Comunicato Stampa
Terrazza Martini, Milano, 28 maggio 2001
Lowell Edmunds


Le opinioni espresse di seguito appartengono all'autore e a lui soltanto, e non vogliono riflettere quelle della ditta Martini e Rossi.

Edèsm = Ed è subito Martini (Archinto Editore, 2000), trad. di Martini, Straight Up: The Classic American Cocktail (The Johns Hopkins University Press, 1998), seconda edizione, riveduta, con nuovo titolo, di The Silver Bullet: The Martini in American Civilization (Greenwood Press, 1981).

AMBIGUITÀ E ANTINOMIA.  Questa è la struttura simbolica fondamentale del Martini e l'argomento centrale del mio libro.  Questa struttura compare di nuovo in varie prospettive nella discussione in merito alla traduzione italiana.  Nella prefazione di Umberto Eco a Edèsm, ad esempio, emerge un'antinomia fondamentale fra bar e casa: il bevitore del Martini vuole avere in ogni città un bar in cui non deve chiedere altro che "il solito"; allo stesso tempo, "è ovvio che il Martini migliore è quello che ti fai da te, a casa".  (Io non ordinerei mai un Martini in un bar.)  Un altro esempio, dalla recensione di Paolo Brunati a Edèsm, in Il Giornale del Piemonte, 14-1-01, p. 11: "È la frusta del gin e la carezza del vermuth, la commistione di due Spiriti, l'anglosassone e il latino, che ha sprigionato nuova poesia e diversa violenza, orrendo cattivo gusto [troppo forte! N.d.A.] e un nuovo senso di bellezza".

IL GIN E LA VODKA.  Sono ambedue spiriti neutrali di grano.  Costituiscono una delle due categorie principali degli spiriti.  L'altra include il rum, lo scotch, la tequila, il cognac, ecc., tutti spiriti che ritengono sapori della materia da cui sono distillati.  Uno spirito neutrale diventa gin con l'introduzione di profumi particolari, soprattutto quello di ginepro.  Il gin può essere definito vodka profumata.  Secondo me ambedue sono ugualmente adatti al Martini.  Era James Bond (vedi SHAKEN OR STIRRED? infra) a segnalare l'avvento del Martini vodka, fenomeno comunque americano, come altri aspetti del personaggio dell'agente segreto.

HARRY'S BAR.  Paolo Brunati (vedi AMBIGUITÀ E ANTINOMIA): "Evitare il martini cocktail all' Harry's Bar di Venezia".  Anche Sandro Viola (vedi RECENSIONI): il Martini servito qui "è l'unica zoppìa del migliore bar di tutta Europa".  Sono completamente d'accordo.  I miei sentimenti si trovano a p. xi di Martini, Straight Up (non tradotta in Edèsm).  Preparare il Martini in anticipo invece che su ordinazione e servirlo in un bicchierino da vodka non è nient' altro che un modo di distruggere il rito, l'estetica, e anche il sapore della bevanda.  C'è chi lo preferisce? È un gusto masochista.  Queste osservazioni non toccano la maestria di Ruggero Caumo, illustrissimo barman di questo bar.

MARTINI COCKTAIL ITALIANO.  Il punto cardinale: c'è ne uno.  Soltanto negli ultimi anni me ne sono reso conto.  Ci vorrebbe una indagine sul suo statuto nell'immaginario italiano.

MARTINI E ROSSI NEGLI STATI UNITI.  Il più antico riferimento alla ditta che conosco si trova su Bonfort's Wine and Spirit Circular, una pubblicazione per i commercianti di vini e di liquori, del 1894 (vol. 41, pp. 305-306).  L'articolo fu scritto dagli agenti americani della ditta.  Enfatizzano prima le proprietà igieniche della bevanda e ne consigliano parecchi bicchieri al giorno come misura preventiva contro le febbri.  Poi passano ad un altro argomento.  "There is hardly a cocktail that does not contain Italian Vermouth.  In fact, one of the most popular cocktails bears the name of the leading Vermouth, viz., Martini".  (In questo articolo c'è anche un'indicazione storica che implica che l'importazione del vermuth Martini comincò circa nel 1854, cioè nello stesso periodo di quella del Noilly Prat [cf. Edèsm, p. 107-108].)

ON THE ROCKS. L'unico argomento possibile in favore di questo Martini è quello di Umberto Eco: "permette di avere, nel corso della seduta, non uno ma almeno tre Martini" (Edèsm, p. 5).  Ma la perdita di eleganza, anzi di tutta una dimensione di piacere, è più importante del vantaggio apparente difeso da Umberto Eco.  Questa forma del Martini è da sconsigliare.

PERCHÈ UN LIBRO SUL MARTINI COCKTAIL?  Diverse risposte per le diverse edizioni.  Negli anni '70 un decennio che ha metabolizzato la rivoluzione sociale del decennio precedente con acqua minerale, birre leggere, e vino bianco come aperitivo, credevamo di vedere il tramonto del Martini.  Sembrava il momento giusto per un'elegia adeguata all'importanza che questo cocktail ha avuto nella storia sociale e anche politica degli Stati Uniti.  Negli anni '90 una prosperità enorme stava cercando forme adatte di espressione.  Nei gusti personali, così come nell'architettura e nelle altre arti, non c'erano idee guida.  Dunque lo stile retrò.  Era destino che in questo contesto sociale, il Martini, vecchia bevanda dei capitalisti, delle star, degli uomini di potere, trovasse il suo ruolo.  In un arco di tempo lungo più di un secolo aveva acquistato un "capitale simbolico" (Pierre Bourdieu) notevole, di cui la nuova generazione degli "swinger" voleva intaccare una parte per dare lustro al proprio capitale reale.  Non avevano però il gusto per il gin o la vodka e il vermuth; nel loro consumo di questo cocktail mantenevano soltanto il nome e il calice a cono, in cui versavano miscugli spesso molto strani.  Per lo studioso del Martini, era il momento di continuare la storia, di ripensare questo "capitale simbolico," di riscrivere il libro di venti anni fa.

PROPORZIONI DI GIN E VERMUTH.  Il dibattito sull'argomento è vecchio come il Martini stesso ed ormai globalizzato.  È lo spunto dell'azione nel racconto "Come si fa un Martini" di Marina Mizzau. Con la decisione sulle proporzioni tu metti in gioco non solo i tuoi gusti ma tutta la tua identità.  Rivolgiamoci comunque a questioni di ordine pragmatico.  Tutto dipende dalla percentuale di alcool del gin.  La regola: più alta la percentuale più grande la proporzione del vermuth. I gin di alta marca negli Stati Uniti hanno di solito almeno una percentuale del 46%, mentre quelli italiani hanno molto meno, circa il 40% e quindi ammettono poco vermuth.  Consiglierei 10:1.  La percentuale del mio gin preferito, Plymouth, 41.2%, è ideale.  Il gin esprime benissimo le sue caratteristiche senza distruggere con troppo alcool i vari profumi del cocktail.  A proposito, le proporzioni 16:1 di Umberto Eco sono un'allusione letteraria.  Vedi Ernest Hemingway, Di là del fiume e tra gli alberi, dove è spiegato che il Martini 15:1 è chiamato "Montgomery" dal generale inglese che non voleva attaccare a meno che le sue truppe non superassero quelle del nemico 15:1 (vedi Edèsm, p. 76).  Il Martini di Umberto Eco è forte come quello di Hemingway, ma con un grado in più.

RECENSIONI DI Edèsm.  Le ho trovate intelligenti e sofisticate tranne quella di Sandro Viola. Viola si lamenta di pagine superflue, inessenziali, sulla storia del Martini.  Sottointende che altri hanno già pubblicato storie del Martini.  "Edmunds indaga ancora ... ".  Viola non si è reso conto che Edèsm è la traduzione della seconda edizione del mio libro.  Come altri recensori hanno notato, la prima edizione era dell' '81.  A Viola vorrei lanciare una sfida.  Mi mostri un libro o un saggio sul Martini pubblicato prima dell' '81 in cui trova un'indagine simile alla mia.  Me ne mostri uno dopo l' '81 non derivato dal mio libro.  Le fonti storiche comunque preferite da Viola sono i barman e i compagni di bar.  È sulle chiacchiere di questa gente che fonda la sua critica.  Dovrei essere più tollerante.  Nei venti anni in cui sono stato al centro della discussione sul Martini, ho sentito spesso le innocenti querele di quei vecchi tipi che, avendo bevuto tanti Martini per tanti anni, credono di essere stati trasformati in esperti della storia e di ogni altro aspetto del cocktail, quasi che, avendo guidato una macchina per tanti anni, conoscessero la storia del motore a combustione interna e ne capissero la tecnologia.

RICETTA DEFINITIVA.  Quella mia.  Buttare via tutte le altre.  Tenere il gin e i bicchieri nel freezer.  Mettere cubetti di ghiaccio in una carafa di vetro o cristallo.  I cubetti di ghiaccio devono essere prodotti con acqua a basso contenuto di minerali e di acidi.  Evitare ogni oggetto di metallo.  Versare il gin e il vermuth, naturalmente Martini.  (Vedi PROPORZIONI.)  Mescolare con una bacchetta di vetro.  Non agitare.  Lasciar riposare un minuto per far recuperare la trasparenza.  Un po' di diluzione così introdotta fa il cocktail più gradevole.  Versare nel calice a cono.  Tagliare una scorzetta di limone priva, per quanto possibile, del bianco interno.  Sprizzare l'olio della scorzetta sulla superficie del cocktail.  (Lí da una certa angolazione, in una certa luce, si potranno vedere i puntini d'olio.)  Non toccare il bordo del bicchiere con la scorzetta di limone.*  Buttarla via.  Se si vuole un ornamento, fare uno "zeste" con uno "zesteur" e metterlo nel cocktail.  Olive a parte.  Non sono né attivista né un uomo pratico, ma vorrei che si bandissero le olive dal Martini cocktail.

* 17 giugno 2001.  Per un'eccezione raffinatissima vedi Ruggero Caumo, Ricordi del barman Ruggero all'Harry's Bar (Treviso: Vin Veneto,1999), p. 140.

SHAKEN OR STIRRED? MESCOLATO O AGITATO NELLO SHAKER? I barman americani della vecchia scuola mescolavano liquori bianchi in una carafa di vetro.  Agitavano liquori scuri, o ingredienti di pesi specifici diversi, in uno shaker di metallo.  E basta.  Questa era la tradizione del Martini cocktail, seguita dappertutto.  Poi è arrivato James Bond.  Nel romanzo Casino Royale di Ian Fleming del 1953, Bond dice al suo barman: "Shake it very well".  Era un piccolo dettaglio del machismo dell'agente segreto che si sarebbe anche potuto perdere.  Tre anni dopo, però, in Una cascata di diamanti, la richiesta "shaken not stirred" appare per la prima volta, uno slogan che si imprime subito nella mente di tanti bevitori del Martini.  Agitare il Martini in uno shaker non aggiunge niente al risultato, a parte una qualche, certo non bella, torbidezza.

 

 

 

 

© 2001, Lowell Edmunds