don Milani e l'Obiezione di Coscienza
novembre ‘97
Una serie di incontri per capirlo meglio
[a 30 anni dalla morte...] [home]Il messaggio che nella sua breve vita don Lorenzo Milani ha lasciato all'intero mondo è di grande rilievo.
Nato il 27 Maggio 1923 e morto il 26 Giugno 1967: in soli 44 anni ha lasciato una testimonianza che a più di trent'anni dalla sua morte non si riesce ancora a decifrare nella sua interezza.
Noi obiettori della Caritas della diocesi di Fidenza abbiamo voluto ricordare il trentesimo anniversario della sua morte, studiandolo e cercando di capirlo.
Lui la motivava così: «Mi son fatto cristiano e prete solo per spogliarmi di ogni privilegio» E' il giovane ricco del Vangelo che va e, stavolta, vende veramente tutto quello che ha ai poveri. E don Milani ha soprattutto donato agli altri la sua immensa visione delle cose, il suo non fermarsi davanti agli ostacoli, il saper guardare oltre. Ha, in particolar modo, capito che la vera povertà non è quella materiale, ma quella dell'animo, quella della mente. L'articolo 3 della nostra Costituzione parla di uguaglianza, una uguaglianza che al secondo comma viene definita sostanziale: è in questa direzione che viene indirizzata l'attività pastorale del prete fiorentino. Come strumento per raggiungere questo fine, egli sceglierà l'educazione, intesa nel senso più alto, nella visione socratica del “tirar fuori”. E' il motto “I care”, mi interessi, contrario di quello fascista “me ne frego”. Ogni singolo ragazzo ha il diritto e il dovere di saper ragionare con la propria testa, di saper formulare questioni e idee sui diversi avvenimenti sulla base di quello che ha imparato. Vi saranno sempre disparità se non vi sarà parità di mezzi a disposizione di ognuno.
Don Lorenzo è figlio di una ricca e potente famiglia fiorentina di origini ebree. Nella sua prima vita, quella che lui definisce “vita borghese”, non avrà contatti con il mondo della religione cattolica. La sua vocazione non nasce all'interno di una famiglia di nobili tradizioni ecclesiali o in un ambiente particolarmente vicino alla Chiesa, ma sarà una vera e propria conversione. In più occasioni molti suoi conoscenti e studiosi hanno paragonato la chiamata di Paolo sulle strade di Damasco alla stessa che ha avuto don Lorenzo. La sua idea fissa è rendere protagonisti fino in fondo delle loro vite i ragazzi, renderli capaci di saper discernere la realtà circostante.
Si comincia a parlare di patria mondiale, di una patria nuova, di patria come casa comune...
E' questa la sua idea fissa, quasi una ossessione: rendere protagonisti fino in fondo delle loro vite i ragazzi che aveva nelle proprie scuole, renderli capaci di saper discernere la realtà circostante. Nasce così la scuola popolare. Prima a San Donato fiorentino e poi a Barbiana. Quella Barbiana terra di apparente esilio, terra dimenticata dal mondo, ma che lui, con la sua straordinaria forza d'animo, riesce a far diventare luogo di interesse e di studio. In queste quattro case nel giro di pochi anni arriveranno giornalisti, politici, industriali: tutti attratti dai nuovi metodi e dall'ideologia milaniana.
L'atto che maggiormente ci interessa è la lettera scritta ai cappellani militari il 23 Febbraio del 1965. Che cosa era successo? Il 14 Febbraio don Lorenzo apprese a Barbiana da amici che su “La Nazione” era apparso un comunicato dei cappellani militari nel quale era esplicitato «I cappellani militari (..) considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta ‘obiezione di coscienza’, che estranea al comandamento dell'amore, è espressione di viltà». A tale presa di posizione don Milani, insieme ai suoi ragazzi, non poteva che rispondere scrivendo una lettera. Quest'ultima, insieme all'autodifesa al processo che dovrà subire, rappresentano un vero e proprio manifesto dell'obiezione di coscienza. Il primo elemento fondamentale da analizzare è la sua nuova, rivoluzionaria definizione di Patria : «Non discuterò qui l'idea di Patria in sé. Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possano lecitamente, anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possano e debbano combattere contro i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.» Si comincia a parlare di patria mondiale, di una patria nuova, di patria come casa comune. Ma è sul diritto di obiettare e suoi danni storici che si sono verificati a causa della mancanza dell'obiezione che pone particolarmente l'accento. Un soldato esegue, anche quando deve sganciare una bomba atomica: chi è più vile tra chi decide di non farlo, sapendo di disobbedire ad un comando ricevuto, o chi lo fa solo in nome di un ordine superiore? Chi dei due mette per primo in pratica il comandamento dell'amore? Le domande sono evidentemente retoriche. Certo le guerre nel mondo non finiranno riconoscendo il diritto all'obiezione di coscienza, ma si darà certamente la possibilità di cominciare a pensare in un modo nuovo. Soprattutto, secondo la mentalità milaniana, ogni ragazzo, ogni persona avrà la possibilità di ragionare con la propria testa, di saper riflettere e di discernere. Questa non è anarchia, ma semplice condivisione del patrimonio personale che ognuno di noi ha: non teniamolo dentro, ma “tiriamolo fuori”. E' questa, a mio parere, il miglior modo per onorare la straordinaria testimonianza che don Lorenzo Milani ci ha lasciato.D. C.