Incontro testimonianza con Jean Vanier
    settembre ‘97

    è il fondatore delle comunità dell’Arca e di Fede e Luce.

    Nato in Canada nel 1928 da una famiglia molto agiata (il padre è stato governatore dello Stato del Quebec), Jean Vanier si arruola come volontario nella Marina Canadese a 18 anni.
    Nel 1950 abbandona la carriera militare per seguire gli studi di filosofia.
    Dopo aver ottenuto il dottorato ha insegnato all’Università di Toronto. Nel 1964 conosce una comunità cristiana con cui inizia la sua permanenza in Francia e avvia la prima comunità dell’Arche (Arca) accogliendo due persone handicappate mentali adulte in un piccolo foyer (focolare) a Trosly-Breuil (Oise).
    Da allora le comunità si sono sviluppate e dal suo esempio sono sorte più di 100 comunità  Arche diffuse il 26 paesi del mondo.
    Nel 1971 Jean Vanier e una giornalista francese, Marie Helene Mathieu, fondano il movimento internazionale Foi et Lumière sorto con la convinzione che ogni persona portatrice di handicap è integralmente una persona, con tutti i diritti di ogni persona : diritto soprattutto ad essere amata, riconosciuta e rispettata nel suo essere e nelle sue scelte.
    L'incontro, che si è tenuto mercoledì 24 settembre a Milano, ha trattato marginalmente il tema del caos, in quanto ritenuto meno interessante rispetto alle attese future circa le possibilità che i portatori di handicap possano essere riconosciuti dalla nostra società come persone da rispettare e soprattutto da amare.
    La Comunità è il fulcro attorno al quale costruire il nostro avvenire in questo contesto : essa è infatti l’espressione di quanto gli uni abbiano bisogno degli altri.
    Ogni essere umano trova nel rapporto con gli altri gran parte della propria forza e del desiderio di vivere, quando questo viene a mancare oppure è scarsamente presente, il desiderio di lasciarsi andare può essere molto forte.
    Questo è il tema ricorrente delle varie esperienze che Jean Vanier ha esposto nel corso della sua conferenza.
    I casi che ci ha presentato testimoniano quanto sia forte il desiderio di essere amati, e se questo sentimento viene disatteso (come spesso accade ai portatori di handicap) la depressione può condurre all’apatia e perfino alla morte.
    Come le madri imparano a comunicare con i loro neonati interpretandone i gesti e i pianti, allo stesso modo comunicare con un handicappato, anche grave, non solo è possibile ma può essere anche semplice. Il rapporto con queste persone può essere in alcuni casi molto difficoltoso ma quando il desiderio di amare prevale sugli altri sentimenti nessun ostacolo è insormontabile.
    Ciò che è prevalso durante tutto l’incontro, nonostante la complessità dei casi esposti, è soprattutto un forte ottimismo sulle nostre capacità di avvicinarsi a questi temi e sulle potenzialità della nostra società.
    Le numerose Comunità che stanno nascendo in tutti il mondo sono espressione di una coscienza che si sta sviluppando, e di una maturazione che non dovrebbe tardare a manifestarsi.

    S. S.


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