La convulsa situazione politica odierna che vede sempre più divisi e sgretolati i due partiti più importanti del paese, Forza Italia e i Democratici di Sinistra mi ha portato a fare qualche riflessione che propongo in forma molto schematica.
Da tempo ormai frequento dirigenti dei vari giovanili dei partiti italiani, e con molti di essi, persone di spessore umano e capacità di valutazione della realtà, ho rapporti di amicizia che mi consentono spesso di andare oltre i proclami retorici e avere un minimo di polso della situazione.

Forse anche senza queste "fonti" si potrebbe constare una profonda crisi di ogni giovanile, crisi tanto più preoccupante visto la consunzione di una larga parte di quadri di partito della prima repubblica, in parte chiamati ad un ruolo più importante, in parte costretti all'esilio privato, in parte troppo in là con gli anni per inserirsi con efficacia nelle dinamiche della moderna politica. Localmente per supplire a giovanili inesistenti, scaturigine in passato della piccola dirigenza sempre più si fa ricorso a notabili e professionisti, ottimi gestori dell'ordinaria amministrazione ma incapaci di pianificazione e progettualità. Situazione che ricorda l'Italia liberale di fine secolo, il che fa sorgere il dubbio sulla resistenza di questa modalità di governo e sulla legittimità di una gestione della cosa pubblica orientata ad un lobbismo prepotente e ristretto di vedute.

Proprio nei giovanili si respira una "fiacchezza", una ingessatura e un appiattimento sulle linee condivise bel lontane dallo slancio che li animava due decenni fa.

I motivi sono riassumibili in due concetti che non si ha spesso il coraggio di enunciare: l'immagine che tuttora la politica ispira da una parte e l'incapacità di gestire "il politico in erba" dall'altra.

La perdita di stima che gli italiani hanno metabolizzato in questi anni è proverbiale e quasi geneticamente è passata alle nuove generazioni.
E la causa di ciò ha motivi esterni ed interni.
Fra i primi sicuramente la comunicazione giornalistica non ha svolto un buon servizio: la stampa ha assunto un potere che va bene al di là di quello di cronaca, e la distorsione della realtà e presente, vibrante, evidente. Il politico mondano, solottiero, prepotente, incomprensibile, faccendiere è passato dai sipari della satira alla cronaca e ai settimanali di approfondimento. Mettendo sullo stesso piano politici, ballerine, cantanti ed attori ha una presa mediatica immensa ma non consente di capire le dinamiche della politica. Sostanzialmente il caso delle rogatorie e del referendum sono stati esemplari: nessun giornalista ha spiegato, forse per incompetenza le ricadute squisitamente giuridiche dei voti, battendo sul chiodo delle divisioni e dei proclami. Formalmente a due pessime trasmissioni come Telecamere e Porta a porta dove "bellone" (ricordo il giudizio dell'Onorevole sulla Kanakis) e fatti personali dei politici hanno la meglio sulle analisi.
Giornalisti sfioranti il qualunquismo come Biagi e Elkann hanno così un potere che dubito vada pari passo con la loro autorevolezza come succede negli Usa.

Se a ciò si aggiunge la crisi dei giornali di partito o di politica, in parte causato da un folle metodo di assunzione e alla svolta verso lo "stile tabloid" e all'influenza di alcuni poteri forti nell'ambito della comunicazione (che non da ultimo ha fatto bruciare migliaia di miliardi al "parco buoi" dei piccoli investitori con la febbre della new economy), che spesso decide la caduta di governi o la nomina di ministri, la situazione appare in tutta la sua gravità.

Fra i secondi una rara incapacità di pianificazione comunicativa dei politici, innanzitutto. Basare tutta la comunicazione sullo scontro porta al "paradosso radicale", formazione politica dai picchi politici vertiginosi in occasione di battaglie sanguinose e sfibranti ma pure dalle manifestazioni di cento persone a malapena, quando l'effetto polemico è esaurito. E visto che la politico è anche compromessi e concertazioni, come giustificarle nei confronti dell'elettorato ormai dal dente avvelenato (vedi l'"effetto Gedda" in occasione dei governi di centro-sinistra, col trattino)?
Inoltre come giustificare, visto l'esempio delle democrazie più evolute, una "scelta di campo" quando le più vistose posizioni antisistema si saranno riassorbite. O si vorrà per sempre portare avanti la banalità che i "comunisti e i fascisti (ma anche i democristiani) sono sempre uguali"?
Aggiungiamoci pure una non assimilata lezione sulla moderazione e la posatezza nelle dichiarazioni e nell'uso del denaro pubblico (si veda il caso Cuffaro): un paese dall'anima giustizialista e forcaiola come il nostro è portato a sposare strumentalizzazioni che da ciò naturalmente derivano.
I giovani, naturalmente meno portati ai distinguo, sono vittime di queste sbavature politiche (come si può ben constatare dalle dichiarazioni folli sull'Islam del giovane capogruppo della Lega al comune di Milano).

Ma è pure interessante dare uno sguardo nella disamina dei problemi della politica moderna di un particolare epifenomeno che è la incapacità di gestione del "politico in erba". Permane il vecchio vizio dell'"importante" incarico del volantinaggio o attacchinaggio; e quello di considerare dei giovani con cultura spesso più che universitaria, esperienza, capacità manageriale e organizzativa, dei sedicenni con il latte alla bocca, precludendosi in questa maniera un feed back dalle nuove generazioni. Ma questo sarebbe il meno, lo si dice da troppo tempo.

Il problema è invece culturale e pratico ad un tempo.
Anche nella politica la "divinizzazione" dell'imprenditorialità e della capacità nelle professioni private ha creato una ovvia repulsione per la politica: se il modello è questo perché un giovane capace dovrebbe guadagnare meno, impedirsi avanzamenti di carriera e caricarsi di una cattiva immagine con famigliari, amici e conoscenze? Logica conseguenza: la politica la fanno "gli incapaci che non hanno mai lavorato un'ora nella loro vita", versione di destra; o "i furbi che si fanno gli affari propri e delle proprie cricche" versione di sinistra. Un problema culturale, quindi.
Ma anche un problema pratico: visto che i giovani non hanno (postulato) capacità o conoscenze spiccate, e quindi dignità, s'impone una visione volontaristica. Si invita a fare, per un vago progetto politico, imponendo sacrifici notevoli. Ma non si cura anche una onesta crescita professionale o una carriera politica: io stesso ho sentito fare più volte il discorso che per i giovani un posto di consigliere può essere appannaggio di un presidente neanche di un vice nazionale. Oligarchia, nepotismo e soprattutto la peggiore plutocrazia sono dietro l'angolo. Nella sempre più feroce battaglia per il poco, che consenta di proseguire la propria partecipazione politica, si vedono sempre più cognomi stranamente già noti o spiccano rampolli di ricche famiglie (giovani di modeste condizioni non ne vedo più da anni, nemmeno nei partiti di sinistra) molto interessate ad incrementare il proprio prestigio.

Non essendoci più vecchi politici generosi e attenti a tappare le falle del sistema, il sistema si sta trasformando, perdendo ovviamente l'anello debole: i giovani. Così in una politica governata dal marketing si disconosce una delle regole di questa scienza: per ottenere uno scopo bisogna offrire prospettive e gratificazioni.