle proprie idee e a quelle di altri.
Ad essere cioè utenti e non solo fruitori del nostro ambiente.
L'università come palestra di vita che molti, fortunatamente,
riconoscono come tale nel mondo del lavoro. Ricorderò sempre la
testimonianza di un giurista di impresa che mi disse che assunto
in una grande azienda, non sapeva neanche compilare un modulo, ma
l'U. gli aveva dato la capacità di affrontare i problemi e
relazionarsi con i suoi colleghi meglio di ogni corso.
Di conseguenza è per me L'U. va vissuta, e positivo ma
ridicolmente irrealistico l'accenno al milione di posti letto
promessi dal sottosegreatario: amici mi dicevano che bisogna pur
cominciare da qualche parte ma i problemi di bilancio sono
problemi di bilancio ( e di Milioni di... penso ne abbiamo tutti
abbastanza). Inoltre mi chiedo se una riforma volta alla
campusizzazione del nostro ambiente si fattibile e augurabile nel
nostro paese: i fuori sede hanno tutti i diritti di richiamali ma
la nostra ramificata, complessa, ricca realtà locale non ne
risentirebbe? E' giusto spingere a una emigrazione, magari verso
università prestigiose ma carenti in strutture? Uno dei problemi
della riforma, ne accenno, è il fatto di voler stimolare una
concorrenza fra gli atenei: giusto il principio di delegare la
scelta dei curricola e dei crediti ai singoli atenei ma 1)
conoscete il grado di rissosità dei professori italiani e cosa
potrebbe derivarne? ( e parlo per esperienza famigliare) 2)
Alcuni atenei, nonostante i paletti non potrebbero mirare verso
il basso, diminuendo magari il numero di esami o la difficoltà
per attirare studenti, stante il non toccato valore giuridico del
titolo di studio, accrescendo, come ebbe ad osservare Alici, le
attuali disparità???
Non parliamo poi delle ragioni di abbattimento della disparità
sociale che sono state addotte. Oltre che un tocco di sana(?)
propaganda elettorale mi è sembrato un discorso fuori dal tempo
in un paese, almeno al nord, decisamente carente di ogni
stratificazione sociale di rilievo.
Venendo alla parte "cattolica" ( lasciate correre l'espressione)
ha ragione Simona nel dire che i dialoghi spesso sono stati
superficiali fra le singole realtà. ma bisogna considerare che
spesso nemmeno ci si conosce: vi rendete conto che molti non
hanno mai sentito parlare di cappellanie, Fuci, Agesci?
Senza tener conto che gli amici di Cl sono in generale abbastanza
latitanti, in altri contesti: molto positivo che ci siano stati.
Lungi dal criticare il coltissimo e onorevolissimo Mons. Scola,
che ha svolto il suo intervento finale da vero Mazarino e da
splendido Husserliano ( anche se personalmente non ne condivido l'impostazione
filosofica), penso sia giusta la sua presa di posizione verso l'unità,
incontestabile perché in nome della concretezza del
cristianesimo. Giusto pure lasciare autonomia alle diocesi nel
campo della nostra pastorale ma creare luoghi di confronto
unanimemente riconosciute a livello locale potrebbe evitare
sprechi e sovrapposizioni se non guerre tristi e retaggio del
peggio della nostra tradizione. Dialogare non è facile e una
spintarella non ci farebbe male. Chiaro il favore verso le
cappellanie, ma non si è parlato degli incredibili conflitti,
sperimentati sulla nostra pelle a Milano, che possono nascere con
i movimenti.
Senza considerare il chiaro astio che hanno alcuni cappellani
verso noi fucini ( sperimentato a tavola a Loreto a Più riprese).
E' giusto collaborare ma non si rischia di cadere in un abbraccio
mortale per l'identità, e fino a che punto si deve dire di sì
in contesti dove per forza di cose i laici contano meno dei
nostri movimenti(tutti? dovunque?) ( discorsi tipo "il
cappellano sono io e voi dovete seguire la mia linea?").
Speriamo di non essere emarginati: il rischio è grosso.