Armati
fino ai denti di Giulio Marcon (portavoce
nazionale dell'Associazione per la pace) da “il manifesto” del
1-11-97
L’AUMENTO è del 9 per cento. L'Italia ha
deciso di spendere nel '98 ben 448 miliardi in più (per un totale
di 5.482) rispetto all'anno scorso per produrre e acquistare armi. Di questi
soldi, ben 1.169 miliardi sono accantonati per continuare a costruire il
caccia europeo Efa. Sono queste alcune delle cifre del bilancio della Difesa
di quest'anno, che la campagna “Venti di Pace” (oltre 30 organizzazioni
pacifiste e della solidarietà) ha analizzato e denunciato nel suo
Rapporto.
Mentre è in pieno corso l'opera di risanamento finanziario per
l'Europa che colpisce soprattutto le spese sociali, il bilancio dei militari
(sempre più illeggibile e meno trasparente) è solo sfiorato.
La previsione di spesa di quest'anno è di 31.069 miliardi contro
i 31.060 miliardi di previsione dell'anno scorso, con un leggerissimo calo
in termini reali. Nel bilancio, i risparmi sulle spese generali sono in
funzione di maggiori soldi per le armi mentre gli sprechi e le inefficienze
crescono: sono oltre 13 mila i miliardi di residui passivi accumulati.
Senza contare che alcune spese militari sono fuori bilancio: è il
caso delle missioni all'estero (dai costi finali evanescenti) finanziate,
nel caso dell'Albania, con i fondi dell’“8 per mille” destinati allo stato
e, per la Bosnia, con l'aumento della benzina verde.
Finora l'Italia, dunque, non ha avuto il coraggio di fare come la Francia,
il cui governo ha deciso quest'anno di tagliare del 9% le spese militari.
Altri paesi - finita la guerra fredda e seguendo l'invito delle agenzie
delle Nazioni Unite - hanno iniziato a disarmare e a costruire un sistema
di sicurezza sostenibile. Il dinosauro militare italiano continua invece
a prosperare con oltre 350 mila effettivi (tra soldati, ufficiali, volontari
e civili), senza un disegno coerente con l'attuale evoluzione delle relazioni
internazionali.
Emblematico è il caso dell'Efa, il caccia europeo coprodotto
con Spagna, Gran Bretagna, Germania. Il parlamento tedesco ne ha discusso
qualche giorno fa e l'Spd si è opposta decisamente. Il parlamento
italiano non ha mai affrontato sul serio la questione: al nostro paese
i 130 caccia da guerra costeranno - a produzione ultimata - ben 16 mila
miliardi, l'equivalente di una manovra finanziaria di questi tempi. Un
caccia Efa sarà pagato in media circa 120 miliardi: quanto la finanziaria
destina quest'anno per garantire il servizio di 40 mila obiettori di coscienza.
Poco meno di quanto si spende per la cooperazione con i paesi “in via di
sviluppo ”.
Di questi lussuosi caccia intercettori il Parlamento non si è
occupato molto. Ma questo non basta. Nel collegato alla finanziaria, Andreatta
ha fatto inserire due commi che “semplificano” le procedure di contratto
(anche per l'acquisizione di armamento da parte dell'amministrazione della
Difesa, indebolendo i controlli del Parlamento). La stessa richiesta di
“semplificazione” viene avanzata da tempo - da parte di Andreatta e dei
vertici militari - riguardo alla legge 185 sul commercio delle armi considerata
troppo stretta e limitativa per l'export. E' da ricordare, che la vendita
di armi (soprattutto verso i paesi del sud del mondo) è ripresa
con forza; secondo una relazione dell'Istituto per gli Affari internazionali,
distribuita recentemente ai parlamentari, l'export italiano di armi è
aumentato nell'ultimo anno di ben il 45%.
Tutto ciò mentre il dibattito politico di fondo sulle prospettive
e l'orientamento del nostro sistema di difesa è assai carente. Da
anni è sull'agenda politica l'introduzione del “Nuovo modello di
difesa” (che professionalizzerebbe pesantemente le forze armate e farebbe
lievitare le spese) in ogni caso già in corse di graduale introduzione
attraverso provvedimenti specifici. Venti di Pace, già dallo scorso
anno ha formulato proposte alternative: dimezzamento in 4 anni degli organici
delle forze armate e delle spese militari; assegnazione stand by di reparti
operativi adeguatamente formati delle forze armate alle missioni di pace
dell'ONU; una politica di sicurezza comune; rafforzamento degli organismi
regionali, abolizione delle scuole di guerra. Proposte analoghe sono venute
dalla marcia Perugia-Assisi e dall'Assemblea dell'“Onu dei popoli”.