Il vessillo walser adottato al di qua delle
Alpi sfoggia i colori bianco e rosso , al pari di quella del Cantone Vallese,
al centro, disposte ad ovale, si trovano dieci stelle, simbolo delle attuali
comunità : Gressoney, Ayas ed Issime ( Val d’Aosta), Alagna, Rima
e Rimella (Vercelli, Piemônt), Macugnaga, Salecchio, Formassa ed
Ornavasso (Novara, Piemônt) ad esse viene aggregata la comunità
di Borgo Ticino (Ticino). Per ciò che riguarda le comunità
della Valle d’Aosta, il vessillo comprende due bande verticali (Rossa e
bianca) ed al centro il simbolo così descritto da Gilberto Oneto
:"...uno stemma a forma di cuore , racchiudente la bandiera walser , sovrastato
da una Winkelkreuz ( croce ad angolo )che ripropone i marchi secenteschi
dei mercanti gressonari e che ricorda la runa di Odino-Wotan, identificato
dai romani con Mercurio, protettore dei mercanti (...)". Francamente
non siamo in grado di dire se la croce faccia riferimento alla runa Othala,
monogramma di Odin ( rientra in tutta la vasta categoria delle rune personali
in uso presso i mercanti ed - in maniera più nobile - presso i maestri
di pietra di tutta l’area germanica ) , quello che è evidente risulta
il richiamo all’iconografia alpina delle origini ed ad una simbologia legata
al culto della Terra Madre ( ed al simbolo che comunemente definiamo "Cuore
di Freyja").
Le caratteristiche fisiche delle genti
walser ci sono state tramandate dai viaggiatori del secolo scorso secondo
alcuni parametri ricorrenti come : l’alta statura, pilitura bionda ed una
brachicefalia presente ma meno accentuata in confronto con le altre etnie
di ceppo alpino. Essi chiamano i non-walser "Wailschu" (termine che sta
per "stranieri", singolare "Welsch", il termine è riscontrabile
ancor oggi in Tirolo ed in particolare nel termine "Welsch Tirol", ovvero
"Tirolo celtico", un termine che definendo etnicamente il Tirolo Trentino,
per come la vediamo noi, oggi rappresenta più una comunanza di valori
e sangue che non una "diversità" profonda ).
Nelle tradizioni di questo popolo
è possibile intravedere un profondo legame con la "nostra" cultura
germanica . Tra i temi ricorrenti delle saghe narrate nella stube
ritroviamo quella della Valle perduta ( das verlorene Tal) dalla cui entrata
segreta sgorgherebbe una sorgente alpina, questa leggenda trae origine
sicuramente dal più remoto passato delle genti walser, impossibile
non ricordare le tre fonti alle radici dell’albero cosmico, ma il parallelismo
più stretto è con Hvergelmir , il "bacile risonante"
del mondo sotterraneo degli Inferi dal quale nascono i fiumi cosmici (
in tutta la tradizione eddica i fiumi o i corsi d’acqua trasportano nel
loro corso principi ancestrali ai quali attingere , come nel caso
della fonte di Mímir) . Vi sono poi racconti legati a spiriti burloni
o diavoli e per scacciarli servirebbe l’intervento di un "esorcista
laico" (!),
la funzione di questa figura, tanto per tornare
alle "radici nordiche", nell’antica Scandinavia, veniva associata all’atto
di "chiudere a chiave le anime degli spiriti" ed il suo nome in norreno
era vardlokkur. La caccia selvaggia occupa un vasto spazio ancor
oggi nell’immaginario walser, come pure le sue varianti (processioni di
morti, incontri con fantasmi ecc...) . Ma la verlorene Tal dei walser è
situata a Nord, oltre i monti, il clima è mite e gli animali pacifici,
è la loro terra natale. Il mito era così radicato che,
nel 1778 da Gressoney, sette cacciatori partirono alla ricerca della Valle
perduta, al suo posto trovarono una distesa di ghiaccio, ma furono i primi
europei a toccare quota 4000 (recentemente -04.VIII- la Rai ha trasmesso
un servizio curato da Reinhold Messner in cui veniva commemorata l’impresa
attraverso gli appunti di del membro della spedizione , il gressonaro J.Josef
Beck ). A Makannah-Macugnaga il mito resistette sino al 1850, alcuni
alpinisti partirono per tornare , delusi, alle loro case. Ma la Valle non
è morta ed ancor oggi molti parlano dei folletti e delle fate che,
nella notte dei morti, escono dagli anfratti delle montagne e vengono
a burlarsi dei viventi.
Interessante poi la leggenda della "donna
gatto", nella quale si narra di come un giovane, ferendo un gattino con
un coltello, liberasse involontariamente una giovane da un incantesimo
( e qui si potrebbe a lungo dissertare sui gatti gi Freyja e sulle qualità
magiche attribuite a questi animali, nonché il confronto di Thórr
con il gigantesco gatto domestico della corte di Útgarða-Loki,
ma certo, tutti rammentiamo l’immeritata cattiva fama del gatto come "animale
delle streghe" e la sua persecuzione).
Il rito cristiano del battesimo viene
inconsciamente trasformato , usciti dalla chiesa, in un’allegra "imposizione
del nome" consacrata da bevute rituali sulla via del ritorno lungo la
strada della chiesa (lett. : Hibsch-Wi) , un
coltello
(... un "trinciante rituale" ?) deposto accanto
alla culla del piccolo servirà ad allontanare il folletto cattivo.
Come la nascita, anche la morte veniva scandita da momenti ben precisi
e misteriosi come i "segnali di morte" che si manifestano tramite soffi
di vento che fanno sparire oggetti (il windspil). Al corpo del defunto
vengono fatti calzare degli stivali per permettergli di camminare nell’aldilà
( l’uso di seppellire i morti con le calzature è praticato tuttora
nelle aree alpine del Piemonte, a differenza di ciò che accade nel
suo restante territorio , come pure quella di regalare qualcosa ai partecipanti
al funerale , come una candela in Canavese o un sacchetto di riso nelle
comunità walser ).
Tornando ai folletti, abbiamo diverse varianti,
legate comunque ai "gutviarghini" della favolistica germanica, nei racconti
dei vecchi di Makannah-Macugnaga, ritroviamo questi folletti -lavoratori
che aiutano a far asciugare il pane di segala nello stadel, a mettere
le lastre di pietra (mansplatten) sui tetti delle case per evitare che
si infilino all’interno ghiri e scoiattoli e per render meno umido l’ambiente,
questi aiutano ad accendere il fuoco nel forno della stube e fanno la guardia
alle cassepanche dove sono custoditi i panni vallesani ricamati detti walsertuk.
Va poi ricordato che, come in tutta l’area delle Alpi (ed in particolare
in quelle Austriache, Svizzere e Tedesche), anche presso le etnie germanofone
della Val d ‘Aosta , è presente il mito relativo al "tatzelwurm"
(lett. : "verme con le zampe") : sono state raccolte notizie secondo le
quali il tatzelwurm locale uscirebbe dal suo mondo sotterraneo solo in
Primavera, alla fuoriuscita delle acque di una sorgente montana.
Che si tratti della trasposizione dell’archetipo del serpente di mare nell’immaginario
delle popolazioni alpine...non siamo in grado di affermarlo.
Non deve essere dimenticata un’altra usanza
walser legata al culto dei morti : la notte del 2 novembre, il focolare
nella stube non viene spento, ed ai morti che giungono in visita
viene lasciata l’offerta di calde tazze di vin brulé. Questa usanza
della totenfest è un rituale popolare di carattere schiettamente
pagano ( pur essendo , i walser, apparentemente molto cattolici) e ricorda
l’Antica Religione non solo per l’utilizzo dell’elemento-fuoco, ma anche
per l’offerta lasciata a suggellare l’attimo del ricongiungimento e della
compresenza dei due stati dell’esistenza. Lungo la parete libera della
stube , viene praticato un foro detto seelenbalggen ( "finestrella
per l’anima"), per facilitare l’uscita dell’anima del defunto, non appena
il congiunto aveva cessato di vivere , il foro veniva richiuso per evitare
che l’anima tornasse. Altri rituali "di gruppo" sono collegati ai periodi-chiave
dell’anno : in quel di Gressoney la locale comunità si riunisce
la notte di Capodanno : è il momento in cui è possibile conoscere
il futuro e così, alcune coppie di fidanzati, ballano intorno ad
un tavolo sul quale sono disposti dei piatti rovesciati, al di sotto sono
presenti vari oggetti, ogni coppia potrà comprendere quale futuro
la attende , a seconda dell’oggetto-simbolo che si cela sotto il piatto
che, a sorte, tutti avranno scelto.
Ë Casa e famiglia Ë
Per ciò che riguarda l’urbanistica,
sarebbe arduo un confronto con la struttura germanica ( e, nel particolare,
longobarda) dell’Odal, visto che ogni insediamento è formato da
fattorie che distano parecchio l’una dall’altra e che , la cosiddetta platz
con la chiesa e la canonica è in posizione periferica e non centrale
come nell’Odal, il motivo è da ricercarsi nella vastità del
territorio dato in affitto ( essi godevano, infatti, del libero affitto
ereditario , senza altre tassazioni), all’interno del quale ogni colono
costruiva, nel centro della sua porzione, la propria casa. Dunque, non
solo il Volk dei Walser è simile ad una "costellazione" di
paesi ( come nel suo emblema ), ma lo è anche ogni singola comunità.
Oggi, ad unificare tutte queste realtà, intervengono le Walsertreffen
(Feste walser) annuali, che riuniscono tutti i walser orgogliosi
della loro razza, qui è possibile sentire tutte le varianti del
Dytsch e , fino a qualche anno fa, osservare il "viziaccio" delle loro
donne che, vestite con i tradizionali costumi sfavillanti, non si negavano
una bella...fumata di pipa !
In passato, ogni famiglia aveva la propria
"carta d’identità", una tessera di legno con alcuni simboli incisi
, i cosiddetti Hüszeichen (segni di casa), simboli attraverso i quali
veniva certificata l’identità della famiglia, segni aggiuntivi potevano
attestare i possedimenti, movimenti finanziari e gerarchici ecc...Non è
escluso che, all’origine di questa usanza non potessero esservi delle tavolette
con simboli e segni magici , addirittura runici, in effetti , è
accertata sull’arco alpino la presenza dei cosiddetti Alraun , statuette
antropomorfe (intagliate in radici di alberi) che nella variante montana
servivano a proteggere i raccolti dal cattivo tempo.
Per ciò che riguarda l’ordinamento
sociale, esiste un elaborato diritto walser (Walserrecht , diritto di stampo
germanico), nel quale sono tutelate le libertà personali e che prevede
l’elezione di un podestà e di un consiglio dei capifamiglia. Le
assemblee principali , le elezioni e tutti i momenti cruciali per la comunità,
avenivano sotto ad un Tiglio, qui avveniva un vero e proprio Thing germanico
: a Makannah - Macugnaga ne esiste ancora uno, , vicino alla "chiesa
vecchia", piantato nel luogo sette secoli or sono.
Un altro momento che riuniva la comunità
era quello relativo alla Z’bruot nacht, "notte della panificazione" che
cadeva nel mese di novembre ( mentre oggi, per motivi turistici, viene
praticata intorno a ferragosto), . Si riuscivano a produrre sino a cinque
quintali di pane ( ed ogni pagnotta poteva recare incisi diversi simboli)
ed ogni membro della Comunità aveva il suo compito, l’infornata
finale - invece - veniva diretta dall’ Hove mandji ( l’uomo del forno).
La casa walser cisalpina si sviluppa allo stesso
modo della sua parente d’oltralpe, la cosiddetta Gottharhaus, casa dal
basamento in pietra (relativa alla cantina) sul quale vengono posti travi
di larice e pino incastrati tra loro, sui due lati soleggiati scorrono
i balconi sporgenti , la casa è ricoperta da lastre di pietra
. all’interno, la sala più importante ed accogliente è la
più volte citata stube, all’interno della quale vi è la caratteristica
stufa col fornetto centrale e le panchette al lato. Vi è poi un
buffet chiamato cantarli , con credenze ed armadietti nella parte
superiore ed un pollaio al di sotto per tenere al caldo gli animali. Accanto
alla stube è presente un locale più piccolo e stretto chiamato
stibli. Al piano superiore troviamo la stanza da letto, quella adibita
alla filatura e quella per appendere la carne a seccare
(fleinschpicher, lett. :"stanza della carne"),
qui viene posto, su di una rastrelliera sul soffitto, il pane nero di segale.
Il granaio è rialzato da pali sormontati
da dischi di legno, per evitare l’assalto di topi ed altri animali nonché
l’umidità, ad esso si accede tramite una scala esterna ed un ambiente
detto briggi nel quale si raccolgono i covoni e si pulisce la segale .
La stalla (gade) è in muratura, mentre il fienile (heugade)si mantiene
con la sua struttura lignea, qui troviamo anche un canale nel quale si
fa scorrere il fieno sino alla mangiatoia (Rischi).
Come può salvarsi dalla morte la
comunità dei Walser ? Noi auspichiamo il risveglio della loro fierezza
etnica, e non sarebbe male la creazione di compagnie sul modello degli
Schützen tirolesi, a quanto ne sappiamo, in passato sono stati
fatti sforzi del genere. Viceversa, se non attingeranno al loro "orgoglio
teutonico", saranno destinati a diventare italiani.
Le caratteristiche case e l’aspetto antico,
non corrotto dai tempi, degli ultimi walser , ci riporta all’antico proverbio
germanico :
« Dove ci sono capelli biondi e una
casetta di legno, lì si parla tedesco ».
Paolo Gauna
Bibliografia :
- Rognoni-Arcioni "Altre Italie - tradizioni
e costumi delle minoranze etniche italiane" -Xenia Ed. 1991
- AA VV , a cura di Edoardo Ballone "L’altro
Piemonte - Le minoranze etnico-linguistiche nella regione" EDA Torino,
1980
- G.Cìola, "Noi, Celti e Longobardi" Ed
. Helvetia, Venezia, 1987.
- G.Oneto, "Bandiere di Libertà, simboli
e vessilli dei popoli dell’Italia Settentrionale", introduzione di G.Miglio,edieffe
1992
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