Da
"Revue d'Historique celtique"
I SALASSI
di Liam A. Silcan
Abstract:
The Salasses
by Liam A. Silcan
Celtic tradition of the west Alps
countries in the north of Italy (Cisalpine Gaul) dates back to the ancient
times we are not used to think of and still lives nowadays in the popular
culture, the toponymy, the dialects, the legends, the music, the art and
the common imaginary of local people. The Celts set up in these lands before
arriving in Ireland, Scotland or Great Britain and kept their own culture
and traditions even after the roman settlement . The Salassi were a small
tribe and once they reached the communication ways between the Cisalpine
and Transalpine Gaul, they established themselves and reigned for long
time the area from the Mont Blanc to the surroundings of Turin.
Abrégé:
Les Salasses
de Liam A. Silcan
La tradition celtique des pays
des Alpes occidentales de l'Italie du Nord ( Gaule Cisalpine) remonte à
des époques beaucoup plus lointaines de ce qu'on pourrait l'imaginer
et elle vit encore de nos jours dans la culture populaire, la toponymie,
les dialectes, les légendes, la musique, l'art et l'imagimaire collectif
des populations locales. Les Celtes ont franchi ces terres avant encore
d'arriver en Irlande, en Ecosse ou bien en Angleterre et ils ont conservé
la propre culture et les traditions meme après la romanisation.
Les Salasses étaient une tribu mineure qui après avoir occupé
les voies de communication entre la Gaule Cisalpine et la Gaule Transalpine,
ont régné pendant très longtemps sur toute la zone
du Mont Blanc jusqu'aux alentours de Turin.
È ipotizzato da alcuni autori
che, agli inizi del primo millennio avanti Cristo, i Salassi fossero una
tribù celtica residente da qualche parte dell'Europa Centrale, nell'orbita
della cultura di Hallstatt, derivando così il nome, forse, dal commercio
del sale (celtico "saa", gaelico moderno "salann", latino "sal") o, come
proposto in passato da D'Arbois de Jubainville, dal fatto di provenire
dalla zona del fiume Saal affluente dell'Elba.
Probabilmente per un eccesso di
popolazione dovuto all'aumentato benessere legato ai commerci del sale
e al fiorire della cultura di Hallstatt, come accadde spesso a quei tempi,
ad un certo punto la tribù si divise e mentre una parte dei Salassi
sarebbe rimasta ad occupare i siti aviti, l'altra si mosse lungo l'antica
Via del Sale che, partendo dalle miniere di Hallstatt, attraverso vari
valichi alpini, giungendo sino al Mediterraneo lungo una serie di percorsi
alternativi di cui rimane traccia nei toponimi più antichi. Di qui
i Salassi giunsero ad insediarsi in Canavese e Valle d'Aosta, uno dei nodi
cruciali di tali transiti, per esercitarvi il proprio controllo. Anche
qui, come in tutti gli altri casi, dovette aver luogo una sostanziale sovrapposizione
con i gruppi umani già stanziati in zona al tempo del loro arrivo.
Daltronde, di una più che
probabile separazione dei Salassi da un nucleo principale rimasto nelle
aree danubiane, permane comunque traccia nella stessa storia bellica romana.
Nel 53 a.C., come narrato da Appiano Marcellino, i generali romani Antistio
Vetere e Messala Corvino, nel corso delle guerre Illiriche nelle marche
danubiane del Norico, si scontrarono tra le altre proprio con la tribù
dei Salassi.
In Valle d'Aosta, finora, sono decisamente
pochi i reperti ufficialmente attribuiti ai Salassi e in assenza di una
campagna di scavi studiata a tavolino e accuratamente pianificata con l'ausilio
di prospezioni aeree, non resta che sperare in qualche fortuito ritrovamento
sufficientemente importante da rilanciare l'interesse per una ricerca più
accurata.
Per quanto attiene ai siti celtici
della Valle d'Aosta, basta attenersi quelli attestati dalla toponomastica,
come l'antica cittadella Salassa di "Arebrigium" da "are" presso, e "briga"
altura. Arebrigium (Arvier) si può dunque tradurre come "luogo posto
presso la rocca" o ""ai piedi delle cime", si possono ricordare i villaggi
di Bard (toponimo comune su entrambi i versanti del Monte Bianco, può
farsi risalire dal gallico "barro" sommità cinta di legno, in irlandese
"burr": cima, in gallese "bur": testa, sommità), Chambave (derivato
dal gallico "camb" ricurvo in gallese "camm", e dal suffisso "ava"), Ronc
(in gallico "collina") ecc.
Può qui essere interessante
ricordare anche le annotazioni di alcuni degli studiosi del passato, testimoni
di ritrovamenti fortuiti di reperti oggi purtroppo dispersi.
Annosa e discussa è la affermazione
del De Tillier circa l'esistenza di una capitale dei Salassi, Cordela,
che sarebbe dovuta sorgere nei pressi o nella stessa area ove oggi sorge
la città di Aosta. Il ricco apparato mitico con cui egli presentò
i Salassi come discendenti nientemeno che del semidio Ercole, gettò
però nel discredito tutte le sue tesi sugli stessi e le teoria di
Cordela resta a tutt'oggi ancora da verificare sul campo degli scavi archeologici.
Il Tibaldi definisce i Salassi come
precipuamente "dediti alla pastorizia e alla caccia", riportando, tra altri
più comuni e generici, un dato specifico estremamente interessante
per la luce che getta sugli aspetti di vita quotidiana. "Non si può
mettere in dubbio il fatto che una quantità ragguardevole di cinghiali
o porci selvatici albergasse nelle selve valdostane. Ogni sterro che si
eseguisca nella città rinvengonsi sempre numerosi grifi e zanne
di questi pachidermi." E a questo proposito è notorio che il cinghiale
era uno degli animali simbolici tra i più presenti nella cultura
dei Celti, mentre il maiale selvatico era allevato e cacciato in tutti
i loro insediamenti. Ancora una volta ne troviamo conferma nelle ballate
irlandesi e gallesi, giunte sino a noi attraverso i secoli più bui
grazie all'opera dei monaci amanuensi cristiani, quando ci parlano dei
banchetti, sottolineando come cinghiale e maiale selvatico fossero considerati
il piatto più apprezzato, quello da cui veniva preteso il boccone
dell'eroe, causa di tante epiche lotte.
Se il primo a scrivere delle Alpi
Occidentali fu Erodoto nel V° secolo a.C. nelle sue "Storie", fu invece
Plinio il Vecchio nella sua "Storia Naturale" a introdurre per la prima
volta i Salassi nella Storia scritta, narrando della sconfitta romana del
143 a.C.
A quell'epoca, dei Salassi, gli
autori classici già sapevano di come estraessero l'oro, forse più
dal lavaggio delle sabbie aurifere della Dora Baltea che non da effettive
miniere, peraltro sempre miticamente descritte ma mai trovate. (Verosimilmente
alcune di queste potevano essersi trovate nella Bassa Valle d'Aosta, lungo
la dorsale della Val d'Ayas come proposto da Bessone.) Plinio, dal canto
suo, ci precisa che le miniere dei Salassi si estendevano fino a Vercelli,
mentre Strabone narra di come il vasto impiego di acque nel lavaggio delle
sabbie aurifere causasse continui attriti con le popolazioni agricole della
piana, a quel tempo già alleate dei Romani.
Nel 143 a.C., durante il Consolato
di Appio Claudio, proprio sfruttando uno di questi pretesti, i Romani inviarono
le legioni ad affrontare i Salassi, subendo però un terribile rovescio,
nel quale l'esercito romano, per loro stessa ammissione, perse più
di 5.000 uomini.
Lo scontro avvenne probabilmente
sul confine delle terre salasse con quelle dei Taurini alleati di Roma.
Il fatto che la tradizione designi quale luogo dell'ultima grande vittoria
salassa sui romani le campagne tra Verolengo e Brandizzo è significativo
di quanto dovesse estendersi la loro influenza ai tempi di massima espansione.
Tre anni più tardi, nell'estate
del 140 a.C. furono i Romani a vincere, e questa volta i Salassi e le tribù
loro collegate dovettero ritirarsi nelle valli montane, cedendo le loro
aree estrattive meridionali, compresi i famosi sabbioni della Bessa, da
allora in poi sfruttati dai Romani stessi.
Appio Claudio per quella vittoria,
avendo ucciso più di cinquemila nemici come prescritto, chiese al
Senato di Roma di poter celebrare il trionfo; ma in considerazione della
sua precedente clamorosa sconfitta tale onore non gli fu accordato, ed
egli, per non rinunciarvi, se ne accollò direttamente le spese,
aggirando così il divieto del Senato.
Nel 100 avanti Cristo il Senato
Romano decise la deduzione in colonia militare di Eporedia (Ivrea) con
lo scopo dichiarato di sbarrare la via della pianura alle continue scorrerie
e saccheggi operati dai Salassi. Fattori non dichiarati, ma certo non meno
determinanti nella deduzione della nuova colonia (che peraltro non servì
mai a nulla come argine militare alle periodiche calate a valle dei saccheggiatori
Celti come ci informa lo stesso Strabone), furono l'importanza commerciale,
dell'ubicazione di Ivrea e la necessità di assegnare la terra ai
circa tremila ex-legionari che vennero premiati con un podere per il loro
ventennio di servizio, e che vi si stabilirono, come coloni, con familiari,
servi e schiavi.
Insediamenti Salassi dovettero tuttavia
sopravvivere nel Canavese ancora per parecchi anni senza venir mai del
tutto cancellati, come confermato da vari toponimi, quali ad esempio quelli
dei paesi di Salassa e di Salussola nei pressi di Ivrea.
Negli anni seguenti, nonostante
la crescente influenza romana sui Celti Cisalpini, i Salassi mantennero
una notevole indipendenza non disdegnando spesso di provocare pericolosamente
il gigante Romano.
Religiosità
Salassa
( per cortesia dell'Araldo di Thule, riproduzione
vietata)
---
Abbiamo già parlato , nei numeri scorsi
, della civiltà e della lotta salassa. A conclusione di questo ciclo
, perchè non sembri troppo archeologica la nostra ricerca,e peron
tediare i lettori,affronteremo la ritualità di questa valorosa popolazione
alpina. Noi parliamo, qui, esclusivamente al cuore di chiunque si
senta proteso verso le radici celto-germaniche delle nostre terre:
preferiamo dare motivi evidenti di orgoglio , ed a questo scopo si
offre unicamente la ricerca che sarebbe -sì- di pura archeologia
se noi non trattassimo la pietra e la terra alla stessa maniera del sangue
che ci scorre nelle vene.
Offriamo l'opportunità ai discendenti
delle tribù celtiche degli attuali territori , di poter affrontare
la storia dei loro popoli sulle pagine dell'AdT.Perchè solo sentendo
l'eredità anchestrale all'interno di sè si possono raccontare
le gesta degli Avi.
Tra il territorio piemontese del Canavese
e la Valle d'Aosta sono presenti numerosissime incisioni rupestri e monumenti
megalitici ,in alcuni di questi è possibile "leggere" la ritualità
pagana legata al concetto che i Celti possedevano della loro "Religione
naturale".
La maggior parte di queste costruzioni
rituali consiste in sistemi di coppelle, mediante i quali veniva fatto
defluire il sangue tra la pietra durante i sacrifici,almeno secondo
le interpretazioni più ricorrenti; tutte queste incisioni
sono comuni a quelle che si ritrovano sull'area elvetica ed alpino-francese.
Il collegamento più prossimo di queste incisioni risiede esclusivamente
nel rito , sul significato del quale non abbiamo collegamenti -in continuità-
col mistero druidico; da scartare, tuttavia, è l'ipotesi "astronomica"
( -cioè- di un riscontro speculare tra le coppelle e le varie costellazioni).
Incerta è pure l'ipotesi di una "cristianizzazione " delle coppelle
, laddove ve ne siano presenti come nella "pera dij crüs" , cioè
sotto l'aspetto cruciforme (in diverse monete celtiche -come quelle degli
Osismii -vi è il riscontro con simili forme ). Al riguardo di tale
teoria va collegata l'ipotesi di un utilizzo di tali massi in funzione
di veri e propri "altari", infatti "per altri ricercatori le coppelle furono
in gran parte scolpite sui massi usati come ara per sacrifici, anche umani.
Quest'ultima proposta ha trovato un'eco del tutto particolare in
quelle zone dell'Europa in cui le popolazioni celtiche hanno lasciato un
concreto segno del loro passato. I riti spesso cruenti dei Druidi , i sacerdoti
depositari degli insegnamenti divini , trovarono nei grandi massi il supporto
ideale per le loro sanguinarie celebrazioni. Poichè spesso le coppelle
sono collegate da canaletti , a loro volta incisi nella pietra, con un'impostazione
grafica a prima vista priva di una funzione iconografica , reale o simbolica,
si è pensato di individuare in questi percorsi obbligati un sistema
per trasferire il sangue della vittima immolata dall'altare alle singole
coppelle.In questo caso la cavità svolgeva l'incarico di raccogliere
il sangue del sacrificato , trattenendolo nella materia litica: figlia
prediletta della terra in cui ogni cosa trova origine e fine". In riferimento
al tema del sacrificio è bene ricordare il cosiddetto Bicefalo di
Pian Audi, che riporta, oltre al riferimento a Giano, al culto della testa
umana, comune tra i Salassi che collegavano questo rito al sacrificio del
taglio rituale del capo (cosa testimoniata anche da diverse fonti romane).
Le stesse coppelle sono poi visibili
in alcune costruzioni contadine della Valle d'Aosta , dove venivano ad
essere utilizzate come luoghi deputati per offerte "rituali"
, come accadeva
-generalmente- tra le etnie celtiche d'oltralpe
con la forma delle donazioni calate nei "pozzi rituali"...non di rado le
coppelle murate sull'esterno delle case contadine, risultano essere
autentiche opere a carattere religioso recuperate e riutilizzate a scopo
augurale. A riprova di una comune "Memoria Ancestrale", i motivi delle
incisioni rupestri vengono spesso a collimare con gli oggetti artigianali
fabbricati proprio dagli attuali abitanti delle
zone interessate ( un vasto campione di studio è offerto dai tipici
marchi da burro ).
L'esorcismo della coppella, laddove non
è avvenuto attraverso la brutale distruzione, potrebbe essersi
svolto -in epoca cristiana - addirittura attraverso la diffusione dell'acquasantiera
come strumento di perpetua purificazione al momento dell'intrusione nel
luogo "sacro".
Al di là delle coppelle,
il secondo simbolo nelle incisioni canavesane è quello che le popolazioni
che i discendenti dei Salassi oggi chiamano labirinto o Grissia ( un gioco
in passato abbastanza diffuso e simile alla dama) ; nel territorio di Quincinetto
(esattamente tra Canavese e Valle d'Aosta) si trovano incisioni del tutto
simili a quelle ritrovate in un cippo celtico francese del Finistère
( Pont-l'Abbé ), che noi definiamo come Cinta Druidica e che ,
nei territorì d'oltralpe , ha trovato più di una interpretazione
tra le menti più acute . Il cippo ha una forma vagamente piramidale
ed è bordato con una greca, in alto e con motivi concatenati a "S"
sulla base.
Al riguardo del significato di questa cinta
è dedicata le sezione di un capito de "I Simboli della Scienza sacra"
di René Guénon , ed -in particolare- viene citato uno studio
antecedente di J.Loth (L'"Omphalos" chez les Celtes , nella Revue des Études
anciennes, luglio-agosto 1915).Sulla variante più comune, quella
della Triplice Cinta Druidica [ tre quadrati concentrici uniti da quattro
linee ]viene offerta l'associazione con figure similari sull'Acropoli di
Atene.
Un esempio di triplice cinta è riscontrabile
a Barzino , nella quale ricompare la cinta di Quincinetto quadruplicata
!
Al riguardo del mistero del significato
della cinta così scrive il Guénon :
" Ora, quale può essere il significato
di queste tre cinte ? Abbiamo subito pensato che dovesse trattarsi di tre
gradi di iniziazione , sicchè il loro insieme avrebbe rappresentato,in
certo modo, la figura della gerarchia druidica ; e il fatto che la medesima
figura si trovi anche altrove indicherebbe che esistevano, in altre forma
tradizionali , delle gerarchie costruite sullo stesso modello cosa questa
perfettamente normale. La divisione dell'iniziazione in tre gradi
è d'altronde la più frequente e, potremmo dire, la più
fondamentale; tutte le altre rappresentano in definitiva, rispetto ad essa
, soltanto delle suddivisioni o degli sviluppi più o meno complicati.[...]E'
opportuno notar bene che la spigazione che ne offriamo non è per
nulla incompatibile con certe altre , come quella accolta da Le Cour ,
secondo la quale le tre cinte si riferirebbero ai tre cerchi dell'esisenza
riconoscuti dalla tradizione celtica... "
Con le nostre -ulteriori- considerazioni
, non faremmo altro che aggiungere ipotesi ad un mistero che rimane inalterato
, voluto tale dai Druidi stessi, scolpito nella roccia... a ben pensare
anche tra le innumerevoli ,ipotetiche ricostruzioni "grafiche" di Stonehenge
, potrebbe comparire una triplice cinta.
Appare evidente che corriamo il rischio
di far apparire i nostri intenti come eccessivamente documentaristici,
perdendo di vista la funzione stessa del rito...il punto è proprio
questo , abbiamo una sola ed unica possibilità per ritrovare ciò
che è andato inevitabilmente perduto in questi secoli: dobbiamo
ricercarlo nel sangue , perchè il nostro sangue è lo stesso
scolpito e scavato lì nella pietra.
Accanto alle are druidiche ed alle cinte
catalizzatrici dei energie erano presenti altri culti nella parte
meridionale del territorio salasso, in gran parte atti a scatenare le energie
di fertilità della cominutà popolare. Si contano , infatti,
numerosi menhir per tutta la regione : come quello di Lugnacco , in Valchiusella,
villaggio sacro al Dio Lug ( vedi n.ro precedente dell'AdT) , che oggi
giace lungo il muro perimetrale del cimitero locale. Ancora ai nostri tempi
è in uso , tra le donne che desiderano rimanere incinte,sedersi
per qualche attimo sul menhir adagiato al terreno... "andare a Lugnacco
per cercar marito", tra le donne valchiusellesi, sarebbe un detto che nasconde
una antica tradizione religiosa , oltre ad un riferimento alla "faciloneria"
degli uomini del piccolo paese.Ancora dalle torbiere della Valchiusella
, sono stati ritrovati pendagli fallici che , all'inizio del secolo , le
donne portavano sotto forma di croce con cerchietti sulle estremità
(il Grupìn).
Anche per ciò che riguarda i monumenti
sacri alle etnie celtiche, nel corso dei secoli si sono susseguite notevoli
barbarie per soffocare i culti pagani ed i residui di queste pratiche durante
le innumerevoli cacce alle streghe ( sulle streghe canavesane, riportiamo
-anche qui- il lettore al numero precedeente del nostro periodico). Molto
spesso si assiste , anche oggi -in tempi di relativa tregua "spirituale"-
all'opposizione di qualche pretino di provincia, di fronte ai progetti
di restauro o di ricollocamento di queste "blasfeme costruzioni a carattere
fallico". E' una realtà, infatti, che nei pressi di quasi tutti
i menhir venissero svolti - in piena epoca cristiana- diversi riti più
o meno similari a ciò che prescriveva la tradizione druidica. Ciò
che accadeva nell'attuale territorio salasso, veniva svolto , in maniera
forse più "cosciente" nella Grande Gallia : alla pietra di Kerolas,
a Berrien [ di forma fallica, con due rigonfiamenti alla base] la tradizione
popolare, come denunciato dall'autorità ecclesiastica sin dal 900d.C.,
prevedeva che i due promessi sposi, nella notte di Luna Piena precedente
al matrimonio, si recassero alla pietra per sfregare il ventre sulle basi
sferiche del masso. Questa attività sarebbe stata utile all'uomo
per produrre un seme sano ed -alla futura moglie- per generare una prole
senza tare genetiche. Ancora a Saint-Samson-sur- Rance, su uno dei menhir
inclinati chiamato "èrussos", le giovani nubili si lasciavano scivolare
con le vesti sollevate sul bordo del megalite, al termine di questa pratica
-quantomeno"rischiosa"- se dimostravano di avere i glutei senza la minima
escoriazione, avrebbero avuto il consenso comune per cercare marito entro
l'anno.
Un altro grande luogo di culto per i Celti
cisalpini e transalpini era rappresentato dal Cromlech del colle del Piccolo
San Bernardo , questo cerchio di pietra è posto tra il versante
francese e quello italiano, è costruito con 46 pietre disposte su
un diametro di 72 metri , nei pressi del Cromlech è presente una
colonna con la statua di San Bernardo, dove le leggende locali dicono fosse
presente un rubino chiamato l'occhio di Giove (sono stati ritrovati ,al
riguardo un pugnale dell'età del Bronzo con l'effige di Ercole ,
il leggendario padre dei Salassi ed un busto romano-gallico di Giove).
L'esempio del Cromlech e dell' Henge come viene chiamato oltremanica, è
presente in ogni parte d'Europa; raramente si assiste ad un esempio di
profanazione simile a quello nostrano. I Romani avevano accuratamente provveduto
a deviare una loro strada per non disturbare il culto degli autoctoni,
rispettosi delle altrui tradizioni religiose, oggi la Strada Statale del
Piccolo San Bernardo taglia di netto l'area, esempio di ciò che
noi abbiamo il dovere di combattere nel modo più assoluto.
Non mancano le rivalutazioni della
cultura locale, come è accaduto nel Canavese, a Mazzè, dove
il Menhir [ h- m 4,20] che giaceva come argine per la diga sulla Dora Baltea,
è stato recuperato e posto in un'area protetta, un'esame attento
della base del momolite ha rilevato la presenza di un'ossidazione tipica
della materia litica posta a contatto con aree cimiteriali .
Ecco, dunque, in questo sunto, l'immagine
della Religione dei nostri antenati Celti: una religione che nasce nella
Pietra, che oggi si rivela ai nostri occhi solo tramite gli spiriti elementali
che circondano quelli che i loro primi osservatori definirono "lucus",
folletti, fate, dèmoni che la pietra manifesta come energie che
- a noi profani - non potrebbero esprimeersi meglio. Accendiamo i nostri
fuochi nella notte di Samhain, accendiamoli nel Sangue del nostro Spirito,
accendiamoli sul corpo della nostra Terra, perchè solo la nostra
fierezza può aiutarci a ricordare la nostra Eredità Ancestrale.
Paolo GAUNA