La lotta di un’etnia alpina : i Walser
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     Se vi capita di girovagare, qui in Piemonte, nei pressi della Val Sesia o nella Valle Anzasca, fate una tappa in una delle isole etniche e linguistiche costantemente minacciate dalla colonizzazione culturale . E’ opera ardua la datazione delle prime "Walserwanderungen",  migrazioni del popolo Walser, minoranza piemontese di lingua tedesca. Secondo alcuni, la loro presenza è attestata dalla metà del Duecento, tuttavia, la loro preesistenza nelle valli piemontesi è tutt’altro che improbabile, ma anche in questo senso, non faremo altro che esporre le svariate e più comuni ipotesi relative alle prime migrazioni... La loro cultura, il loro sangue e la loro lingua, potrebbero essere l’ultima eredità dei Padri dai quali discendono le genti delle nostre terre. Il popolo Walser  avrebbe origine da una tribù germanica che, intorno al 500 dopo Cristo si insedia sull’autopiano bernese in seguito ad una prima, grande migrazione, il loro insediamento sull’alta valle del Rodano è di qualche secolo dopo. Seguendo il corso dei fiumi , lungo il Rodano, raggiunsero l’Alta Savoia  e, seguendo il corso del Reno, l’altopiano di San Gallo, i Grigioni ed il Vorarlberg. A questo punto della storia "ufficiale", grazie ad un’unificazione territoriale svizzero-piemontese ad opera dei Conti di Biandrate (Novara) ed i Signori del Vallese, i Walser entrano, di fatto, in area padana.
    I due più antichi insediamenti germanici nella zona di Gressoney  vengono fatti risalire ad un’epoca compresa tra 700 e 800, datazioni decisamente "longobarde". Anticamente , è appurato, queste isole germanofone piemontesi avevano un’estensione ben più ampia. Si può ripercorrere anche la storia dei toponimi locali, visto che i Longobardi  modificavano i toponimi celtici in modo da mantenerne l’essenza originaria ( a differenza di ciò che è stato fatto dagli Italiani in epoche ben più recenti in tutte le "terre di confine" , Piemonte compreso, basta  leggere i nomi in italiano  dei paesi walser per capire il grado di correttezza dei "traduttori"... i Longobardi non avevano tendenze imperialistiche, ed è per questo che oggi noi non parliamo una tra le nostre antiche lingue).

  Il vessillo walser adottato al di qua delle Alpi sfoggia i colori bianco e rosso , al pari di quella del Cantone Vallese, al centro, disposte ad ovale, si trovano dieci stelle, simbolo delle attuali comunità : Gressoney, Ayas ed Issime ( Val d’Aosta), Alagna, Rima e Rimella (Vercelli, Piemônt), Macugnaga, Salecchio, Formassa ed Ornavasso (Novara, Piemônt) ad esse viene aggregata la comunità di Borgo Ticino (Ticino). Per ciò che riguarda le comunità della Valle d’Aosta, il vessillo comprende due bande verticali (Rossa e bianca) ed al centro il simbolo così descritto da Gilberto Oneto :"...uno stemma a forma di cuore , racchiudente la bandiera walser , sovrastato da una Winkelkreuz ( croce ad angolo )che ripropone i marchi secenteschi dei mercanti gressonari e che ricorda la runa di Odino-Wotan, identificato dai romani con Mercurio, protettore dei mercanti (...)".  Francamente non siamo in grado di dire se la croce faccia riferimento alla runa Othala, monogramma di Odin ( rientra in tutta la vasta categoria delle rune personali in uso presso i mercanti ed - in maniera più nobile - presso i maestri di pietra di tutta l’area germanica ) , quello che è evidente risulta il richiamo all’iconografia alpina delle origini ed ad una simbologia legata al culto della Terra Madre ( ed al simbolo che comunemente definiamo "Cuore di Freyja").
  Le caratteristiche fisiche delle genti walser ci sono state tramandate dai viaggiatori del secolo scorso secondo alcuni parametri ricorrenti come : l’alta statura, pilitura bionda ed una brachicefalia presente ma meno accentuata in confronto con le altre etnie di ceppo alpino. Essi chiamano i non-walser "Wailschu" (termine che sta per "stranieri", singolare "Welsch", il termine è riscontrabile ancor oggi in Tirolo ed in particolare nel termine "Welsch Tirol", ovvero "Tirolo celtico", un termine che definendo etnicamente il Tirolo Trentino, per come la vediamo noi, oggi rappresenta più una comunanza di valori e sangue che non una "diversità" profonda ).


  La lingua
  Occorre dire che la lingua parlata dai Walser si è mantenuta più pura nelle comunità cisalpine  , nel Vallese, invece, tuttora risulta molto più simile all’attuale tedesco ; tutto questo si deve, in gran parte , all’isolamento delle prime dal mondo germanico . Ma non dobbiamo farci trarre in inganno da queste considerazioni, la lingua è parlata con sempre minor frequenza...e di questo è responsabile - prima di tutto - l’etnocentrismo romano, tant’è che oggi  in territorio italiano solo a Gressoney ( dove la variante locale è chiamata "grasschonaetisch" ) ed Issime , e cioè nei territori autonomi valdostani, questa lingua è parlata correntemente ( perlomeno ai livelli di Bosco Gurin , in Canton Ticino). In altri luoghi si è preferito sacrificare il sangue dei padri sull’altare del turismo...Ed è il dialetto di Issime che mantiene particolari vocaboli del tedesco-medioevale, a differenza di quello delle due Gressoney.
  A Gressoney era attivo uno scrittore , Bruno Favre, il quale nei suoi scritti e nelle sue poesie cercava di mantenere e codificare le testimonianze dei Padri, il tutto seguendo il motto di uno storico gressonaro secondo il quale "Wenn diese alte Sprache schon dem Tode geweith sein muss, so möge sie wenigstein in der Literatur weiterleben" ( e cioè " Se questo antico idioma dovrà scomparire, rimanga vivo il ricordo sui libri"). Va ricordato che proprio qui a Gressoney vennero istituite clandestinamente le cosiddette "Katakumbenschulen" attive durante il fascismo, quando non era permesso insegnare la lingua locale ma solo la lingua e la storia di Roma.
  Esistono alcuni sforzi per salvaguardare il patrimonio linguistico, ma Makannah-Macugnaga, un ingegnere scomparso nel 1974  aveva intrapreso la creazione di un dizionario, oggi disponibile presso la Walserverein (Associazione walser) , molto attiva nella creazione di testi didattici e videocassette, qui - in passato - anche la chiesa ha fatto la sua parte, infatti le suore che insegnavano cucito alle ragazze multavano le allieve alle quali fosse sfuggita qualche parola in tedesco.
  A Im Land - Alagna è stato creato un museo sulle tradizioni locali e sono state salvate dalla speculazione edilizia, cara al governo italico, un certo numero di baite ( stadel ). All’ "estremo oriente" della comunità  , a Pomat-Formazza si tengono corsi di lingua walser curati da iniziative private ( dalla "Deutschschulverein" di Zurigo).
   Nonostante tutti gli sforzi ignorati dai "dominatori romani ", non esistono corsi di tedesco obbligatori ed i giovani, ora come in passato, sono costretti ad abbandonare la loro terra per cercare lavoro altrove , andando a perder le radici in nome del "benessere"  .


Le Credenze

   Nelle tradizioni di questo popolo è possibile intravedere un profondo legame con la "nostra" cultura germanica . Tra i temi ricorrenti delle saghe narrate nella stube  ritroviamo quella della Valle perduta ( das verlorene Tal) dalla cui entrata segreta sgorgherebbe una sorgente alpina, questa leggenda trae origine sicuramente dal più remoto passato delle genti walser, impossibile non ricordare le tre fonti alle radici dell’albero cosmico, ma il parallelismo più stretto è con  Hvergelmir , il "bacile risonante" del mondo sotterraneo degli Inferi dal quale nascono i fiumi cosmici ( in tutta la tradizione eddica i fiumi o i corsi d’acqua trasportano nel loro corso principi ancestrali ai quali attingere  , come nel caso della fonte di Mímir) . Vi sono poi racconti legati a spiriti burloni  o diavoli  e per scacciarli servirebbe l’intervento di un "esorcista laico" (!),
la funzione di questa figura, tanto per tornare alle "radici nordiche", nell’antica Scandinavia, veniva associata all’atto di "chiudere a chiave le anime degli spiriti" ed il suo nome in norreno era vardlokkur. La caccia selvaggia occupa un  vasto spazio ancor oggi nell’immaginario walser, come pure le sue varianti (processioni di morti, incontri con fantasmi ecc...) . Ma la verlorene Tal dei walser è situata a Nord, oltre i monti, il clima è mite e gli animali pacifici, è la loro terra natale. Il  mito era così radicato che, nel 1778 da Gressoney, sette cacciatori partirono alla ricerca della Valle perduta, al suo posto trovarono una distesa di ghiaccio, ma furono i primi europei a toccare quota 4000 (recentemente -04.VIII- la Rai ha trasmesso un servizio curato da Reinhold Messner in cui veniva commemorata l’impresa attraverso gli appunti di del membro della spedizione , il gressonaro J.Josef Beck ). A Makannah-Macugnaga  il mito resistette sino al 1850, alcuni alpinisti partirono per tornare , delusi, alle loro case. Ma la Valle non è morta ed ancor oggi molti parlano dei folletti e delle fate che, nella notte dei morti, escono dagli anfratti delle montagne e  vengono a burlarsi dei viventi.
  Interessante poi la leggenda della "donna gatto", nella quale si narra di come un giovane, ferendo un gattino con un coltello, liberasse involontariamente una giovane da un incantesimo  ( e qui si potrebbe a lungo dissertare sui gatti gi Freyja e sulle qualità magiche attribuite a questi animali, nonché il confronto di Thórr con il gigantesco gatto domestico della corte di Útgarða-Loki, ma certo, tutti rammentiamo l’immeritata cattiva fama del gatto come "animale delle streghe" e la sua persecuzione).
  Il rito cristiano del battesimo viene inconsciamente trasformato , usciti dalla chiesa, in un’allegra "imposizione del nome" consacrata da bevute rituali sulla via del ritorno lungo la  strada della chiesa   (lett. : Hibsch-Wi) ,  un   coltello
(... un "trinciante rituale" ?) deposto accanto alla culla del piccolo servirà ad allontanare il folletto cattivo. Come la nascita, anche la morte veniva scandita da momenti ben precisi e misteriosi come i "segnali di morte" che si manifestano tramite soffi di vento che fanno sparire oggetti (il windspil). Al corpo del defunto vengono fatti calzare degli stivali per permettergli di camminare nell’aldilà ( l’uso di seppellire i morti con le calzature è praticato tuttora nelle aree alpine del Piemonte, a differenza di ciò che accade nel suo restante territorio , come pure quella di regalare qualcosa ai partecipanti al funerale , come una candela in Canavese o un sacchetto di riso nelle comunità walser ).
 Tornando ai folletti, abbiamo diverse varianti, legate comunque ai "gutviarghini" della favolistica germanica, nei racconti dei vecchi di Makannah-Macugnaga, ritroviamo questi folletti -lavoratori che aiutano  a far asciugare il pane di segala nello stadel, a mettere le lastre di pietra (mansplatten) sui tetti delle case per evitare che si infilino all’interno ghiri e scoiattoli e per render meno umido l’ambiente, questi aiutano ad accendere il fuoco nel forno della stube e fanno la guardia alle cassepanche dove sono custoditi i panni vallesani ricamati detti walsertuk. Va poi ricordato che, come in tutta l’area delle Alpi (ed in particolare in quelle Austriache, Svizzere e Tedesche), anche presso le etnie germanofone della Val d ‘Aosta , è presente il mito relativo al "tatzelwurm" (lett. : "verme con le zampe") : sono state raccolte notizie secondo le quali il tatzelwurm locale uscirebbe dal suo mondo sotterraneo solo in Primavera, alla fuoriuscita delle acque di una sorgente montana.  Che si tratti della trasposizione dell’archetipo del serpente di mare nell’immaginario delle popolazioni alpine...non siamo in grado di affermarlo.
  Non deve essere dimenticata un’altra usanza walser legata al culto dei morti : la notte del 2 novembre, il focolare nella stube non viene spento,  ed ai morti che giungono in visita viene lasciata l’offerta di calde tazze di vin brulé. Questa usanza della totenfest  è un rituale popolare di carattere schiettamente pagano ( pur essendo , i walser, apparentemente molto cattolici) e ricorda l’Antica Religione non solo per l’utilizzo dell’elemento-fuoco, ma anche per l’offerta lasciata a suggellare l’attimo del ricongiungimento e della compresenza dei due stati dell’esistenza. Lungo la parete libera della stube , viene praticato un foro detto seelenbalggen  ( "finestrella per l’anima"), per facilitare l’uscita dell’anima del defunto, non appena il congiunto aveva cessato di vivere , il foro veniva richiuso per evitare che l’anima tornasse. Altri rituali "di gruppo" sono collegati ai periodi-chiave  dell’anno : in quel di Gressoney la locale comunità si riunisce la notte di Capodanno : è il momento in cui è possibile conoscere il futuro e così, alcune coppie di fidanzati, ballano intorno ad un tavolo sul quale sono disposti dei piatti rovesciati, al di sotto sono presenti vari oggetti, ogni coppia potrà comprendere quale futuro la attende , a seconda dell’oggetto-simbolo che si cela sotto il piatto che, a sorte, tutti avranno scelto.
Ë Casa e famiglia Ë
  Per ciò che riguarda l’urbanistica, sarebbe arduo un confronto con la struttura germanica ( e, nel particolare, longobarda) dell’Odal, visto che ogni insediamento è formato da fattorie che distano parecchio l’una dall’altra e che , la cosiddetta platz con la chiesa e la canonica è in posizione periferica e non centrale come nell’Odal, il motivo è da ricercarsi nella vastità del territorio dato in affitto ( essi godevano, infatti, del libero affitto ereditario , senza altre tassazioni), all’interno del quale ogni colono costruiva, nel centro della sua porzione, la propria casa. Dunque, non solo il  Volk dei Walser è simile ad una "costellazione" di paesi ( come nel suo emblema ), ma lo è anche ogni singola comunità.  Oggi, ad unificare tutte queste realtà, intervengono le Walsertreffen (Feste walser) annuali, che riuniscono tutti i walser  orgogliosi della loro razza, qui è possibile sentire tutte le varianti del Dytsch e , fino a qualche anno fa, osservare il "viziaccio" delle loro donne che, vestite con i tradizionali costumi sfavillanti, non si negavano una bella...fumata di pipa !
  In passato, ogni famiglia aveva la propria "carta d’identità", una tessera di legno con alcuni simboli incisi , i cosiddetti Hüszeichen (segni di casa), simboli attraverso i quali veniva certificata l’identità della famiglia, segni aggiuntivi potevano attestare i possedimenti, movimenti finanziari e gerarchici ecc...Non è escluso che, all’origine di questa usanza non potessero esservi delle tavolette con simboli e segni magici , addirittura runici, in effetti , è accertata sull’arco alpino la presenza dei cosiddetti  Alraun , statuette antropomorfe (intagliate in radici di alberi) che nella variante montana servivano a proteggere i raccolti dal cattivo tempo.
  Per ciò che riguarda l’ordinamento sociale, esiste un elaborato diritto walser (Walserrecht , diritto di stampo germanico), nel quale sono tutelate le libertà personali e che prevede l’elezione di un podestà e di un consiglio dei capifamiglia. Le assemblee principali , le elezioni e tutti i momenti cruciali per la comunità, avenivano sotto ad un Tiglio, qui avveniva un vero e proprio Thing germanico : a  Makannah - Macugnaga ne esiste ancora uno, , vicino alla "chiesa vecchia", piantato nel luogo sette secoli or sono.

  Un altro momento che riuniva la comunità era quello relativo alla Z’bruot nacht, "notte della panificazione" che cadeva nel mese di novembre ( mentre oggi, per motivi turistici, viene praticata intorno a ferragosto), . Si riuscivano a produrre sino a cinque quintali di pane ( ed ogni pagnotta poteva recare incisi diversi simboli) ed  ogni membro della Comunità aveva il suo compito, l’infornata finale - invece - veniva diretta dall’ Hove mandji ( l’uomo del forno).
La casa walser cisalpina si sviluppa allo stesso modo della sua parente d’oltralpe, la cosiddetta Gottharhaus, casa dal basamento in pietra (relativa alla cantina) sul quale vengono posti travi di larice e pino incastrati tra loro, sui due lati soleggiati scorrono i balconi sporgenti  , la casa è ricoperta da lastre di pietra . all’interno, la sala più importante ed accogliente è la più volte citata stube, all’interno della quale vi è la caratteristica stufa col fornetto centrale e le panchette al lato. Vi è poi un buffet chiamato cantarli , con credenze  ed armadietti nella parte superiore ed un pollaio al di sotto per tenere al caldo gli animali. Accanto alla stube è presente un locale più piccolo e stretto chiamato stibli. Al piano superiore troviamo la stanza da letto, quella adibita alla filatura e quella per appendere la carne a seccare
(fleinschpicher, lett. :"stanza della carne"), qui viene posto, su di una rastrelliera sul soffitto, il pane nero di segale.
 Il granaio è rialzato da pali sormontati da dischi di legno, per evitare l’assalto di topi ed altri animali nonché l’umidità, ad esso si accede tramite una scala esterna ed un ambiente detto briggi nel quale si raccolgono i covoni e si pulisce la segale . La stalla (gade) è in muratura, mentre il fienile (heugade)si mantiene con la sua struttura lignea, qui troviamo anche un canale nel quale si fa scorrere il fieno sino alla mangiatoia (Rischi).
  Come può salvarsi dalla morte la comunità dei Walser ? Noi auspichiamo il risveglio della loro fierezza etnica, e non sarebbe male la creazione di compagnie sul modello degli Schützen tirolesi, a  quanto ne sappiamo, in passato sono stati fatti sforzi del genere. Viceversa, se non attingeranno al loro "orgoglio teutonico", saranno destinati a diventare italiani.
  Le caratteristiche case e l’aspetto antico, non corrotto dai tempi, degli ultimi walser , ci riporta all’antico proverbio germanico :
 « Dove ci sono capelli biondi e una casetta di legno, lì si parla tedesco ».
                                                                                                                                                           Paolo Gauna

Bibliografia :
- Rognoni-Arcioni "Altre Italie - tradizioni e costumi delle minoranze etniche italiane" -Xenia Ed. 1991
- AA  VV , a cura di Edoardo Ballone "L’altro Piemonte - Le minoranze etnico-linguistiche nella regione" EDA Torino, 1980
- G.Cìola, "Noi, Celti e Longobardi" Ed . Helvetia, Venezia, 1987.
- G.Oneto, "Bandiere di Libertà, simboli e vessilli dei popoli dell’Italia Settentrionale", introduzione di G.Miglio,edieffe 1992


 
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