Difendere... che cosa?
E come?
Riflessioni sul “Nuovo Modello di Difesa”
di Enrico Peyretti (Da “Azione Nonviolenta” ott. 1997)

 
Avremo anche in Italia le donne soldato? Sarà ridotta o persino abolita la leva? Avremo un esercito di professionisti? Queste riforme, ventilate come novità positive, nascondono il fatto che la difesa di un paese civile ed umano deve rispondere ad alcuni requisiti inderogabili.Che cosa difendere? Non ci sono più patrie separate, la sorte umana è ormai unica. E poi, non ogni difesa è lecita: lo è solo la difesa dei diritti umani, comuni a tutti, non quella del dominio di una parte, di interessi stabiliti sul privilegio e l'esclusione. Che cosa difendere? Non ci sono più patrie separate, la sorte umana è ormai unica.
E poi, non ogni difesa è lecita: lo è solo la difesa dei diritti umani, comuni a tutti, non quella del dominio di una parte, di interessi stabiliti sul privilegio e l'esclusione. 
 
 La difesa dell'ingiustizia è difesa continuata.
Come difendere un popolo, la sua terra, le sue istituzioni? Non è sempre lecita la difesa militare, che uccide esseri umani e espone il cittadino ad ammazzare e ad essere ammazzato.
Solo altre vite, non un interesse, non un potere, valgono una vita umana. Il monopolio della difesa dato alle forze armate indebolisce la società, resa dipendente dall'esercito, istituzione separata che si fonda sul segreto e sulla gerarchia autoritaria, che può mancare lo scopo a carissimo prezzo (in ogni guerra c'è un esercito sconfitto), che ha un potere mortale usabile a fini eversivi (la storia di troppi paesi lo dimostra in sovrabbondanza). Un esercito non può assicurare la pace perché la vittoria (sempre aleatoria) non dà mai la pace, ma è solo l'anello di una faida, ed è gravida di altra guerra senza dire dei rischi odierni delle anni totali.
Per questi motivi, non solo il pensiero pacifico, ma la Costituzione (art. 52) affidano la "difesa della Patria" anzitutto ad ogni cittadino, come capacità propria del popolo.
La Corte Costituzionale (sent. n. 164/1985) afferma che il dovere di difesa può adempiersi in modo armato o non armato, perché esso "trascende e supera" la difesa militare. là un riconoscimento della Difesa Popolare Nonviolenta, che non è solo un bel ideale ma una reale capacità dei popoli, attuata con efficacia, nonostante l'impreparazione, persino di fronte al nazismo, anche se finora troppo poco indagata dagli storici condizionati dall'atavica visione militarista dei conflitti. A maggior ragione, sono oggi Difesa Popolare Nonviolenta, p. es., sia i Comitati per la Costituzione minacciata da stravolgimenti autoritari o egoistici, sia il volontariato nella tutela sociale dei deboli o contro le calamità naturali.
Ora però, senza che né il popolo né il Parlamento ne prendano adeguata coscienza, si sta attuando in Italia una riforma dell'esercito che tradisce il concetto costituzionalmente legittimo della difesa.
L'attuale governo tenta di elevare progressivamente a legge il c.d. "Nuovo modello di difesa" (Nmd). Si tratta di un progetto dei Ministero della difesa, distribuito ai parlamentari nell'ottobre 1991, di 251 pagine, oggi sostanzialmente non modificato, in perfetta continuità dal governo di allora a quello di oggi. Tutta la "filosofia" di quel progetto è apertamente dichiarata nelle prime 70 pagine. Vi si dice che, caduto il muro Est-Ovest, il nuovo confronto è nell'area mediterranea "tra una realtà culturale ancorata alla matrice islamica e di modelli di sviluppo del mondo occidentale" (p.15-16). Là è il nuovo nemico, il nuovo conflitto economico religioso!
Il pericolo attuale, secondo il Nmd, sta nelle tendenze "al sovvertimento delle attuali situazioni di predominio regionale, anche per il controllo delle riserve energetiche esistenti nell'area" (p.21). Quindi si vuol difendere un predominio! tutto un paragrafo (pp.27-33) equipara i concetti di "interessi nazionali" e di "sicurezza", che sono ben differenti: il primo indica un'attività speculativa ed espansiva, il secondo una realtà vitale minima. Solo questo è un diritto, solo esso può, nella concezione tradizionale e costituzionale, giustificare una difesa militare.
Invece, il Nmd afferma senza pudore che finalità della difesa è, dopo la salvaguardia dell'indipendenza e dei confini, la "tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tale termine, ovunque sia necessario" (p.30).
Non per nulla la Guerra dei Golfo (confessata così come guerra di interessi e non di principi!) è presa come l'esempio emblematico" del nuovo concetto di difesa (p.44). Potrei portare molte altre citazioni a ribadire l'idea che regge tutto il progetto: non la difesa di diritti umani, ma di uno stato di fatto, che abbiamo "interesse" a mantenere.
Perché dobbiamo rifiutare l'esercito professionale ?
Non solo per i maggiori costi innegabili, ma soprattutto perché, in questa ipotesi, la guerra non è più un'eventuale tragica necessità, ma una funzione normale; non è più ripudiata, ma legittimata. 
 
Si parla di sicurezza internazionale, in realtà si difende con la ferocia delle armi la violenza strutturale del Nord sul Sud. L'esercito italiano diventa un corpo di spedizione neo-coloniale. Il recente disegno di legge Previti (n. 1307, 23/9/1994), prevede il servizio militare professionale, fino a 78.500 unità, e quello volontario femminile (su questo parlino per prime le donne).
L'art. 1 comincia così: “Per il conseguimento degli obiettivi fissati dal nuovo modello di difesa...”
come se il Nmd fosse una direttiva legislativa valida, da mettere in pratica, mentre è solo la grave intenzione politica comune agli ultimi governi, mai discussa negli angusti dibattiti politici ed elettorali italiani se non da parte della cultura di pace.
Perché dobbiamo rifiutare l'esercito professionale (pur con i problemi che restano da discutere)?
Non solo per i maggiori costi innegabili (che ministro e alti gradi ora negano, ora ammettono), ma soprattutto perché, in questa ipotesi, la guerra non è più un'eventuale tragica necessità (che può presentarsi se non si predispongono mezzi non violenti di soluzione dei conflitti), ma una funzione normale; non è più ripudiata, ma legittimata. Quello delle armi diventa un lavoro, una professione riconosciuta, come quella del boia: l'arte e la tecnica dell'uccidere per incarico, da mercenari.
È ancora in grado il nostro popolo di vedere e rifiutare questa vergogna?

Enrico Peyretti
 

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