è il fondatore delle comunità dell’Arca e di Fede e Luce.
Nato in Canada nel 1928 da una famiglia molto agiata (il padre è
stato governatore dello Stato del Quebec), Jean Vanier si arruola come
volontario nella Marina Canadese a 18 anni.
Nel 1950 abbandona la carriera militare per seguire gli studi di filosofia.
Dopo aver ottenuto il dottorato ha insegnato all’Università
di Toronto. Nel 1964 conosce una comunità cristiana con cui inizia
la sua permanenza in Francia e avvia la prima comunità dell’Arche
(Arca) accogliendo due persone handicappate mentali adulte in un piccolo
foyer (focolare) a Trosly-Breuil (Oise).
Da allora le comunità si sono sviluppate e dal suo esempio sono
sorte più di 100 comunità Arche diffuse il 26 paesi
del mondo.
Nel 1971 Jean Vanier e una giornalista francese, Marie Helene Mathieu,
fondano il movimento internazionale Foi et Lumière sorto con la
convinzione che ogni persona portatrice di handicap è integralmente
una persona, con tutti i diritti di ogni persona : diritto soprattutto
ad essere amata, riconosciuta e rispettata nel suo essere e nelle sue scelte.
L'incontro, che si è tenuto mercoledì 24 settembre a Milano,
ha trattato marginalmente il tema del caos, in quanto ritenuto meno interessante
rispetto alle attese future circa le possibilità che i portatori
di handicap possano essere riconosciuti dalla nostra società come
persone da rispettare e soprattutto da amare.
La Comunità è il fulcro attorno al quale costruire il
nostro avvenire in questo contesto : essa è infatti l’espressione
di quanto gli uni abbiano bisogno degli altri.
Ogni essere umano trova nel rapporto con gli altri gran parte della
propria forza e del desiderio di vivere, quando questo viene a mancare
oppure è scarsamente presente, il desiderio di lasciarsi andare
può essere molto forte.
Questo è il tema ricorrente delle varie esperienze che Jean
Vanier ha esposto nel corso della sua conferenza.
I casi che ci ha presentato testimoniano quanto sia forte il desiderio
di essere amati, e se questo sentimento viene disatteso (come spesso accade
ai portatori di handicap) la depressione può condurre all’apatia
e perfino alla morte.
Come le madri imparano a comunicare con i loro neonati interpretandone
i gesti e i pianti, allo stesso modo comunicare con un handicappato, anche
grave, non solo è possibile ma può essere anche semplice.
Il rapporto con queste persone può essere in alcuni casi molto difficoltoso
ma quando il desiderio di amare prevale sugli altri sentimenti nessun ostacolo
è insormontabile.
Ciò che è prevalso durante tutto l’incontro, nonostante
la complessità dei casi esposti, è soprattutto un forte ottimismo
sulle nostre capacità di avvicinarsi a questi temi e sulle potenzialità
della nostra società.
Le numerose Comunità che stanno nascendo in tutti il mondo sono
espressione di una coscienza che si sta sviluppando, e di una maturazione
che non dovrebbe tardare a manifestarsi.
S. S.