Malta April 2000 International workshop
Jointly responsible economy : past, present and future
Elisabetta BUCOLO – ricercatrice –
Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales et CRIDA di Parigi
Il terzo settore dell’economia solidale è l’espressione di una volontà di cambiamento sociale, di una evoluzione e come tale è un fenomeno sociale che possiamo definire « moderno ». Moderno anche perché si fonda, fra l’altro, su dei principi democratici forti : gli attori scelgono liberamente di aderire o no ad un progetto associativo, di partecipare alla definizione di tale progetto, di condividere dei valori comuni, di organizzare delle azioni di aiuto per le popolazioni svantaggiate e di agire per la realizzazione di progetti cooperativi. L’assenza di obiettivi di profitto è naturalmente l’unico mezzo per raggiungere l’obiettivo primo dell’insieme delle OTS che è un obiettivo di solidarietà. Cio’ che distingue l’azione delle OTS da quella del mercato o dello Stato è la tipologia delle relazioni. A differenza di un’impresa o di un’amministrazione, che richiedono necessariamente l’espletazione di funzioni impersonali ( vale a dire che le persone ed i legami fra queste, restano in secondo piano rispetto al compito che espletano ed ai beni che producono ), nel terzo settore le persone ed i legami relazionali contano più delle funzioni che gli individui portano a termine o dei beni che producono.
Quindi le relazioni privilegiate fra produttore di beni e servizi ed utente di una OTS e l’insieme delle relazioni che si instaurano al suo interno fra i vari membri, possono essere definite delle « relazioni dirette personalizzate ».
Proprio perché il TS è l’espressione delle relazioni personali dirette, della solidarietà che dal locale si allarga all’internazionale, degli scambi equi, mi sembra utile ed evidente mettere in risalto il legame che, a moi parere, esiste naturalmente fra TS e comunità tradizionale di prossimità. E’ infatti nell’ambito famigliare, nei rapporti amicali, che il legame fra le persone e le personalità individuali valgono più del fatto di sapere se ognuno espleta bene questo o quell’altro compito ( cfr. La distinzione fra socialità secondaria e socialità primaria di Alain Caillé). E’ nelle reti di vicinato, nella vita del quartiere, che si esprime l’agire solidale per delle cause comuni…
Le comunità tradizionali, ben prima dell’economia di mercato, hanno instaurato a livello locale delle forme di controllo sociale e scambio delle risorse che hanno regolato la vita sociale dei gruppi su delle basi prioritarmente relazionali. Il fatto economico è completamente integrato nel fatto sociale, trovando in esso la sua ragion d’essere. Cio’ che vorrei dimostrare in questa sede è che attraverso uno sguardo attento al passato, alle tradizioni, è possibile considerare diversamente le esperienze del presente e fare delle proposte per il futuro, creando in questo modo una tensione dinamica, e non una rottura, fra passato, presente e futuro. In effetti, a mio parere, non si tratta di inventare nuove forme di economia perché la forza delle esperienze del terzo settore moderno risiede proprio nella capacità di saper recuperare e rifuzionalizzare delle forme relazionali tipiche delle società tradizionali, che sono l’espressione di un principio economico altro rispetto a quello di mercato. Riaffermando in tal modo il legame intrinseco che esiste fra società ed economia.
Karl Polanyi, già nel 1944, spiego’ come all’indomani dalla rivoluzione industriale si sia imposta una logica mercantilista che ha trasformato le relazioni fra gli uomini e fra questi e la natura. Fu proprio questa « grande trasformazione » che, imponendo la priorità delle logiche di mercato, contribui’ a sganciare definitivamente l’economia dal sociale. La società è in tal modo divenuta un sottoprodotto dell’economia, interamente altra rispetto ai mercati finanziari, al mercato del lavoro, al commercio, altra rispetto agli equilibri artificiali fra domanda e offerta.
Cio’ su cui vorrei insistere è proprio questo sganciamento fittizio, questa separazione netta fra la società e l’economia, che crea i macroscopici disfunzionamenti ai quali le nostre società sono confrontate.
In effetti ogni società si è organizzata secondo il principio economico più consono alla sua sopravvivenza ed alla sua organizzazione proprio perché l’economia è funzionale alla società e non viceversa. Polanyi elenca quattro principi : il principio di mercato, la redistribuzione, la reciprocità, principio dell’amministrazione domestica . Il terzo settore dell’economia solidale non è altro che il modo della società civile organizzata di recuperare e far prevalere il principio economico della reciprocità e del dono e di reintegrare questo modo di « fare economia » nel vissuto sociale, oggigiorno completamente annichilito dagli effetti dell’economia di mercato.
Non si tratta quindi di inventare dei nuovi modelli economici, ma semplicemente di affermare che l’economia, quella vera, è « plurale ». Proprio perché risultato di vari principi economici che interagiscono fra loro, in misura e condizioni diverse a seconda dei contesti sociali.
Le pratiche delle OTS sono quindi l’espressione della embedness (dell’incastro) tra sociale ed economico, il risultato di processi comunitari di aiuto reciproco per il bene comune, istituzionalmente configurati. La loro azione è di lungo periodo e di grande pazienza e naturalmente si scontra con molteplici problemi esterni ed interni : dalla gestione delle risorse per il funzionamento, ai difficili equilibri fra logiche di lavoro volontario e logiche di lavoro salariato, fino agli ostacoli politici a livello istituzionale e all’impatto con il territorio, etc…. E questo proprio perché resta integrata in un panorama più vasto ove agiscono, ed interagiscono, gli altri due poli quello del mercato e quello dello Stato.
Come si concretizza sul terreno, ed in particolare in area Mediterranea, questa continuità fra l’azione del terzo settore « moderno » e comunità locali ? Come si articolano le interazioni e le passerelle fra questi due ambiti ?
I sevizi di prossimità offerti dalle OTS, siano esse cooperative sociali, associazioni o ONG, si inseriscono in un campo complesso di forze, prendono posto al centro di una costruzione originaria che occupa gia’ i luoghi fisici e simbolici nei quali vuole integrarsi.
E noi sappiamo bene che, la cultura tradizionale agisce come elemento attivo nelle terre e sulle coste del Mediterraneo.ed è, in virtù di questo, possibile mettere in evidenza i caratteri di « un’appartenenza mediterranea » che si compone di molteplici elementi.
In primo luogo i legami solidali a livello familiale, di vicinato e comunitario. Sulla base di questi rapporti solidali di aiuto reciproco le comunità hanno potuto delimitare simbolicamente il loro luogo di appartenenza, hanno stabilito dei codici comuni di comportamento e di riferimento, paralleli e
complementari a quelli instituzionali o di mercato, indispensabili alla sopravvivenza dei gruppi sociali e dipendenti dal posto di ciascuno all’interno del gruppo.
In secondo luogo i sistemi di scambio di beni fondati sul dono ed il controdono, sul piacere del contrattare, sull’utilizzo della parola come sola garanzia dello scambio, sulla fiducia reciproca o la minaccia verbale, sullo scambio amicale o d’interesse. Il rapporto alle merci non è solo fatto del tempo consacrato a produrle, ma è fatto anche di passione e di pazienza. E lo scambio è il risultato di una contrattazione più o meno lunga che non ha come unico scopo il passaggio della merce da un proprietario all’altro, ma anche quello di stabilire una relazione di amicizia o di convenienza, ma pur sempre una relazione indispensabile. (cfr. una passeggiata alla Vucceria o al Borgo di Palermo).
Le esperienze di economia solidale sul territorio mediterraneo entrano necessariamente in contatto con questo substrato di relazioni e, più o meno consapevolmente, hanno bisogno di adattarsi a dei codici già esistenti localmenete. Alcuni di questi codici rendono piu’ viabile la loro azione sul territorio.
A questo proposito vale la pena di fare qualche esempio. Nei quartieri "difficili" di Palermo operano da anni dei centri sociali gestiti da associazioni locali, ONG o cooperative. I servizi offerti nei primi anni, erano fondamentalmente orientati verso i bambini : doposcuola, corsi di teatro, scambi internazionali, giochi di comunità, etc…Ma ben presto, le attività organizzate si sono allargate alle donne. La scelta non è casuale : essa è dipesa innanzi tutto dall’urgenza di situazioni di esclusione che toccano più direttamente le donne, ma al tempo stesso tale scelta ha una valenza fortemente simbolica. Le donne, da sempre, sono un vettore di cambiamento sociale. Il loro ruolo sociale è estremamente forte perché crea il legame, la paserella indispensabile fra il mondo privato della famiglia e quello pubblico, dal cortile alla piazza ( luogo che è piuttosto degli uomini). Ed è proprio in questi luoghi pubblici che si espletano le attività dei centri sociali. L’accettazione dei centri sociali da parte delle popolazioni dei quartieri è avvenuta gradatamente, ed in particolare all’indomani della partecipazione delle donne alle attività. I sistemi di controllo sociale, feroce in area mediterranea dove manca una presenza istituzionale che garantisca almeno una parvenza di ordine e destinati in particolare alle donne, sono stati in parte smorzati dall’effetto di "emancipazione" generato dai centri sociali attraverso le attività proposte alle donne. Tuttavia, al tempo stesso, i centri sociali hanno dovuto adattare le loro metodologie di azione al territorio. Il cortile, luogo del dialogo fra le vicine dove si snoda e passa in rassegna tutta la vita del quartiere, è diventato anche il luogo delle assembleee e degli incontri del centro sociale. Prima tappa di un percorso che potremmo definire a cerchi concentrici : dalla famiglia (la donna), al cortile, alla piazza, all’insieme della comunità. Percorso che si rivela indispensabile per far si che i servizi offerti dalle OTS possano veramente avere gli effetti desiderati a livello locale.
Altro esempio :
La costruzione di reti solidali di aiuto reciproco e di aiuto diretto alle persone in difficoltà è chiaramente uno degli obiettivi primi delle OTS. E questo si realizza attraverso cio’ che abbiamo definito " le relazioni dirette personalizzate" che creano naturalmente delle forme di fiducia reciproca fra gli operatori e gli utenti. Al tempo stesso, molti centri sociali hanno ricalcato la loro azione sui legami già esistenti. Nel quartiere dell’Alberghiera a Palermo, rinomato per essere uno dei quartieri più poveri e a delinquenza dilagante, tutte le persone anziane erano già mobilitate in una sorta di rete di aiuto per i "malati" del quartiere, impossibilitati negli spostamenti e quindi costretti a casa. Questo perché fra i valori tradizionali quello della solidarietà di vicinato ha una preminenza fondamentale, nel bene e nel male. I vicini non sono altro che la famiglia allargata per la "generazione dei nonni e delle nonne" !. Ed proprio sulla base di questo "valore tradizionale" che si è articolata l’azione del centro sociale, che i volontari hanno potuto individuare, senza difficoltà, chi nel quartiere necessitava di un servizio di aiuto a domicilio…
Si tratta certo di esempi non esaustivi che andrebbero meglio specificati, ma bastano per affermare legittimamente che , il TS partecipa, certo, alla ricostituzione di reti solidali sul territorio secondo dei principi e metodologie che gli sono propri ma questo passa attraverso la rifunzionalizzazione di cio’ che esiste già, esplicitamente o meno, a livello comunitario. Cio’ dà vita alla produzione di modi di relazione inediti non solo fra gli operatori, ma anche fra questi e gli utenti locali, sia nel modo di offrire i servizi sia nel modo di produrre beni.
Fra i sistemi "primari" – naturali, spontanei, conviviali – della solidarità familiare allargata ed i sistemi formali del TS si instaura quindi un interscambio. Cio’ permette all’azione sul territorio di essere più puntuale, perchè in rapporto diretto con la cultura locale.
In conclusione, è possibile a mio parere affermare che le reti familiari, di vicinato, di comunità, costituiscono una risorsa, grazie alla permanenza di solidarietà privilegiate, e divengono delle opportunità per la società intera grazie ed attraverso le interazioni possibili con le esperienze dell’economia solidale. E cio’ con tutti i limiti che questa affermazione comporta e senza entrare nel vivo del dibattito.
Naturalmente le frontiere ed i limiti di questa interazione sono molto delicati soprattutto a causa di tutte quelle costruzioni sociali che hanno fatto della zona mediterranea, per molti, il luogo della permanenza delle tradizioni stigmatizzanti : l’onore, la competizione degli uomini e dei gruppi, il controllo sociale, la disuguaglianza marcata fra gli uomini e le donne, il clientelismo ed altro ancora. Tuttavia, in questa sede mi è sembrato più opportuno sottolineare gli aspetti fecondi di questo incontro / scontro fra cultura tradizionale e modernità del terzo settore in area mediterranea, proprio perché potrebbe, a mio parere, essere una delle chiavi per la viabilità di uno sviluppo locale che non sia solo sinonimo di crescita economica, ma che si fondi, in primis, sul rispetto del tessuto sociale, dei valori culturali comuni e dei sistemi tradizionali già esistenti sul territorio.
© Elisabetta Bucolo - April, 2000